Famiglia, relazioni affettive  -  Elvira Reale  -  03/07/2024

Una sentenza esemplare della Corte di appello di Napoli in un caso di affido

Best interest  e prevalenza della volontà del minore in primo piano

Elvira Reale,  Gabriella Ferrari Bravo, Caterina Arcidiacono, Antonella Bozzaotra, 

Ester Ricciardelli (CTS del Centro studi e Ricerche ‘Protocollo Napoli’)

La Corte dAppello di Napoli è intervenuta ribaltando la decisione, presa tre anni prima dalla I sezione civile del Tribunale di Napoli, in merito ad un caso di affido di una minore. La decisione fu presa all’epoca, a parere dei giudici della corte dappello, senza una valutazione centrata sulla condizione della minore, allontanata ex abrupto dai suoi affetti, dal suo domicilio, dai suoi riferimenti abituali, all’età di sette anni, per ottemperare a un astratto e malinteso principio di bigenitorialità. 

Più volte abbiamo discusso di come il principio della bigenitorialità sia stato confuso in modo non corretto con il primario interesse del minore laddove, al contrario, da recenti pronunce di Cassazione  (Cass. n. 9691 del 2022, cfr. Cass., n. 19323 del 2020; Cass. n. 4790 del 2022) si evince un suo carattere recessivo di fronte a diritti ben più incisivi sulla vita di un minore, in primis quello alla salute e al benessere psicofisico evitando provvedimenti forzosi di tipo traumatico. 

In parecchi casi, invece, il principio della bigenitorialità sembra guardare più alle richieste dei genitori che al best interest dei minori, e nel corso dell’inchiesta della Commissione femminicidio al Senato della scorsa legislatura si è messo in risalto come tale “principio” sia invocato per adeguarsi alle richieste, anche quando risultano inopportune e scarsamente empatiche, nei casi di padri poco presenti nella vita dei figli fino a quel momento, se non descritti e anche denunciati come violenti. Nel caso che stiamo esaminando la Corte d’Appello, sul punto della decisione traumatica presa dal Tribunale di I grado, dichiara 

“Tanto si afferma in quanto, benché fosse indubbia la necessità che Anna (nome di fantasia) avesse un concreto rapporto affettivo con il padre senza ingerenze materne, il decreto di cui si tratta ha comportato che la predetta all’età di sette anni - per quanto indubbiamente confortata dall’affetto paterno - ha dovuto affrontare una modifica radicale della sua vita che ha visto contemporaneamente il suo distacco - di circa 800 chilometri- dalla madre e dagli affetti alla cui vicinanza era abituata, il cambiamento di casa, di città, delle abitudini di vita, nonché l’allontanamento dall’ambiente sociale, amicale e scolastico. Quanto sopra, dovendosi tenere presente che la violazione del diritto alla bigenitorialità da parte del genitore che ostacoli i rapporti del figlio con l'altro genitore non impone necessariamente misure estreme ma, nel superiore interesse del minore, deve essere considerata l’esigenza di scongiurare che il predetto subisca un trauma al suo sviluppo fisico- cognitivo in conseguenza di un brusco cambiamento dovuto all’allontanamento dal genitore con il quale ha sempre vissuto ed alla modifica di ogni sua consuetudine di vita”

Questo è il percorso logico che ha guidato la sentenza dappello. In esso soprattutto annotiamo il collegamento tra il rigetto del decreto di I grado (che riporta il pensiero e le parole di un adulto, benché giudice, e mai il pensiero e il racconto della bambina)  e laccoglimento, invece,  delle parole e dei  vissuti della minore così come raccolti, sia da tecnici in consulenza d’ufficio sia e soprattutto attraverso unaudizione diretta del giudice, accompagnata da uninterpretazione del sentire della minore basata sullascolto diretto. 

Non è sempre scontato che una Corte abbia la capacità di sintonizzarsi sul sentire di un minore, mettendosi anche nei suoi panni.

Anche senza condividere altri aspetti della sentenza, che gioco forza ripropone alcune anomalie presenti nella sentenza di primo grado veicolando pregiudizi sulle donne e sulle madri - colpisce molto favorevolmente questo approccio di natura empatica con la minore, da parte della Corte dAppello.

