Pubblica amministrazione  -  Redazione P&D  -  18/09/2022

Sul dissesto degli enti locali - Cons. Stato, Adunanza plenaria, 12 gennaio 2022, n. 1 - Mariagrazia Caruso

La sentenza del Consiglio di Stato in adunanza plenaria n. 2/2022, pubblicata il 12 .1.2022 offre interessanti spunti in materia di dissesto degli Enti locali.

Come è noto l’art. 244 del Testo Unico sull’ordinamento degli enti locali stabilisce che si ha dissesto finanziario quando un ente non è più in grado di assolvere alle “ordinarie funzioni” ed ai servizi definiti indispensabili, quando nei confronti dell’Ente esistono crediti di terzi ai quali non si riesce a far fronte con il mezzo ordinario del riequilibrio di bilancio né con lo strumento straordinario del debito fuori bilancio.

La deliberazione recante la dichiarazione di dissesto finanziario è adottata dal consiglio comunale, il quale deve valutare le cause che lo hanno determinato. La determinazione e la relazione dell’organo di revisione sono trasmesse, entro 5 giorni dalla data di esecutività, al Ministero dell’interno ed alla Procura regionale presso la Corte dei conti competente per territorio. La deliberazione è, inoltre,  pubblicata per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana a cura del Ministero dell’interno unitamente al decreto del Presidente della Repubblica di nomina dell’organo straordinario di liquidazione (OSL). Quest’ultimo viene incaricato al fine di gestire le insolvenze cui viene affidata la gestione degli oneri pregressi e viene dato il compito di redigere un piano di estinzione dei debiti che ha come obiettivo quello di azzerare la situazione di deficit. Una volta nominato, l’Organo Straordinario di Liquidazione si occuperà di effettuare la ricognizione degli insoluti del Comune, così come si occuperà di stabilire l’entità della “massa passiva”, cioè dell’insieme dei crediti che possiede il comune.

L’art. 252, comma 4, T.U. n. 267/2000 dispone che “L’organo straordinario di liquidazione ha competenza relativamente a fatti ed atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato”, e l’art. 5, comma 2, d.l. n. 80/2004 conv. in l. n. 140/2004 ha precisato che ai fini dell’applicazione degli artt. 252, comma 4, e 254, comma 3, T.U. n. 267/2000, “si intendono compresi nelle fattispecie ivi previste tutti i debiti correlati ad atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, pur se accertati, anche con provvedimento giurisdizionale, successivamente a tale data ma, comunque, non oltre quella di approvazione del rendiconto della gestione di cui all’articolo 256, comma 11, del medesimo testo unico”.

La Sezione remittente aveva chiesto all’Adunanza Plenaria una rimeditazione della questione alla luce dei principi CEDU, in particolare espressi nella sentenza n. 43780/2004 del 24/9/2013 (De Luca c/o Italia), ove la CEDU ha affermato che “l'avvio della procedura di dissesto finanziario a carico di un ente locale e la nomina di un organo straordinario liquidatore, nonché il successivo d.l. n. 80/2004 che impediva i pagamenti delle somme dovute fino al riequilibrio del bilancio dell'ente, non giustificano il mancato pagamento dei debiti accertati in sede giudiziaria, poiché lesive dei principi in materia di protezione della proprietà e di accesso alla giustizia riconosciuti dalla convenzione europea dei diritti dell'uomo. Ne consegue l'obbligo per lo Stato di appartenenza di pagare le somme dovute dagli enti locali nei termini e secondo le modalità prescritte dalla convenzione”.

