Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Elvira Reale  -  02/05/2023

Violenza di genere versus ideologia di genere - Sent. Cassazione VI penale 14247/23, pres. Ricciarelli, rel. Paola Di Nicola Travaglini

La  Cassazione contro le consulenze prive di fondamento scientifico

Elvira Reale, Associazione Salute Donna, 

Consulente Commissione Femminicidio XVIII legislatura

Il fatto 

Il tribunale di Palermo confermava ii provvedimento con il quale ii giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari dell'allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle persone offese, con dispositivo elettronico di controllo, applicate a  N. per i reati di maltrattamenti in danno della  moglie e del figlio minorenne.

N. ricorre per cassazione contro l’ordinanza,  lamentando in particolare, per il profilo che qui interessa dibattere: 1.   la mancata valutazione che la denuncia fosse concomitante alla richiesta di separazione coniugale, con relative pretese patrimoniali, comprovante il fatto che la persona offesa fosse portatrice di interessi; 2.  la mancata valutazione della consulenza tecnica di parte della Dottoressa F., neuropsichiatra e criminologa; 3. la valutazione circa la mancanza di testimonianze terze al di fuori della persona offesa e del minore considerato manipolato.

La discussione per punti

Punto 1)

Siamo in presenza di uno dei pregiudizi imperanti nei nostri tribunali civili, che vengono qui riportati per togliere credibilità alla persona offesa: la denuncia strumentale, perché se una donna si separa, nella vulgata comune, e denuncia contestualmente il partner per violenza domestica (motivando in questo modo la sua decisione a separarsi) non è credibile. Secondo questo filone di pensiero quindi la donna deve denunciare un partner ma non chiedere la separazione, che è invece la logica conseguenza  per sottrarsi a un comportamento di maltrattamenti giunto evidentemente in una fase non più tollerabile e soprattutto rischiosa per sé e i figli minori. 

La sentenza su questo punto afferma in modo chiaro: “Le vicende processuali del civile con la separazione in atto, richiamate dal ricorrente,  non hanno nulla a che vedere  con la determinazione delle condotte maltrattanti verso la donna e il figlio minore”.

Ancora sulle false denunce adombrate nel ricorso attraverso la consulenza tecnica: “Infine, il ricorso concentra la propria intera attenzione, così come la consulenza tecnica in esso inglobata, sulle condotte assunte successivamente o contestualmente ai fatti da M, persino con un inconferente richiamo alle cd "false accuse" delle donne che denunciano violenza con un chiaro «intento manipolatorio del sistema legale, causando spesso errori giudiziari ma soprattutto gravi conseguenze per le persone ingiustamente accusate». Ancora una volta si tratta di apodittiche e generalizzate asserzioni, volte esclusivamente a colpevolizzare la vittima, spostando del tutto l'attenzione e l'analisi da quello che e l'unico oggetto del procedimento penale ovverosia l'accertamento della condotta maltrattante dell'autore”.

Sulle false accuse e sulla loro presunta preponderanza nel campo dei reati di maltrattamento familiare, vi è solo da aggiungere che le percentuali gonfiate sono ricavate dal numero di archiviazioni, queste sì elevate, tant’è che l’Italia è stata censurata a riguardo dal Consiglio d’Europa. E le archiviazioni non certificano l’insussistenza del fatto o la volontà calunniatrice della donna, ma più semplicemente, come accade molto più frequentemente,  la  mancanza di elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio. 

Punto 2)

Partiamo dai  sintomi post-traumatici messi in discussione dalla consulente, riesce difficile comprendere come la consulenza di parte del ricorrente, non incentrata sulla signora, sia potuta giungere a questa valutazione, visto che si fa riferimento ad un referto medico, redatto nelle immediatezze dei fatti, che rinvia ad una prognosi sostenuta di 20 giorni. Prognosi anche questa contestata come eccessiva, ma non è spiegato come la consulente, estranea al processo di refertazione, possa  affermarlo, trattandosi di valutazione in emergenza fatta da medici che hanno osservato la donna  in determinate situazioni e circostanze che non possono più essere riprodotte per una successiva osservazione. 

Su questo punto la sentenza afferma: “Alle medesime conclusioni di manifesta infondatezza si deve pervenire con riferimento alla consulenza medico-legale che in termini del tutto generici e formali contrasta il dato oggettivo ed inequivocabile del trauma facciale cagionato dal ricorrente alla moglie, tale da avere determinato una prognosi di 20 giorni, certificata dei medici del pronto soccorso”.

