Diritto commerciale  -  Redazione P&D  -  28/06/2021

Le polizze Warranty & Indemnity: uno strumento da valutare nelle operazioni di merger and acquisition - Luca Ponti - Edoardo Tessari

Recentemente, l’avv. Luca Ponti è intervenuto a un webinar, in materia di operazioni societarie straordinarie e con particolare riferimento alle polizze Warranty & Indemnity, innovativo strumento assicurativo di origine anglosassone che, sempre più, sta prendendo piede anche in Italia, affiancandosi così alle tradizionali e già note garanzie concordate dalle parti nell’ambito delle operazioni M&A.

In particolare, è stato affrontato il tema analizzando l’istituto alla luce delle più “critiche” disposizioni di legge presenti nel nostro ordinamento in materia assicurativa, ed evidenziando – oltre agli indubbi vantaggi – anche i potenziali rischi che possono derivare dalla stipula di una polizza di tale specie. 

Le polizze Warranty & Indemnity, in particolare, consentono di trasferire al mercato assicurativo il rischio – congenito ed ineliminabile in ogni operazione di M&A – derivante dalla violazione delle representations and warranties, ossia le dichiarazioni e garanzie che il venditore rilascia al compratore al momento della conclusione del contratto di vendita, con riferimento a determinate situazioni di fatto e di diritto relative alla società target. Laddove le dichiarazioni e garanzie si rivelassero non veritiere, infatti, potrebbero derivare sopravvenienze passive, insussistenze o minusvalenze in grado di cagionare rilevanti danni all’acquirente, di cui normalmente il venditore è chiamato a rispondere.

Le polizze Warranty & Inndemnity, che possono essere stipulate contestualmente o a seguito della conclusione del contratto di vendita, permettono quindi di trasferire il rischio dell’operazione sulla compagnia assicurativa, consentendo, almeno in potenza, anche una più diversificata “gestione della lite”. 

Si deve considerare, infatti, che nell’ipotesi di verificazione di sopravvenienze passive, insussistenze o di minusvalenze, l’interesse delle parti non è sempre orientato da una medesima logica.

Difatti, nel caso che si affronti la posizione del venditore in toto delle partecipazioni, è evidente che costui, generalmente ha un interesse coincidente con il massimo risparmio nell’impatto della politica degli indennizzi, perché tanto più questi dovessero deflagrare come impatto economico, tanto più di fatto si ridurrebbe la convenienza del prezzo di vendita. 

Diversamente vale per l’acquirente che è vero che potrebbe avere un interesse a “ribaltare” l’impatto degli indennizzi a carico del venditore (se e quando ci fosse l’adeguata copertura), ma è vero anche che ha un interesse alla continuità della gestione, ergo a non perdere del tutto il contatto con il mercato e con i clienti ancorché i relativi impatti possano essere riversati sul venditore. 

Si fa l’esempio di un credito garantito dal venditore che magari l’acquirente non ha interesse a riscuotere per l’intero per mantenere dei rapporti di vicinanza con il cliente, anche se ciò comporta un sacrificio economico potenzialmente indennizzabile dal venditore. 

Vale per esempio nelle vicende conflittuali con rapporti debito-credito tra la società target e i terzi, dove l’interesse alla transazione può appunto avere connotati diversi da quello di “strozzare la transazione” per ribaltare gli effetti sul venditore, ovvero di transare a condizioni potenzialmente confliggenti con gli interessi del venditore, ma utili alla miglior prosecuzione dei rapporti. Tutto può essere flessibile e non solo strettamente economico. 

Questo è il motivo per cui il capitolo della gestione delle liti connesse a sopravvenienze passive, insussistenze o minusvalenze può perseguire logiche diverse tra il venditore che garantisce e l’acquirente che è garantito, con le ulteriori variabili nel caso in cui il venditore magari non sia totalmente tale perché conserva una partecipazione nella società e un ruolo nella cogestione della stessa. 

