Diritto commerciale  -  Redazione P&D  -  30/08/2024

Sui finanziamenti tra società eterodirette da medesima persona fisica - Fabio Valenza

1. La massima giurisprudenziale. 2. La vicenda processuale. 3. Le questioni giuriche: l’azione della società eterodiretta e la corrispondente legittimazione sostitutiva del curatore. 4. (segue): la restituzione del finanziamento soci, ripetizione dell’indebito o regola concorsuale? 5. (segue): l’eterodirezione esercitata da persona fisica. 6. I rimedi approntati dall’ordinamento.

 

1. La massima giurisprudenziale. 

Diversi sono gli aspetti disciplinari legati al tema dei finanziamenti dei soci alla società e/o tra società eterodirette da medesimo soggetto, aspetti che hanno costituito l’oggetto di una recente pronuncia della Corte di Cassazione, 30 maggio 2024, n. 15196, dalla quale si ricava il seguente principio di diritto:  In tema di finanziamento dei soci [ – o proveniente da altra società sottoposta a comune direzione – ], la postergazione disposta dall’art. 2467 [e dall’art. 2497-quinquies] cod. civ. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio [o dell’altro soggetto finanziatore] alla restituzione del finanziamento sino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico-finanziaria prevista dalla norma; ne consegue che la società è tenuta a rifiutare al socio [o all’altro soggetto finanziatore] il rimborso del finanziamento, in presenza dell’indicata situazione, ove esistente al momento della concessione del finanziamento, ed a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell’organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in grado di rilevare la crisi; e che la violazione della regola [ – pur escludendosi, sia l’azione della società eterodiretta e la corrispondente legittimazione sostitutiva del curatore, sia la ripetizione della restituzione del finanziamento se avvenuta oltre un anno prima del fallimento della società finanziata – ] può dar luogo a plurime forma di tutela, tra le quali, senz’altro, la responsabilità, nei confronti dei creditori, degli amministratori di una società che abbiano restituito somme in violazione della norma predetta”.  La decisione in esame affronta diverse questioni riguardanti la disciplina, e relative interrelazioni, del finanaziamento dei soci ex art. 2467 cod. civ. e della responsabilità per l’attività di direzione e coordinamento di società ex art. 2497 ss. cod. civ., inquadrandole nel più ampio contesto della normativa societaria e dell’insolvenza. L’intreccio normativo oggetto della vicenda processuale è, indubbiamente, assai complesso, ed il merito della decisione resa dalla Suprema Corte è quello, sia di aver sciolto diversi (se non tutti i) nodi interpretativi, sia di aver mostrato i rimedi opportunamente predisposti dall’ordinamento per la tutela degli interessi sottesi a vicende corrispondenti a quella oggetto del giudizio giunto al suo esame. 

2. La vicenda processuale

I fatti all’origine della vicenda processuale sono i seguenti: Tizio è socio di maggioranza ed amministratore, sia della società Alfa srl, sia della società Beta spa (sucessivamente trasformatasi in Beta sas); Alfa srl riceve un finanziamento di euro 2.000.000,00 da Beta spa ed utilizza in parte tale finanziamento per restituire un precedente prestito di euro 500.000,00 in precedenza ricevuto dalla società terza, Gamma spa. Successivamente alla restituzione del primo prestito a Gamma spa, Alfa srl ottiene da Gamma spa altro prestito di euro 2.200.000,00 che utilizza subito per rimborsare il prestito ottenuto dalla società Beta. Successivamente (dopo quasi due anni) Alfa srl viene messa in liquidazione, e dopo altri cinque anni viene dichiarata fallita.

Il curatore del fallimento di Alfa srl agisce in giudizio nei confronti di Tizio e della società Beta sas, chiedendo la restituzione del rimborso del finanziamento “anomalo” intercorso tra società sottoposte a comune direzione e coordinamento, ed in subordine il risarcimento derivante dalla responsabilità per l’attività di direzione e coordinamento di società.

Nessuna delle due richieste trovano accoglimento nei due gradi del giudizio di merito. La Suprema Corte investita della vicenda ritiene di dover approfondire in pubblica udienza le questioni giuridiche sottese “per il rilievo nomofilattico ed in ragione dell’assenza di precedenti specifici”.