La Corte raccoglie quanto già è agli atti, sia nella relazione della CTU effettuata durante il primo grado di giudizio - CTU che pur individuando “ostatività” della madre al rapporto con il padre, non aveva però indicato il cambio di collocamento e di affido dalla madre al padre - sia da parte della psicologa che accoglie la minore nella nuova città in cui si trasferisce. La psicologa, infatti - seppur individua senza peraltro analizzarli alcuni effetti traumatici dell’allontanamento ex abrupto della minore dal suo contesto di vita abituale - dà atto del buon inserimento nella nuova situazione familiare, rappresentata dal nucleo formato dal padre e dalla sua nuova compagna, che la bambina aveva incontrato solo poche volte in precedenza:

“Tanto rilevato, si deve comunque considerare che la minore A. vive oramai a T. con il padre e la compagna del predetto da quasi tre anni e che, come emerge dalla relazione della psicologa dott.ssa F., si è ben adattata al nuovo contesto, va a scuola con ottimo profitto e non sono emerse difficoltà nella vita scolastica; inoltre, la sua vita quotidiana presenta occasioni di svago, amicizie, attività extrascolastiche e sportive e vive serenamente nel contesto familiare paterno, con riferimento al quale non sono emerse criticità. Ancora, la stessa dott.ssa B. che su A. ha svolto un lungo e completo lavoro di monitoraggio, ha concluso con un giudizio ampiamente positivo sulla struttura di personalità della minore, definita piena di risorse, dotata di buona intelligenza cognitiva ed emotiva, sensibile, brillante e con ottime capacità relazionali ed adattive ed ha altresì evidenziato che la predetta è costantemente proiettata su un suo bisogno sano di mantenere un rapporto con ciascuno dei genitori, provando lei stessa ad impegnarsi a mantenere insieme i due mondi dei genitori, nonostante tale analogo sforzo veda sicuramente meno impegnati di lei i due adulti. Ciò posto va ancora sottolineato che il rapporto tra il padre e la minore ha avuto una evoluzione positiva in quanto il predetto è divenuto un punto di riferimento concreto per A., capace di accudimento e contenimento affettivo. Nello stesso tempo, il rapporto della figlia con la madre è rimasto ben saldo, grazie anche all’ampio regime di visite riconosciute alla predetta e non ostacolate dal padre.

In sostanza emerge con chiarezza dalle risultanze processuali che la minore allo stato ha un buon rapporto con entrambi i genitori con i quali sta bene ed è serena ed altresì che lo scopo che il provvedimento reclamato si era

prefisso, quale quello di salvaguardare il rapporto padre-figlia, posto a rischio dalla condotta ostruzionistica della madre, è stato sostanzialmente raggiunto”.

Questa rappresentazione della nuova condizione di vita della minore appare edulcorata e contraddetta, poi, da quanto la minore riferisce sui propri stati emotivi, molto vicini, clinicamente parlando, ad uno stato di depressione occulta. Così come appare sicuramente un tentativo da parte della Corte d’Appello di sfumare un possibile attrito con il tribunale di I grado quando riconosce, dopo aver parlato in maniera netta di una soluzione all’epoca non condivisibile, un risultato positivo sopraggiunto dopo quella stessa decisione, prima censurata (il riavvicinamento alla figura paterna). Non si mette in rilievo, ad esempio, la contraddizione tra: 1. la presunta ostatività della madre al rapporto padre figlia e la capacità materna, osservata concretamente, di supportare la bambina nel difficile adattamento alla nuova realtà; 2. tra le difficoltà ovvie affrontate dalla minore per il cambio di affidamento - e conseguente cambio di città, scuola, amicizie, riferimenti sociali e affettivi - e il modo collaborativo con cui la stessa bambina ha affrontato la convivenza con un padre fino ad allora frequentato per brevi periodi (a causa della residenza  dei genitori in due città diverse a più di 250 km di distanza, della frequenza dei viaggi di lavoro paterni della durata anche di mesi, spesso all’estero) e con la compagna del padre (che non conosceva). Latteggiamento ben disposto e conciliante della bambina sarebbe stato, infatti, ben diverso fin dall’inizio della sua vita nella casa paterna se, come sottolineato nella sentenza di primo grado, la madre avesse realmente tentato - da sempre - di ostacolare la relazione padre-figlia. 

Nei fatti, dobbiamo invece concordare con la dottoressa Y. che Anna è una bambina sapiente che ha saputo districarsi, mostrando veramente doti eccezionali, tra opposte esigenze adattive da un lato e propulsive dall’altro che la portavano, dopo ben tre anni,  a non dismettere ancora (in altri casi i bambini allontanati non hanno saputo fare altrettanto) il progetto di rientro nella sua città di origine e nel domicilio  materno. 