Sulla scorta della normativa di riferimento il Consiglio di Stato ha così chiarito i termini della vicenda controversa: “… sotto il profilo finanziario, se gli atti e fatti cui è correlato il provvedimento giurisdizionale (o amministrativo, come ha ritenuto l’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 15-2020, valorizzando l’inequivoca locuzione “anche giurisdizionali”) sono cronologicamente ricollegabili all’arco temporale anteriore al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, il provvedimento successivo, che determina l’insorgere del titolo di spesa (nella specie, il decreto ingiuntivo esecutivo e non opposto), deve essere imputato alla Gestione liquidatoria, purché detto provvedimento sia emanato prima dell’approvazione del rendiconto della gestione di cui all’art. 256, comma 11. In questo caso, dunque, il debito viene imputato al bilancio della Gestione liquidatoria sotto il profilo amministrativo-contabile, privando l’ente comunale della relativa capacità giuridica (sotto il profilo civilistico) e competenza amministrativa su quel debito, che non è più ad esso imputabile. Il che spiega le conseguenze in ordine alle attività esecutive che vengono temporaneamente paralizzate fino all’approvazione del rendiconto della gestione di cui all’art. 256, comma 11. Sul paino letterale, dunque, non vi è alcuno spazio ermeneutico per aderire ad una interpretazione diversa. 4. Inoltre, deve ricordarsi, sotto il profilo teleologico, come ha già statuito questa Plenaria nella sentenza n. 15-2020, che le norme sul dissesto finanziario degli Enti Locali, contenute nel Titolo VIII, Capi II-IV del TUEL, sono preordinate al ripristino degli equilibri di bilancio degli enti locali in crisi, mediante un’apposita procedura di risanamento, delineando una netta separazione di compiti e competenze tra la gestione passata e quella corrente, a tutela della gestione corrente, che sarebbe pregiudicata se in essa confluissero debiti sostanzialmente imputabili alle precedenti gestioni amministrative (che sono state a tal punto fallimentari da determinare il dissesto dell’ente), in modo da garantire, per il futuro, la sostenibilità finanziaria del bilancio ordinario. I soggetti della procedura di risanamento sono l’Organo straordinario di liquidazione (OSL), incaricato di provvedere al ripiano dell’indebitamento pregresso con i mezzi consentiti dalla legge, e gli organi istituzionali dell’ente, chiamati ad assicurare condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria e a rimuovere le cause strutturali all’origine del dissesto (art. 245). L’OSL, quindi, ha competenza relativamente a “fatti ed atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell'ipotesi di bilancio riequilibrato» (che il consiglio dell’ente locale presenta per l’approvazione al Ministro dell’interno entro il termine perentorio di 3 mesi dalla data di emanazione del decreto di nomina dell’OSL: art. 259, comma 1) e provvede a: a) la rilevazione della massa passiva, ai sensi dell’art. 254); b) l’acquisizione e la gestione dei mezzi finanziari disponibili ai fini del risanamento, ai sensi dell’art. 255; c) la liquidazione e il pagamento della massa passiva, ai sensi dell’art. 256 (art. 252, comma 4)”. Pertanto, il principio generale è costituito dalla creazione di una massa separata affidata alla gestione di un organo straordinario, distinto dagli organi istituzionali dell’ente locale, che continui a rappresentare l’asse portante dell’intera disciplina del dissesto, nonostante le modifiche intervenute nel tempo su taluni aspetti della procedura. Quanto alla formazione della massa passiva: - l’OSL provvede all’accertamento della massa passiva mediante la formazione di un piano di rilevazione (art. 254, comma 1); - nel piano di rilevazione della massa passiva sono inclusi: a) i debiti di bilancio e fuori bilancio di cui all’art 194 verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato; b) i debiti derivanti dalle procedure esecutive estinte ai sensi dell’art. 248, comma 2; c) i debiti derivanti da transazioni compiute dall’OSL in ordine a vertenze giudiziali e stragiudiziali relative a debiti rientranti nelle fattispecie di cui alle precedenti lett. a) e b) (art. 254, comma 3); - a seguito del definitivo accertamento della massa passiva e dei mezzi finanziari disponibili, e comunque entro 24 mesi dall’insediamento, l’OSL predispone il piano di estinzione delle passività, includendo le passività accertate successivamente all’esecutività del piano di rilevazione dei debiti, e lo deposita presso il Ministero dell’Interno in vista dell’approvazione da parte di quest’ultimo (art. 256, comma 6). E’ evidente, quindi, che la disciplina normativa sul dissesto, basata sulla creazione di una massa separata affidata alla gestione di un organo straordinario, distinto dagli organi istituzionali dell’ente locale, può produrre effetti positivi soltanto se tutte le poste passive riferibili a fatti antecedenti al riequilibrio del bilancio dell’ente possono essere attratte alla predetta gestione, benché il relativo accertamento giurisdizionale o amministrativo sia successivo. Con l’unico limite rappresentato, come detto, dall’approvazione del rendiconto della gestione che segna la chiusura della Gestione Liquidatoria; dopo tale data, infatti, è evidente che non sarà più possibile imputare alcunché a tale organo, in quanto, dal punto di vista giuridico, esso ha cessato la sua esistenza. Altrimenti, se i debiti accertati in via giurisdizionale posteriormente, ma riferibili a fatti antecedenti, potessero essere portati ad esecuzione direttamente nei confronti dell’Ente comunale, non solo verrebbe frustrata la stessa ratio e lo scopo della gestione liquidatoria, ma sarebbe pregiudicata la gestione delle funzioni ordinarie del Comune, prima che esso torni ad uno stato di riequilibrio finanziario, mettendo a rischio l’esercizio delle stesse funzioni e dei servizi fondamentali svolti dal Comune, che non potrebbe sostenere sul piano finanziario i costi di tali funzioni e servizi, essendo di fatto in uno stato di insolvenza. 