Occorre pertanto dire che la disciplina dell’indennizzo non è l’unica chiave di lettura del potenziale antagonismo tra venditore e acquirente, ma può essere diversamente sfaccettata laddove l’indennizzo possa avere un interesse ad essere negoziato anche per ragioni estranee, tipicamente quella delle liti con terzi e della relativa gestione/abbandono della stessa

E’ evidente, secondo questa prospettiva allora, come la circostanza che – grazie alla stipulazione della polizza W&I – le perdite del soggetto assicurato siano coperte da un soggetto terzo (l’assicurazione) consenta di evitare uno scontro tra le parti ma non sia ancora una riposta totalmente soddisfacente se nel contempo non trovasse disciplina anche chi gestisce le liti, con che regole, chi le transa, con che effetti: il tutto con disciplina estesa anche all’assicuratore che deve in qualche modo adeguarsi all’elasticità di queste regole.

Riflettendo sui temi più tipicamente economici e accantonando per un momento come detto quelli strategici connessi alla migliore prosecuzione dell’attività imprenditoriale, va precisato che comunque l’alleggerimento del rischio che deriva dalle polizze warranty & indemnity si riflette sicuramente in termini positivi sugli aspetti economici dell’operazione.   

Questo alleggerimento del rischio, peraltro, si riflette positivamente anche sugli aspetti economici dell’operazione: a mero titolo esemplificativo, infatti, si può pensare che – salvo ovviamente il pagamento del premio assicurativo – la polizza W&I consente di non dover vincolare ingenti somme a garanzia delle perdite conseguenti alla non veridicità delle dichiarazioni o garanzie (come invece avviene con il cd. escrow agreement), garantendo così una maggiore liquidità. Nello stesso senso la polizza, a differenza di una tradizionale garanzia bancaria (p.e. la fideiussione) non riduce la capacità di ricorrere al credito presso istituti bancari.

Ma i potenziali vantaggi che derivano – nelle complesse dinamiche e sottili equilibri di un’operazione societaria straordinaria – dalla stipula di una polizza W&I, variano sensibilmente anche in ragione del soggetto assicurato. 

Giova precisare che le polizze W&I, infatti, possono essere stipulate sia dall’acquirente che dal venditore, con diverse conseguenze. 

Nel primo caso, la polizza (c.d. polizza buyer side) viene stipulata dal soggetto che effettua l’investimento nell’ambito dell’operazione di M&A, per avere la certezza di vedersi indennizzate le perdite eventualmente subite in conseguenza di una violazione delle reps & warranties rese dal venditore.

Nella seconda ipotesi (c.d. polizza seller side), la polizza viene stipulata dal venditore, e quindi dal soggetto che aliena la propria partecipazione societaria, e che presta le dichiarazioni e garanzie. In questo caso, la polizza opera direttamente nell’interesse del venditore – fornendo la finanza necessaria a far fronte alle eventuali richieste risarcitorie avanzate dal compratore deluso – ma, indirettamente, anche nell’interesse del compratore. Nell’eventualità in cui il compratore avanzasse pretese nei confronti del venditore, infatti, quest’ultimo, in forza della polizza stipulata, riceverebbe gli importi necessari al risarcimento direttamente dalla compagnia assicurativa, con maggiori garanzie di solvibilità per il compratore. 

Nel panorama assicurativo, tuttavia - oltre alle diverse polizze W&I che ogni giorno originano e si evolvono per adeguarsi sempre più agli interessi del mercato – esiste anche una terza tipologia di polizza, che vede nel venditore la parte contraente ed nel compratore la parte assicurata, beneficiaria della polizza (cd. polizza sell side flip). In questo caso, dunque, il premio della polizza viene pagato dal venditore, ma, in caso di sinistro, l’assicurazione risarcirà direttamente il compratore, con manifesti riflessi “indiretti” in tema di determinazione del prezzo di vendita. Il compratore, infatti, a fronte della garanzia offerta dal venditore – e quindi della certezza di vedere eventuali minusvalenze, insussistenze o sopravvenienze passive coperte dalla polizza – sarà (verosimilmente) propenso a pagare un prezzo superiore per l’acquisto.

Ecco, quindi, che a seconda del soggetto contrante/assicurato, la polizza presenterà tratti peculiari, i quali si riflettono sia sul piano economico-finanziario dell’operazione, sia su quello più strettamente giuridico.

Peraltro, calando l’istituto nel panorama normativo italiano, si appalesano alcune “criticità”, cui prestare particolare attenzione al momento della stipula della polizza, al fine di non incorrere, al momento del sinistro, in “dolorose sorprese” sull’applicazione del diritto italiano, ancorché non constino allo stato precedenti di merito, e ancor di più della Suprema Corte, di sorta. 