La visione un po'  idilliaca dell’adattamento della bambina si scontra poi con quanto affermato, ancora una volta contraddittoriamente, dalla psicologa che lha avuta in cura per sostegno: 

“Ancora, la Y. ha sottolineato che A. era costretta quotidianamente a confrontarsi con la scarsa disponibilità dei due genitori a riconoscerle e legittimarle il bisogno dell’altro, con il rischio concreto di conflitti di lealtà con entrambe le figure genitoriali, finalizzati a soddisfare il suo bisogno di entrambi. Da quanto sopra deriva pertanto che in capo alla madre, così come nel padre, difetta la capacità di riconoscere il ruolo genitoriale dell’altro e di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto della figlia alla bigenitorialità e ad una crescita equilibrata e serena”. 

Ma questa annotazione è tuttavia interessante perché ci riporta alla sentenza di primo grado, dove la decisione del giudice, senza dare credito alla CTU da lui stesso incaricata, aveva individuato invece un solo responsabile del conflitto, la madre - come se fosse possibile avere un conflitto senza due attori - e una sola vittima, il padre, colpito (con modalità non meglio descritte) dall’ostatività materna. Pertanto, il padre era stato premiato come genitore non conflittuale, tanto da sottrarre la figlia alla madre, e di conseguenza a tutta la sua rete sociale e affettiva, per consegnarla con un affido super esclusivo nelle mani paterne.

La psicologa Y. era già intervenuta, durante ludienza di primo grado, a illustrare il desiderio della bambina di rientrare nella sua città e a casa di sua madre, nonostante non vi fossero segnali di disadattamento comportamentale; dobbiamo dire a riguardo che, se la bambina si comportava esteriormente in modo tranquillo, manifestava però un disagio interiore che, pur ben descritto nelle relazioni, non è stato preso in considerazione da parte del giudice di I grado, connotando il suo giudizio come mancante di empatia.

Ecco, invece, come si esprime la Corte dAppello a riguardo :

“Tanto rilevato assume a questo punto rilievo significativo, nell’interesse della minore, la circostanza che nel corso del procedimento A. ha esplicitato in più occasioni la nostalgia per il contesto napoletano ed il suo desiderio di fare rientro a Napoli. A tal proposito va ricordato che nel corso del primo grado di giudizio la psicologa dott.ssa XY ha riferito che la bambina, pur riconoscendo gli aspetti positivi della sua vita attuale e senza svalutare il contesto paterno, aveva manifestato il suo desiderio di rientro presso la casa materna e nel suo ambiente napoletano. Ancora, gli operatori sociali nella relazione del 00.00.2023 hanno segnalato che nei mesi di dicembre 2022 e gennaio 2023 la bambina, senza argomentare nulla a riguardo, in chiusura della seduta del progetto di educativa domiciliare, ha consegnato alla operatrice due bigliettini con scritto “Voglio tornare a vivere con la mamma, a T. qui sto male, ti può sembrare strano ma è la verità”; interpellata la minore nelle sedute successive sul senso di questa comunicazione, aveva riferito di essere comunque serena a casa del papà e di aver scritto i biglietti a causa della mancanza della mamma, con l’auspicio che fossero consegnati al Giudice”.

Proprio su questo punto bisogna fare chapeau alla Corte dAppello e al suo senso di empatia verso A., quando commenta la lettura di queste manifestazioni di disagio da parte del giudice di I grado:

“Ebbene, questa Corte non condivide la lettura che di tali manifestazioni ha dato il giudice di primo grado, che ha ritenuto di dover valutare il tema della “nostalgia” con un approccio critico e privo di valenze suggestive, sottolineando che la minore, in talune occasioni aveva esplicitato la nostalgia per il contesto napoletano, dichiarando il suo desiderio di farvi ritorno senza una specifica motivazione a supporto, e talvolta quasi nella forma della segretezza. Ancora si è sottolineato da parte del Tribunale che, avendo Anna manifestato di voler essere sentita dal giudice, aveva dato prova della sua impropria conoscenza delle tappe processuali e che, avendo detto di essere serena con il padre avrebbe smentito quanto da lei stessa affermato e cioè di “stare male” a T.”

E, fuori dalla logica del processo, possiamo considerare questa censura come un vero e proprio jaccuse verso il giudice di primo grado, che mette in evidenza una postura e un ragionamento che distorcono il sentire di una bambina di soli sette anni. Contro questa distorsione manifesta, che travalica la competenza giuridica e che non è dato conoscere in quale tipo di competenza affondi le radici, vediamo la Corte dAppello di Napoli  pronunciarsi a difesa, elaborando uninterpretazione autentica dello spirito e della lettera racchiuse nelle parole di questa bambina.