3. Le questioni giuriche: l’azione della società eterodiretta e la corrispondente legittimazione sostitutiva del curatore

La prima questione affrontata e risolta dalla Suprema Corte (corrispondente al primo motivo di ricorso) è quella della spettanza o meno alla società sottoposta ad altrui attività di direzione e coordinamento dell’azione nei confronti della società o dell’ente che, esercitando tale attività, agisca nell’interesse proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società sottoposta. La questione si pone in quanto l’articolo 2497 cod. civ., che prevede la corrispondente fattispecie di responsabilità, letteralmente attribuisce l’azione soltanto direttamente ai soci della società eterodiretta per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, ed ai creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società, stabilendo, da un lato, che l’azione del socio e del creditore può essere esercitata solo se costoro non sono stati soddisfatti dalla società eterodiretta, e, dall’altro lato, che nei casi di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria di società eterodiretta, l’azione spettante ai creditori di questa è esercitata rispettivamente dal curatore, dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario.

La questione ha visto la giurisprudenza del Tribunale di Milano orientata a riconoscere alla società eterodiretta l’azione di responsabilità nei confronti della controllante per abusivo esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, e nello stesso senso si è espressa parte della dottrina, mentre altra parte della dottrina ha spiegato la ratio pragmatica sottesa alla mancata previsione nella norma dell’azione della società eterodiretta, considerando la sostanziale inutilità e pericolosità di tale previsione volutamente esclusa nel corso dei lavori preparatori: dal primo punto di vista si è osservato che una tale azione sarebbe assai poco probabile, dovendo essere decisa dalla stessa maggioranza espressione dei soggetti che esercitano l’attività di direzione e coordinamento; dal secondo punto di vista, si è aggiunto che, ove si fosse prevista la spettanza dell’azione in capo alla società eterodiretta, vi sarebbe stato il rischio di depotenziare le azioni dei creditori e dei soci, che avrebbero potuto così assumere natura surrogatoria, con possibili pericolosi “incroci” processuali tra iniziative genuine di questi e iniziative abusive della società dominante, pilotate dal capitale di comando, fermo restando alla società eterodiretta la spettanza della generale azione aquiliana ex art. 2043 cod. civ. nei confronti della dominante, sia pure con le inerenti maggiori difficoltà legate alla struttura dell’azione, come potrebbe ricavarsi dall’ultimo periodo del primo comma dell’articolo 2497 cod. civ., per il quale l’azione dei soci e dei creditori della società eterodiretta nei confronti della dominante è esclusa quando il danno risulta “integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette”. Nella stessa linea logica della dottrina da ultimo citata, la Suprema Corte in una precedente decisione relativa all’articolo 2497 cod. civ., ed in particolare al suo terzo comma, aveva, del resto, chiarito che la norma “non ha attribuito ai soci esterni ed ai creditori il diritto al risarcimento verso la società partecipata”, ma ha solo disposto che “il diritto al risarcimento del danno vantato verso la controllata, previsto dal comma 1, possa farsi valere solo allorchè essi non siano stati [in altro modo] soddisfatti dalla società controllata”. 

Ne deriva che, come affermato dal sostituto procuratore generale nella requisitoria scritta relativa al giudizio che ha originato la decisione in commento, “se la società controllata non può essere citata in giudizio dai creditori sociali non può al contempo ammettersi che essa possa chiamare in giudizio la controllante per i danni arrecati all’integrità del patrimonio sociale”.

La Suprema Corte, nella decisione in commento, richiamate le conclusioni ricavabili dall’esame dei lavori preparatori della norma e la stessa requisitoria scritta del pubblico ministero, ha affermato che la mancata inclusione della società eterodiretta tra i soggetti legittimati all’azione prevista dall’articolo 2497 cod. civ. nei contronti di chi ha esercitato l’attività di direzione e coordinamento non costituisce il risultato di una “svista” del legislatore colmabile in via interpretativa, bensì frutto di una precisa scelta. Il Supremo Collegio ha così ribadito e confermato le conclusioni raggiunte sul punto dalla Corte d’Appello, evidenziando come la fattispecie normativa tuteli beni che fanno capo ai soci (la redditività ed il valore della partecipazione sociale) ed ai creditori (l’integrità del patrimonio sociale), e che nell’insieme la tutela apprestata dal legislatore è completa, non rimanendo esclusi soggetti danneggiati, mentre “rappresenterebbe una inammissibile duplicazione di risarcimento riconoscere direttamente ai soci il ristoro della perdita di valore della partecipazione sociale e poi anche alla società il diritto alla reintegrazione del patrimonio, da cui dipende quel medesimo valore delle partecipazioni la cui perdita è già stata (o può essere) autonomamente risarcita”.

Dall’esclusione della società eterodiretta dal novero dei soggetti legittimati ad esercitare l’azione di responsabilità ex articolo 2497 cod. civ. non potrebbe che derivare l’esclusione della corrispondente legittimazione sostitutiva del curatore del fallimento della società eterodiretta senza bisogno di ulteriore argomentazione, ma la Suprema Corte ha voluto motivare tale conclusione in modo più articolato, sia facendo riferimento al fatto che il comma 4 dell’articolo 2497 cod. civ. riconosce la legittimazione sostitutiva del curatore solo con riguardo all’azione dei creditori sociali della società eterodiretta, sia evidenziando come non vi sia alcuna norma (nemmeno nell’ambito del Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza) che preveda una legittimazione sostituitiva generale ed indistinta del curatore, ma vi siano al contrario disposizioni che contemplano soltanto una legittimazione sostitutiva limitata alle sole ipotesi espressamente previste dalla legge.    