Tali “criticità”, in particolare, discendono da due ordini di ragioni.

La prima deriva dalla circostanza che lo strumento assicurativo in esame ha visto la propria genesi nell’ambito dell’ordinamento e segnatamente del diritto anglosassone, il quale presenta un’impostazione sostanzialmente differente da quello italiano, ed ove il trasferimento del rischio al mercato assicurativo, non soltanto nell’ambito delle operazioni di M&A, è fisiologico e maggiormente radicato nella cultura degli operatori. Non si può e non si deve quindi ritenere sufficiente una mera traduzione letterale di una “Warranty & Indemnity policy” straniera, affinché la stessa possa essere introdotta nell’ordinamento nazionale. L’istituto, infatti, dovrà necessariamente essere adeguato alle peculiarità della normativa italiana (e dei suoi riflessi antropologici e culturali, che hanno sempre dei riflessi anche nel diritto).

La seconda fonte di “criticità”, invece, discende più in generale dalla disciplina del contratto tipico di assicurazione dettata dal codice civile italiano che, come si vedrà, sottende una certa “diffidenza nei confronti dei soggetti assicurati”, giusta la loro tendenza ad abusare degli strumenti assicurativi.

Tale scetticismo, segnatamente, si può rilevare in primo luogo dal tenore dell’art. 1900 c.c., il quale sancisce che “L'assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo o da colpa grave del contraente, dell'assicurato o del beneficiario [..]”. Norma evidentemente volta a disincentivare il soggetto al quale spetterebbe l’indennizzo dal cagionare volontariamente (o con colpa grave) il sinistro.

Come trova applicazione tale norma in riferimento alle polizze W&I? In capo a quale soggetto deve essere ravvisabile il dolo o la colpa grave tale da pregiudicare l’operatività della polizza?  

Al fine di poter dare una risposta a tali interrogativi, si rende necessario distinguere gli effetti rispetto alle tre principali tipologie di polizze W&I sopra illustrate, salvo dover valutare ed esaminare il caso concreto, e le sue peculiari sfaccettature.  

Gli scenari che si possono profilare, in particolare, sono allora i seguenti.

Con riferimento alle polizze c.d. buyer side, queste di norma assicurano copertura, in favore dell’acquirente, in caso di dolo o colpa grave del venditore. Ma, certamente, la polizza non opererebbe nel caso in cui l’acquirente medesimo agisse in “mala fede”. L’acquirente, pertanto, nei rapporti con l’assicurazione, deve effettuare una disclosure informativa assolutamente simmetrica e speculare ai dati acquisiti in sede di due diligence e, più in genere, nelle attività preparatorie dell’operazione: ciò, evidentemente, al fine di evitare e prevenire ogni possibile eccezione dell’assicurazione, nell’ipotesi di verificazione di un sinistro. Vitale quindi si presenta la necessità che si renda partecipe fin da principio per tutto il percorso di due diligence l’assicuratore/i relativi legali per evitare che un domani lamentino il difetto di conoscenza, ben più difficile da eccepire in caso di contestualità e di progressione nella conoscenza delle garanzie patrimoniali e dei rischi da coprire laddove si lavori in contestualità. 

Le polizze c.d. seller side, invece, escludono la garanzia in caso di dolo del venditore medesimo. E ciò risulta assolutamente comprensibile, anche ragionando in termini non strettamente giuridici. Salvo poi, dover considerare che il dolo o la colpa grave possono riguardare non solo l’imprenditore-venditore, ma anche i suoi dipendenti, con riferimento all’operato dei quali l’imprenditore è chiamato a rispondere: con la conseguenza che anche il dolo o la mala fede dei dipendenti potrebbe ripercuotersi sulla validità della polizza, inficiandone l’operatività. 