5. Tali ultimi rilievi servono anche a confutare i dubbi circa la legittimità costituzionale delle norme sullo stato di dissesto, così come evocati dalle parti appellanti e riferite nell’ordinanza di remissione. Infatti, se lo scopo delle norme sullo stato di dissesto è quello di salvaguardare le funzioni fondamentali dell’ente in stato di insolvenza, permettendogli di recuperare una situazione finanziaria di riequilibrio e, quindi, di normalità gestionale e di capienza finanziaria, che altrimenti sarebbe compromessa dai debiti sorti nel periodo precedente, è evidente che tale interesse pubblico risulta prevalente, in base ad un giudizio di bilanciamento e di razionalità, rispetto agli interessi individuali e patrimoniali dei privati ancorché accertati con provvedimenti giurisdizionali. Peraltro, la stessa Corte costituzionale, con la sentenza 21 giugno 2013, n. 154, relativa ad analoghe disposizioni per le obbligazioni rientranti nella gestione commissariale del Comune di Roma (art. 4, comma 8-bis, ultimo periodo, D.L. 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, in L. 26 marzo 2010, n. 42), ha sostenuto che in una procedura concorsuale – tipica di uno stato di dissesto – una norma che ancori ad una certa data il fatto o l’atto genetico dell’obbligazione è logica e coerente, proprio a tutela dell’eguaglianza tra i creditori, mentre la circostanza che l’accertamento del credito intervenga successivamente è irrilevante ai fini dell’imputazione; e sarebbe irragionevole il contrario, giacché farebbe difetto una regola precisa per individuare i crediti imputabili alla gestione commissariale o a quella ordinaria e tutto sarebbe affidato alla casualità del momento in cui si forma il titolo esecutivo, anche all’esito di una procedura giudiziaria di durata non prevedibile (punto 7.1 del considerato in diritto). 6. Per quanto riguarda la giurisprudenza CEDU evocata dall’ordinanza di remissione, va premesso che tale orientamento non risulta completamente consolidato a livello di Corte dei diritti dell’uomo. Peraltro, ed in ogni caso, qualora si dubiti della corrispondenza della normativa nazionale primaria ai principi espressi dalla CEDU, si deve ricordare che l'art. 117, comma 1, Cost. comporta il dovere per il legislatore ordinario di non violare le previsioni contenute in accordi internazionali; tale previsione costituisce un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto agli obblighi internazionali, e, con essi, al parametro comunemente qualificato norma interposta, integrativa del precetto costituzionale. Le norme convenzionali, interposte tra la Costituzione e la legge ordinaria alla stregua di fonti intermedie tra leggi ordinarie e precetti costituzionali, sono dunque idonee a fungere sia da parametro di costituzionalità ex art. 117 Cost., sia (esse stesse) da oggetto del giudizio di costituzionalità; le disposizioni della CEDU (e quelle della Carta sociale europea), rimanendo pur sempre a un livello subcostituzionale, non si sottraggono al controllo di costituzionalità, essendo evidente, sul piano logico e sistematico, che la Costituzione non può essere integrata da fonti che ne violino i valori precettivi: la costituzionalità delle norme internazionali è, quindi, una precondizione ineludibile per il funzionamento del meccanismo di interposizione plasmato dall'articolo 117 citato. Al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, tenendo peraltro sempre conto degli interessi costituzionalmente protetti in altri articoli della Costituzione. Pertanto, l'art. 117, comma 1, Cost. condiziona l'esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali rientrano quelli derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, le cui norme (come interpretate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo) costituiscono fonte integratrice del parametro di costituzionalità introdotto dal citato comma 1 dell'art. 117 Cost. e la cui violazione da parte di una legge statale o regionale comporta l’illegittimità costituzionale della stessa, a meno che la norma della Convenzione non risulti a sua volta –a giudizio della Corte- in contrasto con una norma costituzionale (si tratta dell'operatività dei cc.dd. contro-limiti, soggetti a loro volta condizioni chiarite in dottrina come in giurisprudenza, che ne danno una lettura in senso “costruttivo” e non limitativo del diritto convenzionale). Di conseguenza, ove si ravvisi un contrasto della legge nazionale con i parametri della CEDU, la soluzione non può essere l’applicazione diretta della stessa e l’unica strada consentita all’interprete è rimettere la questione alla Corte costituzionale perché valuti la costituzionalità della legge alla luce del parametro interposto descritto dall’art. 117, coma 