Passiamo poi  ai temi affrontati dalla consulenza sulla violenza di genere come ripotati in sentenza: “Attraverso detto elaborato è stata scientificamente dimostrata, anche con test, l'inattendibilità della persona offesa utilizzando la letteratura sull'Intimate Partner Violence (IPV) che contrasta "l'ideologia dominante secondo cui la violenza sia soltanto prerogativa maschile .... ", mentre "la violenza femminile all'interno della coppia è spesso uguale se non superiore a quella agita dai partner di sesso maschile". Grazie alla consulenza emerge che si è in presenza di una relazione conflittuale in cui la M. con un ruolo di potere, anche economico, che non la rende affatto vittima del partner, ha agito contro il ricorrente per esercitare "violenza legale". Infatti, secondo la consulenza tecnica, la credibilità della persona offesa è fondata sull' "ideologia gender-based della violenza tra partner" per cui vi è l'automatica convinzione che l'aggressività sia sempre dell'uomo nei confronti della donna, con conseguenti deformazioni percettive degli operatori, inclusa l'autorità giudiziaria, che non valuta che la M. non teme N., non sviluppa precauzioni nei suoi confronti e non manifesta sintomi post-traumatici”. 

Osserviamo che le affermazioni non sono in linea con i dati scientifici della letteratura internazionale. La violenza domestica e di genere come afferma la Convenzione di Istanbul colpisce in modo sproporzionato donne e ragazze. La violenza di coppia con i suoi effetti deleteri sulla salute colpisce il 30 % delle donne e delle ragazze  nel mondo, cosi come affermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (2013-17), e confermato  dalla ricerca europea sulla violenza contro le donne che fornisce gli stessi risultati statistici, e che  va oltre questa percentuale allargando la prospettiva anche sulla violenza psicologica. Nel mondo vi è anche una residuale violenza femminile contro gli uomini della coppia, ma è residuale  in termini di dati statistici e in termini di  impatto distruttivo  sulla salute e sulla vita. Questa violenza residuale e di minore entità si aggira intorno al 15 %  di fronte all’85% di casi di  violenza patita dalle donne  per mano degli uomini nella relazione di coppia. Le affermazioni quindi della consulente si pongono al di fuori di un contesto di conoscenza scientifica e appaiono solo come il risultato dei tanti pregiudizi che colpiscono le donne vittime di violenza. 

La sentenza a questo proposito afferma: “ Quando la violenza si consuma nell'ambito di una coppia costituita da un uomo e da una donna, come nel caso in esame, o nell'ambito familiare (figlio verso madre, fratello verso sorella, padre verso figlia, ecc.) non c’è alcuna "ideologia di genere", come scritto dal ricorso, ma viene adottata la prospettiva di genere nei termini sopra indicati dalle fonti sovranazionali, ovverosia una categoria interpretativa, correttamente e doverosamente adottata dai giudici di merito, volta ad accertare e valutare la violenza: a) per inquadrare i fatti in modo integrale e non parziale, b) per collocare ii delitto non come atto isolato mosso da ragioni naturali, biologiche, religiose, economiche o psicologiche, ma come riproduttivo di una quotidiana relazione di dominio di quell'uomo su quella donna proprio per motivi di genere; c) per riflettere la radice strutturale e discriminatoria del rapporto tra i sessi di cui al citato Preambolo della Convenzione di Istanbul”. E ancora:  “Il giudice è chiamato ad assumere, rispetto a queste fattispecie delittuose, la prospettiva di genere come metodo interpretativo riconoscendo che i reati di "violenza di genere", o per ragioni di genere, sono cosi definiti dallo stesso legislatore, oltre che da tutte le fonti sovranazionali, perché colpiscono quasi esclusivamente le donne e le bambine, proprio per essere tali, e sono commessi dagli uomini per affermare dominazione e controllo”.

Punto 3)

Ultimo pregiudizio veicolato dal ricorso, anche questo cavallo di battaglia di molti consulenti nei procedimenti civili, è la considerazione della non validità della testimonianza del figlio, per altro direttamente persona offesa del maltrattamento assistito: “ Le dichiarazioni della persona offesa non sono confermate da testimoni oculari, tale non potendosi ritenere ii figlio a causa ‘delle distorsioni cognitive-emotive a cui e sottoposto, derivanti dal rapporto simbiotico con la madre’”. 

Sulla carenza di attendibilità della testimonianza della P.O. la sentenza afferma: “Con riferimento ai reati di violenze di genere, che si connotano per la particolare dinamica delle condotte, spesso commesse in contesti chiusi e privi di testimoni, la deposizione della persona offesa può costituire unica fonte di prova anche quando la condizione di prostrazione, generata proprio dalla gravità o abitualità della violenza, la portano, nell'immediato, a nascondere quanto subisce per il senso di minaccia permanente che, da un lato, rinforza ii controllo dell'autore, e dall'altro rende possibile la prosecuzione della violenza (Sez. 6, n. 31569 del 12/07/2022, C., non massimata; Sez. 6, n. 27174 del 09/06/2022, H., non massimata)”.