Non va poi sottaciuto come la mancata operatività della polizza in favore del venditore in “mala fede”, pregiudichi, seppur indirettamente, anche il compratore. In tal caso, infatti, l’acquirente vedrebbe le proprie aspettative risarcitorie garantite solo dal patrimonio del venditore (il quale non riceverà alcun indennizzo da parte dell’assicurazione). E’ evidente in questo caso che l’interesse dell’acquirente è quello di coprirsi comunque con una “subordinata” di garanzia laddove la polizza “non funzioni”, così anche da disinnescare l’interesse del venditore a consumare una malafede rappresentativa che, nel rendere inefficace la polizza, in realtà avvantaggia se stessa. In una parola, il venditore non va liberato mai nel caso che la polizza difetti addirittura per condotta del venditore

Caso peculiare, con riferimento al quale potrebbero porsi maggiori criticità, è certamente costituito dalle polizze c.d. sell side flip (che comunque occupano allo stato una fetta assolutamente marginale del mercato assicurativo, ove le buyer side rappresentano più del 95% delle polizze W&I), nelle quali, come detto, il contraente è il venditore, mentre il soggetto beneficiario della polizza è l’acquirente. In questo caso vi è quindi una dissociazione soggettiva tra contraente (il venditore) e beneficiario/assicurato (il compratore).

E quindi, ai sensi dell’art. 1900 c.c., il dolo/colpa grave deve ravvisarsi in capo al venditore contraente o in capo all’acquirente assicurato, o, ancora, in capo a tutti e due?

La questione risulta evidentemente di primaria importanza: non potendo affrontare esaustivamente la questione in tale sede, suggeriamo la seguente problematica, anche ricordando, come detto, come non esista ancora giurisprudenza in merito. 

Come già detto, se fosse sufficiente il dolo (o la colpa grave) del venditore per escludere l’indennizzo a favore dell’acquirente, la polizza, di fatto, sarebbe “svuotata” della sua funzione di garanzia, lasciando il compratore “in balia” della malafede del venditore. 

Ecco, dunque, che il compratore medesimo dovrebbe premurarsi di strutturare una tutela adeguata (magari come si diceva subordinata) anche per tali casi, e, in tal senso, risulta in via generale opportuno che la garanzia fornita dalla stipula di una polizza W&I si affianchi, e si bilanci, anche con ulteriori garanzie più tradizionali.

A parere di chi scrive, tuttavia, è proprio in capo all’acquirente che si dovrebbe vagliare la sussistenza del dolo o della colpa grave, ai fini dell’applicabilità dell’art. 1900 c.c..

Proseguendo nella disamina, ulteriori disposizioni in materia di assicurazione foriere di criticità – che richiederebbero un elevato grado di approfondimento e che in questa sede ci si limiterà ad accennare – sono rappresentate dagli articoli 1892 e 1893 del codice civile. 

I citati articoli riguardano le dichiarazioni che il contraente – in sede di stipula della polizza – rende all’assicurazione per permettere a quest’ultima di determinare correttamente il rischio da assicurare.

In particolare, ai sensi dell’art. 1892 c.c., le dichiarazioni inesatte e le reticenze del contraente, a tal punto gravi da ritenere che senza di esse l’assicuratore non avrebbe acconsentito alla stipula della polizza, o non avrebbe acconsentito alle medesime condizioni, sono causa di annullamento del contratto, qualora il contraente abbia agito con dolo o colpa grave.

L’art. 1893 c.c. disciplina, invece, la medesima ipotesi delle dichiarazioni gravi o reticenti, ma in assenza di dolo o colpa grave del contraente, consentendo all’assicurazione di recedere dal contratto. 

Sotto la soglia della colpa, invece, vi potrà essere, nel concreto, una mancata operatività della polizza con riferimento al singolo sinistro, con il limite dell’area grigia della colpa lieve in relazione alla quale le pronunce giurisprudenziali non risultano omogenee. 

Ebbene, le suddette norme presentano molteplici questioni di interesse in relazione alle polizze W&I. 

In primo luogo, si deve sottolineare come le maggiori questioni applicative sorgano con riferimento al concetto di reticenza. Mentre, infatti, la verità di un’informazione può essere parametrata e verificata con riferimento a dati oggettivi, il concetto di reticenza coinvolge la sfera cognitiva del soggetto contraente ed appare di difficile determinazione astratta ancor più quando si confezioni solo con una condotta omissiva e non con una reticenza commissiva di natura “depistante”.

 Quando l’omessa comunicazione di un’informazione è qualificabile come reticenza? Per poter dare una risposta all’interrogativo, infatti, risulta necessario determinare quale sia il grado di conoscenza esigibile dal contraente assicurato caso per caso.   