“Sull’argomento si ritiene opportuno ricordare che la psicologa dott.ssa Y. ha dato un giudizio ampiamente positivo sulla struttura di personalità della minore, l’ha definita piena di risorse, dotata di buona intelligenza cognitiva ed emotiva; è quindi perfettamente in linea con tale giudizio la circostanza che A. abbia inteso manifestare il proprio desiderio non in modo “segreto” ma proprio agli operatori che di lei si stavano occupando successivamente alla decisione di farla vivere a T. ed abbia fatto ciò attraverso qualcosa che rimanesse, come un biglietto scritto. Ancora, non si comprende quale altra motivazione avrebbe dovuto dare la minore oltre a quella della nostalgia di Napoli e della madre; ciò è difatti pienamente coerente con quanto dalla stessa dichiarato in ordine al fatto che con il padre stava bene ed era serena. Nemmeno si ravvisa contraddittorietà nel riferire di stare bene a T. con il padre e di stare comunque “male” per la mancanza della madre e della sua vita a Napoli, risultando chiaro il riferimento alla mancanza degli affetti lontani ed alla nostalgia ed è proprio l’inciso “ti sembrerà strano” a rendere ancor più attendibili tali dichiarazioni. Al contrario è proprio l’approccio sereno e costruttivo di A. rispetto alla nuova realtà, che induce a darle fiducia, nel senso di ritenere autentiche le esternazioni da lei espresse già nel corso del giudizio di primo grado, risultando invero secondario rispetto a quanto appena affermato, che le abbia manifestate anche alla madre e che quest’ultima le abbia condivise ed indubbiamente supportate”.

Ma la Corte non si ferma qui e, diversamente dalla strada intrapresa dal giudice di primo grado di non ascolto della minore - considerata imbeccata dalla madre, si apre all’ascolto della bambina infradecenne, citando a supporto tutte le leggi e le sentenze di cassazione sul punto:

“A quanto rilevato si deve aggiungere che questa Corte ha ritenuto necessario l’ascolto di G., in linea con quanto disposto dagli artt. 315 bis, 336 bis e 337 octies c.c. nonché dall’art. 12, Convenzione di New York del 20/11/1989, ratificata in Italia con la legge 176/1991 e dall’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25/01/1996, ratificata in Italia con legge n. 77/2003. Tali disposizioni riconoscono difatti al minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore se capace di discernimento, ad essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano. Tale ascolto è previsto come un obbligo e non una mera facoltà (cfr. Cass. sent. n. 1474/21) e costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse (cfr. tra le altre: Cass. ord. n. 12018/2019).”

Presa questa decisione, la Corte poteva tranquillamente ascoltare la minore senza ulteriore consulenza - sul punto invero dissentiamo - circa la capacità di discernimento più che provata dai rapporti con vari psicologi, tutti concordi sulle sue capacità; ma ciò è servito forse a far emergere con più chiarezza la volontà della bambina, fuori da un contesto bipartisan degli interessi della coppia genitoriale e con una focalizzazione sulla minore e sul suo reale tono emotivo. Infatti, la Corte dAppello riporta quanto riferito dalla psicologa incaricata di valutare ad abudantiam la capacità di discernimento:

“(A.)ha rappresentato anche alla predetta il suo intendimento di ritornare a Napoli presso la casa materna, posta affianco a quella in cui vivono i suoi nonni ed i suoi gatti. Ha descritto la sua vita a T. con aria malinconica e rappresentativa dell’assenza degli affetti che sente sussistere maggiormente nella residenza napoletana. La minore è apparsa consapevole delle cose rappresentate e spontanea nelle sue richieste ed inoltre ha alternato fasi di pronta attività con momenti di lucida tristezza che si configurava quando parlava della sua vita attuale in confronto con quella precedentemente svolta a Napoli. All’esito del colloquio A. è stata ritenuta dal Ctu dotata di capacità di discernimento ed inoltre è emersa la sua volontà, chiara e forte di essere ascoltata dai giudici al fine di portare agli stessi le proprie richieste”.

Ma è il colloquio con il giudice che rivela la capacità piena della Corte di interpretare il pensiero e la parola di questa bambina senza fare ricorso a teorie e costrutti ascientifici, quali quelli molto diffusi ancora dell’alienazione e della manipolazione materna.