1, Cost.. 7. Nel caso di specie, tuttavia, non si ravvisa il contrasto con i parametri CEDU, così come prospettato nell’ordinanza di remissione, ove si insiste in particolare modo sulla circostanza che lo stato di dissesto, non essendo a priori limitato temporalmente, potrebbe, se eccessivamente protratto, comportare un’espropriazione sostanziale dei crediti dei privati, le cui azioni esecutive resterebbero paralizzate sine die. A prescindere dalla circostanza che tale dubbio afferisce ad un aspetto che attiene ad una situazione di fatto, connessa ad una mala gestione della procedura liquidatoria, deve essere osservato che il legislatore, con la descritta separazione tra la gestione liquidatoria e la gestione ordinaria dell’ente nonché con la sospensione delle azioni esecutive, ha inteso far fronte all’esigenza di assicurare massima certezza e una maggiore rapidità nella soddisfazione del ceto creditorio dell’ente locale nel rispetto dei princìpi ordinatori delle procedure concorsuali. Tali rilievi sono, peraltro, già stati esaminati dalla V Sezione di questo Consiglio con ordinanza di remissione alla Corte Costituzionale 21 luglio 2021, n. 5502. Quindi, e in conclusione, da un lato, va rilevato che, con la separazione tra le attività finalizzate al risanamento e quelle di liquidazione della massa passiva, il dissesto ha assunto una fisionomia analoga al fallimento privatistico, il quale, come è noto, non è sottoposto a termini finali certi senza che, per questo, si sia dubitato della sua legittimità costituzionale, trattandosi peraltro di un istituto diffuso a livello comunitario. Al riguardo, si osserva che il processo di omologazione tra dissesto degli enti locali e fallimento privatistico si è poi accentuato con i successivi interventi normativi, realizzati con il d.lgs. 25 febbraio 1995, n. 77 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali) e il relativo decreto correttivo (d.lgs. 11 giugno 1996, n. 336), con i quali si sono tra l’altro introdotte delle cause di prelazione dei crediti e si è previsto che l’organo straordinario di liquidazione predisponga un primo piano di rilevazione dei debiti recante l’elenco di quelli esclusi dalla massa passiva della procedura, strumentale all’erogazione del mutuo con la Cassa depositi e prestiti e il pagamento in acconto dei debiti inseriti nel piano di rilevazione. Dall’altro lato, va sottolineato che sussistono, anche in costanza di Gestione liquidatoria, contributi dello Stato per il pagamento dell’indebitamento pregresso in rapporto alla popolazione dell’ente dissestato (artt. 4 e 21 d.l. n. 8-1993), e quindi esistono correttivi normativi idonei a realizzare e plasmare l’interesse dei creditori dell’Ente i cui crediti siano confluiti nella Gestione liquidatoria. Al riguardo, deve peraltro aggiungersi che l’attività contrattuale della pubblica amministrazione è stata assoggettata alla normativa sul contrasto ai ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, di cui al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 (Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali), in particolare per effetto delle modifiche introdotte dal decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192 - Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell’articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180). In tal modo, la remunerazione dei crediti attraverso gli interessi di mora ai sensi del citato d.lgs. n. 231-2002 offre una compensazione al creditore, che si contrappone al rischio che il credito venga attratto nella massa della Gestione liquidatoria. Il dissesto finanziario degli enti locali si colloca quindi, in altri termini, all’interno dell’antitesi Stato-mercato. Infatti, per la copertura del disavanzo dell’ente locale e per il suo risanamento è previsto un intervento, sia pure non illimitato, dello Stato, con funzione tipica di “pagatore di ultima istanza” all’interno del sistema di finanza pubblica che da esso promana; a ciò si contrappone un regime dei debiti commerciali dell’ente locale proprio delle transazioni tra imprese, in cui non sono ordinariamente previsti interventi di sostegno pubblico contro l’insolvenza. Si ricordano, peraltro, anche le misure straordinarie relative alla possibilità che l’ente locale acceda alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale prevista dall’articolo 243-bis, contraddistinta dall’incapacità solo temporanea di fare fronte al servizio del debito e, al pari del dissesto finanziario, dall’intervento di risorse a carico del bilancio dello Stato, ovvero il Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali di cui all’art. 243-ter TUEL. Alla luce delle svolte considerazioni, si ritiene che le caratteristiche del procedimento di dissesto siano espressive di un equilibrato e razionale bilanciamento, a livello normativo, con la necessità, da un lato, di ripristinare la continuità di esercizio dell’ente locale incapace di assolvere alle funzioni e i servizi indispensabili per la comunità locale, e, dall’altro lato, di tutelare i creditori. L’equilibrio così delineato sul piano della vigente normativa rende evidente e manifesto che la disciplina sullo stato di dissesto non può ritenersi contrario ad alcun parametro costituzionale, né in via diretta né attraverso il meccanismo della norma interposta ex art. 117, comma 1, Cost.”.




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