La reticenza, infatti, si può configurare anche laddove il soggetto contraente – pur non conoscendo di fatto una determinata situazione rilevante per la stipula della polizza – avrebbe dovuto conoscerla, secondo uno standard di ordinaria diligenza esigibile dall’operatore. Ecco, quindi, che può assumere rilevanza anche una reticenza colposa del contraente, il quale non si è operato adeguatamente per assumere le necessarie informazioni. Ben si coglie l’insidia e il rischio di sindacato affidato al Giudice su questo tema nell’attualizzare caso per caso quanto fosse ragionevole che il contraente sapesse del tema omesso di rappresentare. 

Attualizzando le nozioni sopra enucleate ancora una volta alle tre tipologie di polizze W&I, dunque, si possono profilare i seguenti scenari.

Con riferimento alle c.d. polizze seller side, Il venditore – soggetto che fisiologicamente è in possesso (o che dovrebbe esserlo) del bagaglio informativo più ampio – subirà certamente le conseguenze pregiudizievoli delle proprie false dichiarazioni o reticenze, secondo lo schema delle due richiamate disposizioni normative: annullamento del contratto laddove si configuri il dolo o una colpa grave, recesso dell’assicurazione in assenza di tali presupposti. Venditore che, tuttavia, rischia di pregiudicare anche le aspettative di garanzia del compratore, laddove la polizza stipulata (sulla base delle false dichiarazioni o reticenze) sia di tipo sell-side flip.

Questione certamente più delicata, invece, è rappresentata dal caso delle polizze c.d. buyer side, ove, almeno in astratto, le informazioni che rilevano ai fini dell’applicabilità degli articoli 1892 e 1893 c.c. sono quelle fornite dall’acquirente.

In tali ipotesi, se si considera la ratio della polizza nell’ambito dell’operazione di M&A, non dovrebbe porsi un rischio di reticenze da parte dell’acquirente. 

Le criticità possono originare in relazione ai dati non noti (e quinti taciuti) dal compratore, che, tuttavia, in forza del predetto standard di diligenza, avrebbero dovuto essere conosciuti dallo stesso.  

Ebbene, sotto questo profilo, una chiave di tutela per l’acquirente si può rinvenire nell’interpretazione che la giurisprudenza fornisce con riferimento alle norme in esame, secondo la quale l’area di informazioni (o reticenze) rilevante sarebbe rappresentata dalle mere nozioni e dati oggettivi, mentre resterebbero escluse dall’applicazione delle norme in commento le valutazioni e le interpretazioni operate con riferimento a tali dati.

Seppure da un punto di vista teorico tale distinzione dati/interpretazione possa avere un suo significato, nel concreto la questione risulterà sempre verosimilmente molto nebulosa e opinabile. E soprattutto differenziabile caso per caso e soggetto per soggetto analizzato.

Si consideri, infatti, che molte delle informazioni di cui l’acquirente è in possesso sono il risultato di un’attività di due diligence, la quale, inevitabilmente, implica una “valutazione” dei dati storici. 

Anche in questo caso, pertanto, in un’ottica di tutela, e dunque per evitare l’applicabilità degli articoli 1892 e 1893 c.c., l’acquirente dovrebbe premurarsi di coinvolgere l’assicurazione (ed in particolare l’ufficio legale di quest’ultima) sin dalle prime fasi dell’operazione, e del processo di due diligence, dando origine a un meccanismo di simmetria informativa sui dati inerenti la società target. 

Un ultimo – e a parere di chi scrive di ancor più complessa interpretazione – riferimento normativo, che in questa sede ci si limiterà ad accennare, è costituito dall’articolo 4, comma 2, del Regolamento ISVAP 29/2009, relativo al “perimetro” del rischio che l’assicurazione può garantire nell’ambito di un’operazione straordinaria di M&A. 

