Letteratura  -  Giuseppe Piccardo  -  03/03/2023

Parole e pregiudizi di Maria Dell’Anno, Luoghinteriori, 2021

Il  libro “Parole e pregiudizi. Il linguaggio dei giornali italiani nei casi di femminicidio”, è un saggio importante e molto attuale che, come precisa l’autrice nel titolo del volume, propone una riflessione sul linguaggio utilizzato dai giornali e dai tribunali italiani nella narrazione del femminicidio. 

Per chi non si occupa a livello professionale di violenza di genere, o per chi non reputa importante il tema,  l’analisi del linguaggio nei casi di femminicidio o, in generale, di violenza di genere, può sembrare poco rilevante e importante, in quanto questione poco utile alla risoluzione concreta del fenomeno, a differenza degli strumenti legislativi e delle misure repressive penali. In realtà, i termini della questione sono esattamente rovesciati, rispetto a quelli appena enunciati.

Infatti, come tutti i problemi che trovano la propria origine nella cultura della società di appartenenza, l’approfondimento della tematica del linguaggio  si rivela necessario e fondamentale per poter far emergere e, di conseguenza, contrastare, gli stereotipi di genere e le discriminazioni, purtroppo sedimentati nella società e nella nostra quotidianità.

Il libro di Maria Dell’Anno,  giurista e criminologa, ma “soprattutto scrittrice”, come lei stessa afferma, è un volume ambizioso, che analizza quasi 300 articoli dei principali quotidiani italiani, nel periodo aprile 2019 - aprile 2020, relativi a 26 diversi  casi di femminicidio, con lo scopo di verificare se la narrazione di questi gravi fatti sia coerente, o meno, con l’impegno della prevenzione della violenza e di ogni forma di discriminazione, che anche il nostro Paese ha assunto con l’adesione e la ratifica alla  Convenzione del Consiglio d’Europa  sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica del 11 maggio 2011, nota come “Convenzione di Istanbul”.

Il volume si sviluppa in tre sezioni narrative, tutte relative a recenti fatti di femminicidio, avvenuti in diverse zone d’Italia, senza che, tuttavia, la geografia degli eventi nulla abbia cambiato, e nulla cambi, in relazione alla cronaca dell’uccisione di donne da parte di uomini violenti.

Infatti, tutte le narrazioni analizzate nel volume, hanno in comune l’enfasi su un’ improvvisa perdita di controllo da parte dell’uomo, nel contesto di una lite familiare o di una situazione di stress emotivo derivante da un procedimento di separazione o di divorzio in corso, con conseguente reazione violenta, tale da far venire meno autocontrollo e lucidità; un raptus, insomma, derivante da uno stato emotivo e passionale incontrollabile.

In tal senso, il caso emblematico che l’autrice propone, è l’uccisione di Charlotte Akassi Yapi, per mano del compagno, nel 2019.

Il secondo schema di narrazione proposto dai giornali e, in generale dai media, è quello che l’autrice definisce  come “ Morte annunciata”, relativo ai casi di femminicidio avvenuti all’esito di anni di violenze, molte volte denunciate alle autorità competenti; dunque, casi in cui si propone una versione di inevitabilità – ineluttabilità dell’evento criminoso. Esempio in tal senso è la morte di Adriana Signorelli, per mano, ancora una volta, non di uno sconosciuto, ma di un familiare, il coniuge,  sempre nel 2019, a riprova che quasi tutti i femminicidi vengono commessi da persone vicine alle vittime e che sostengono, una volta scoperti, di aver agito per amore della persona uccisa.

Il terzo stereotipo divulgativo è quello che Maria Dell’Anno definisce “ Amore tragico”, che la stampa e i media applicano nei casi in cui, come sopra accennato, si deve descrivere l’uccisore come innamorato della vittima e il femminicidio come una tragedia familiare incomprensibile  che, in molti casi, culmina con l’omicidio – suicidio dell’assassino, come nel caso emblematico proposto dall’autrice di Alice Bredice, uccisa da suo marito nel 2019 e come avvenuto, recentemente, nella città di origine dello scrivente, Savona, nel caso di Antonella Zanatta.

Dunque, i giornali, i mass media e, purtroppo, molti tribunali, come rilevato anche dalla CEDU, riconducono gli episodi di femminicidio a fatti , da un lato fisiologici alla crisi di coppia, dall’altro a situazioni imponderabili e improvvise, commettendo così, un errore narrativo e fattuale fondamentale, che travisa la realtà di fatto: non riconoscere che il femminicidio, come l’autrice ha ben evidenziato nel volume “’E’l modo ancor m’offende”, successivo a quello in commento, è l’epilogo di una serie di condotte di violenza fisica, ma soprattutto morale, che riducono la vittima in una condizione di soggezione psicologica tale da impedirle qualsivoglia forma di difesa e di reazione al male subito. Nonostante ciò, come sopra evidenziato, la donna uccisa è la colpevole di quanto subito, mentre l’omicida  è la vittima di una situazione, da lui non provocata e di un incontrollabile stato emotivo di rabbia, culminato con il gesto crimonoso.

La narrazione del femminicidio, così come effettivamente viene effettuata, risente, dunque, di fattori culturali, di stereotipi di genere radicati e consolidati nella nostra società, che i giornali, i mass media e i tribunali continuano, pervicacemente, a riproporre. Per questo motivo, dunque, occorre che il contrasto alla violenza di genere passi, in modo sempre più forte, attraverso l’analisi del linguaggio di genere e dall’uso corretto delle parole, che costituiscono armi potentissime di diffusione di messaggi stereotipati, errati e violenti nei confronti delle vittime di femminicidio.

Dunque, non si può che convenire con la professoressa Raffaella Scarpa, che nel volume “Lo stile dell’abuso – Violenza domestica e linguaggio”(edito da Treccani, 2022) evidenzia come nell’analisi della problematica della violenza domestica, nulla più del linguaggio venga sistematicamente sottovalutato, quando, invece, lo “stile del discorso” costituisce il mezzo fondamentale per ridurre e mantenere la donna in uno stato di soggezione e soccombenza. Il linguaggio è un’arma di potere e di soggezione molto pericolosa, quando non si sa utilizzarlo correttamente, e la violenza di genere si fonda proprio sul potere e sulla prevaricazione.

Concludo questa breve nota con le parole della scrittrice Maria Dell’Anno, autrice di un volume che segna un cambio di passo culturale significativo, in tema di violenza di genere, nella direzione dell’analisi del fenomeno femminicidio in relazione alle sue cause più vere e profonde, quelle culturali:  “Il problema è che se soggetti autorevoli come la stampa e i tribunali scelgono di descrivere i femminicidi adottando una serie limitata e preconfezionata di frame narrativi, sarà difficile che l’opinione pubblica, che non ha una formazione propria su quella problematica sociale, riesca ad adottare una visione critica di quel racconto, bensì lo accetterà come corretto, ancor di più perché va a confermare gli stereotipi culturali con cui tutti e tutte siamo cresciuti e con cui quindi la nostra mente si sente a suo agio (…) Allora diventa evidente perché è così importante riflettere sul linguaggio, riflettere non solo su cosa ci viene raccontato ma soprattutto su come ci viene raccontato. Perché l’informazione non solo informa, ma forma le nostre idee sulla realtà in cui viviamo. Il giornale non solo ci dice cosa è successo, ma anche cosa dobbiamo provare nei confronti di ciò che è successo”.




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