Dice la bimba al giudice:

“Vorrei tornare come prima e così stare con mamma a Napoli e vedere papà nei week end. Preferisco stare con mamma perché mi trovo meglio, mi diverto anche di più. Dico a mamma che mi manca e che vorrei tornare a vivere con lei. Ho detto anche a papà che volevo tornare a Napoli. La prima volta glielo ho detto un anno fa circa e lui mi ha risposto che aveva deciso il giudice e c’era un motivo. Glielo ho detto altre due volte, l’ultima un paio di mesi fa e la risposta era sempre la stessa. So che mia mamma non vive bene il fatto che io sia lontana, lei me lo dice e io comunque lo capisco. Voglio dire però che ho il desiderio di tornare a Napoli perché qui non sto proprio “benissimo” perché sto meglio con mamma rispetto a papà, mi confido di più con lei e sento di volerle più bene rispetto a papà. Aggiungo anche che il mio desiderio di tornare a Napoli è per me e non tanto perché so che a mamma farebbe piacere. Circa la mia venuta qui posso dire che mamma mi ha detto che avrei parlato con la giudice per capire come sto in generale. Mi ha detto di dire quello che pensavo. Papà mi ha detto solo che dovevo venire a Napoli per parlare con il giudice. Non ho chiesto altro a nessuno dei due, sono venuta abbastanza volentieri. Quando sto con mamma sto bene, a T. sono un po' triste. Penso di aver detto tutto quello che volevo dire”.

Se da un lato questa è una sentenza sensibile e empatica nei confronti di una minore  cui restituisce il suo diritto di scelta, e cioè di vivere con la madre a cui era stata sottratta senza interpellarla e senza ascolto, dall’altro si poggia comunque su una cultura psico-forense che vittimizza e penalizza le donne, quando nelle accuse post-separative agli ex-partner è compresa una qualche tipologia di violenza anche solo psicologica. Infatti, nella sentenza di Corte d’Appello non è stata resa giustizia a questa madre, incolpata comunque di essere una cattiva madre(chissà perché poi la bambina preferisce stare con lei anziché con il padre, genitore preferito invece dal giudice di primo grado, e chissà come mai una cattiva madre, cui addirittura va sospesa la responsabilità genitoriale, è stata  capace di allevare una figlia in modo così adeguato e competente, al punto da far esprimere la psicoterapeuta F., subito dopo il trasferimento a T., in modo così positivo su A.,  sulla sua personalità, carattere, capacità di adattamento e resilienza allo stress).

D’altra parte, la sentenza di primo grado non solo non aveva fatto propria l’indicazione della consulente d’ufficio, super partes, ma aveva preferito seguire sul punto dell’affido quanto invece la consulente di parte del padre aveva indicato come consigliabile, facendo proprio però un giudizio comunque negativo espresso dalla CTU sulla madre. Un punto di vista basato fondamentalmente sul controverso, diremmo famigerato criterio dell’accesso, alla base della cattiva genitorialità, cioè il criterio-principe della psicologia forense che colpisce le madri, soprattutto quando vittime ‘presunte’ di violenza, che valida quella ostatività, che i dati di fatto e le testimonianze - “le carte” processuali - non confermano, ma che è dichiarata e asserita dal padre in lungo e in largo, senza che su essa, pur se  ’presunta’, si facciano accertamenti adeguati. 

Ma questa sentenza ha comunque la lodevole abilità di non entrare nel merito della sostenibilità del precedente regime di affido al padre, né sul contenzioso tra i genitori, nel gioco perverso su chi sia il più conflittuale.  Soprattutto, e molto più coerentemente, ha il merito di aver condotto un ascolto eccellente della bambina, interpretandone al meglio le esigenze e riportandola dalla madre, con la quale preferisce vivere nella propria quotidianità, come aveva sempre detto e cercato di spiegare agli adulti” che lavevano ascoltata - tra i quali non cera il suo giudice, fino allapprodo in Corte dAppello.

Si aggiunge, per completezza, che il padre della bambina ha proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza d’appello, chiedendone la sospensiva nelle more del giudizio. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso archiviando la richiesta di sospensiva della sentenza. La piccola è quindi rientrata nella sua città d’origine, a casa della madre, al termine dell’anno scolastico. 

Infine rimarchiamo in conclusione che questa bambina, sottratta alla madre senza un’ esauriente ragione rispetto al suo best- interest, sia psico-fisico, sia socio-relazionale, sia evolutivo, è stata sottoposta a un trauma ingiustificato ma anche  ad una prassi dilatoria che vede  provvedimenti incisivi sulla vita dei bambini (e delle persone)  avvenire sotto l’egida del ‘provvisorio’, rendendo, come spesso accade, gli stessi provvedimenti inoppugnabili in sede di appello. 

Morale della favola: se dobbiamo riconoscere i meriti alla Corte di appello di Napoli (e Cassazione compresa) di aver riportato la bambina a casa, non possiamo non sottolineare il grave ritardo (3 anni) con cui questo rientro è stato reso possibile. 


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