Per sua stessa natura, infatti, l’assicurazione non può fornire copertura a tutte le sopravvenienze passive, insussistenze e minusvalenze che, in astratto, potrebbero manifestarsi. L’assicurazione, in particolare, non può fornire garanzia in relazione ai rischi che non siano in qualche misura predeterminabili. Rimangono, dunque, esclusi dall’ambito di applicazione delle polizze assicurative i contratti di natura finanziaria (ad esempio i contratti di swap), e, più in generale, i cd. contratti aleatori: quei contratti, cioè, il cui rischio è geneticamente variabile e non suscettibile di determinazione ex ante. In sintesi sono extra tutela tutte quelle clausole fondate sulla redditività o sulle prognosi favorevoli di business con risultati di esercizio in qualche modo garantiti ma pur sempre legati all’area di mercato e alla fisiologica area gestorea. Questo vale ancor di più se ciò è disancorato dalla colpa: come si fa a garantire e riflettere la garanzia a livello assicurativo sul minor risultato operativo connesso a un organo di gestione che, senza essere in colpa, non si è “impegnato quanto avrebbe potuto” e non ha quindi ottenuto i risultati garantiti all’acquirente (i cosiddetti under performers)?   

Segnatamente, il citato articolo 4, comma 2 del Regolamento ISVAP 29/2009 sancisce che “[..] In ogni caso non sono rilasciabili le coperture destinate a garantire il rimborso di sopravvenienze passive o minusvalenze su elementi patrimoniali derivanti da valutazioni conseguenti ad operazioni straordinarie di impresa”.

La disposizione in esame sottende una molteplicità di questioni, anche in considerazione delle polimorfismo che caratterizza le operazioni straordinarie.  

Tuttavia, non potendo – per ragioni di sinteticità – analizzare tutti gli aspetti sottesi alla norma in esame, ci si limita ad evidenziare come, sul significato da attribuire alla stessa con precipuo riferimento alle polizze W&I, sia intervenuto – con intento chiarificatore – lo stesso ISVAP (oggi IVASS, Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni), il quale ha pubblicato un’interessante, quanto oscura, FAQ.

L’ISVAP, in particolare, ha affermato che, ferma l’operatività generale del citato articolo 4, co. 2 del Regolamento n. 29 del 2009, possono essere rilasciate le polizze W&I alle seguenti condizioni.

Se stipulate dal venditore (c.d. polizze seller side), possono essere stipulate laddove siano finalizzate ad assicurare il rischio derivante dagli obblighi di indennizzo di quest’ultimo, in caso di violazione di specifiche dichiarazioni e garanzie rese all’acquirente nell’ambito di un’operazione di M&A. E sotto questo profilo, l’interpretazione offerta dall’Istituto risulta di agevole comprensione.  

Maggiori difficoltà interpretative, invece – pur a seguito dell’intervento dell’ISVAP – si riscontrano in relazione alle polizze c.d. buyer side, con riferimento alle quali l’Istituto ha “chiarito” che possono essere stipulate “laddove basate su circoscritti ed individuati impegni non derivanti da valutazioni, suscettibili di un’adeguata stima attuariale del rischio e idonee a dar luogo a indennizzi non coincidenti con il corrispettivo dell’operazione straordinaria di impresa”. 

Ebbene, alla luce di ciò, le polizze c.d. buyer side sembrerebbero rilasciabili – il condizionale è d’obbligo stante l’evidente complessità della risposta fornita dall’ISVAP – in quanto (i) relative a dichiarazioni o garanzie su dati oggettivi (che non siano, quindi, il frutto di interpretazione o valutazione dell’acquirente) oggettivamente valutabili dall’assicurazione, e (ii) nelle quali l’indennizzo previsto non sia correlato al prezzo pattuito per l’acquisizione. Le insidie come risultati finali e gli approcci come norma di cautela appaiono quindi consigli di provvidenziale “legittima difesa contrattuale”. 

In conclusione – alla luce della panoramica sulle principali questioni e potenziali criticità relative all’istituto delle polizze di Warranty & Indemnity, oltre che in ragione della endemica complessità delle operazioni societarie  straordinarie, a parere di chi scrive, è quanto meno consigliabile che la parte interessata, sia essa il venditore o l’acquirente, venga “accompagnata” e consigliata nel processo di stipulazione della polizza dall’avvocato. La polizza, infatti, al fine di garantire un’effettiva tutela, deve essere accuratamente plasmata sul contratto di vendita e, più in generale, sulle peculiarità dell’operazione di M&A, con particolare attenzione alla simmetria informativa che è opportuno predisporre nei rapporti con l’assicurazione, facendo tesoro di tutti i suggerimenti qui solo sinteticamente enucleati. 




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