Sulla inattendibilità del minore:  “L'argomento difensivo per cui le dichiarazioni convergenti di più persone offese, ritenute credibili e attendibili, quali moglie e figlio di N., non potrebbero riscontrarsi reciprocamente è di tutta evidenza destituito non solo di fondamento giuridico, ma anche di tenuta logica allorché richiama un non meglio precisato «rapporto simbiotico madre-figlio» che nulla ha a che vedere con le violenze che si assumono da entrambi patite da N.”

C’è da aggiungere, a proposito del rapporto simbiotico, che questa diagnostica della consulente adombra il costrutto ascientifico della PAS (alienazione parentale) che assume che il figlio sia manipolato dalla madre con cui ha un rapporto simbiotico, alias conflitto di lealtà, che lo porta a denigrare/ incolpare/ il padre di accuse false sotto condizionamento materno, e perciò stesso a rifiutarne il rapporto nei procedimenti civilistici dell’affido.

Infine, viene segnalato il percorso psicoterapeutico incoraggiato dal ricorrente al fine di superare la conflittualità attraverso una terapia di coppia e il sostegno alla moglie affiche si sottoponga a terapia psichiatrica. Il ricorrente nella richiesta di terapia di coppia vuole attestare la versione della conflittualità rispetto alla violenza e poi nella richiesta specifica di sostegno alla moglie, da effettuarsi con terapia psichiatrica, vuol far intendere che la donna, in alternativa all’accusa di essere violenta e calunniatrice, sia anche ‘pazza’ e quindi  sempre, ma  per diverso motivo, inattendibile. 

Conclusioni

La sentenza, rilevando la congruità dei fatti riscontrati nella fase preliminare delle indagini inerenti a testimonianze tutte convergenti sullo stato in cui la donna veniva ridotta dalle violenze del marito, fa a pezzi la consulenza tecnica: “Rispetto a detti univoci ed oggettivi elementi le deduzioni difensive risultano frutto di rilievi, legati a pregiudiziali assunti, ricavati da una consulenza di psicologia forense che postula, in termini apodittici ed ingiustificati, come genericamente la violenza domestica sia associata «a false accuse che presentano un chiaro intento manipolatoria del sistema legale», concludendo che M. peraltro, non esprime gli indicatori richiesti ad una donna vittima di violenza”. 

E ancora: “Si tratta di un tipo di argomentazione che si risolve in congetture, disancorate da fatti, riferibili a condizionamenti e pregiudizi personali”.

Il ricorso quindi è rigettato da tutti i punti di vista ma è sempre e soprattutto la consulenza  tecnica a essere messa sotto accusa quando nella sentenza  si afferma: “Si tratta dunque di assunti fondati: su costrutti interpretativi astratti, privi di riscontri metodologicamente affidabili, volti ad disarticolare il significato di comportamenti e fatti ritenuti comprovati dall'ordinanza cautelare genetica; sull'utilizzo di un approccio che allo stato risulta alla resa dei conti assertivo rispetto alla complessità del caso esaminato, che coinvolge anche un minorenne, e che non si misura in alcun modo con gli atti e con la fisiologia della valutazione spettante solo al giudice; sulla mancata valutazione delle fonti interne ed internazionali in materia di violenza di genere e domestica che infatti non sono mai citate; sull'utilizzo di test di cui non è concretamente attestata l'idoneità all'apprezzamento del caso concreto, peraltro non specificamente convalidati dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale, in rapporto alla loro reale capacita di distinguere il disagio psicologico, costituente diretta conseguenza della violenza reiteratamente vissuta, da meri disturbi di personalità, nonché la violenza dal mero conflitto, in assenza dell'indicazione dei rispettivi parametri.”

Ancora il disancoramento della realtà va di pari passo con l’invenzione di altre categorie pseudoscientifiche a difesa degli autori di reato come la ‘violenza/aggressione  legale’; si legge infatti in sentenza: “ si giunge ad affermare il carattere dolosamente non veritiero della violenza denunciata da M. e dal figlio, perché «è scientificamente attendibile che l'azione legale promossa dalla signora M. rientri di fatto nella categoria di violenza/aggressione legale, finalizzata ad arrecare danni psicologici, sociali prospetticamente di salute psicofisica al sig. N.».  

In allegato l'articolo integrale con note.


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