4. (segue): la restituzione del finanziamento soci, ripetizione dell’indebito o regola concorsuale?

La seconda questione affrontata e risolta dalla Suprema Corte (corrispondente al secondo motivo di ricorso) è quella relativa alla natura giuridica dell’azione di ripetizione del rimborso del finanziamento dei soci previsto dall’articolo 2467, e cioè se trattasi di ripetizione di indebito oggettivo (in quanto riferentesi a finanziamento “anomalo”) ovvero di ripetizione derivante da una regola di diritto concorsuale che prevede la ripetizione del rimborso effettuato nel periodo “sospetto” fissato nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.

Il ricorrente aveva argomentato dal mancato avverarsi della condizione legale dell’assenza di sovraindebitamento o di tensione finanziaria della società perchè possa configurarsi l’attualità del debito stesso di restituzione e dal fatto che la postergazione legale dei finanziamenti erogati in tali condizioni di tensione finanziaria riguarda tutti i finanziamenti del genere, non solo quelli restituiti entro l’anno anteriore al fallimento, e deve essere assistita da una normativa che la salvaguardi, puntualizzando di non aver esercitato l’azione di retroversione automatica prevista dal primo comma, parte seconda, dell’articolo 2467 cod. civ., con riguardo ai finanziamenti rimborsati nell’anno anteriore al fallimento, ma di aver esercitato domanda di ripetizione ex art. 2033 cod. civ. (indebito oggettivo) per un rimborso avvenuto anteriormente.

Il ricorrente ha, quindi, utilizzato l’articolo 2467 cod. civ. per ricavarne la definizione di finanziamento “anomalo”, ma anche, a ben vedere, per avvalersi della previsione dell’articolo 2497-quinquies cod. civ. che assoggetta alla stessa regola dell’articolo 2467 i finanziamenti erogati non solo dall’entità che esercita attività di direzione e coordinamento ma anche da altri soggetti sottoposti a comune direzione (società sorella) come il ricorrente affermava essere avvenuto nel caso di specie.

La Suprema Corte ha, invece, qualificato la ripetizione prevista dall’articolo 2467 cod. civ. quale rimedio di carattere concorsuale, in quanto opinare diversamente risulterebbe in chiaro contrasto proprio con quanto previsto dallo stesso articolo 2467 cod. civ., laddove limita l’obbligo di restituzione al rimborso percepito nell’anno anteriore al fallimento, previsione questa che sarebbe inutile se la ricostruzione del rimedio in termini di azione ex art. 2033 cod. civ. fosse fondata. Si tratta, quindi, di una vera e propria revocatoria fallimentare ex lege del tutto simile, quanto a meccanismo operativo (inefficacia automatica), a quella dei pagamenti di debiti non scaduti eseguiti nei due anni anteriori al fallimento di cui all’articolo 65 legge fallimentare, come confermato dal fatto che entrambe le ipotesi (pagamenti di crediti non scaduti e postergati) sono oggi contemplate dall’articolo 164 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. 

5. (segue): l’eterodirezione esercitata da persona fisica

La terza questione sollevata davanti alla Suprema Corte con il terzo motivo di ricorso è quella relativa alla natura giuridica, necessariamente collettiva o anche individuale, dell’entità che esercita attività di direzione e coordinamento presupposta dalla norma di cui all’articolo 2497 cod. civ., avendo il ricorrente contestato la sentenza della corte d’appello nella parte in cui aveva ritenuto che il soggetto eterodirigente dovesse essere necessariamente una società o un ente e non una persona fisica.

Il ricorrente aveva interesse alla questione nel senso di considerare ricompresa nella previsione normativa anche l’ipotesi della società eterodiretta da persona fisica al fine di consentire l’applicazione al caso di specie della norma di cui all’articolo 2497-quinquies cod. civ., che, come si è visto, assoggetta alla stessa regola dell’articolo 2467 i finanziamenti erogati non solo dal soggetto che esercita attività di direzione e coordinamento ma anche da altri soggetti sottoposti a comune direzione (salva la contraddizione di cui infra in cui è incorso il ricorrente e ben evidenziata dalla Suprema Corte ed anche nella requisitoria scritta del pubblico ministero).

Tale questione non viene, in effetti, affrontata dalla Suprema Corte, ma viene invece esaminata dal pubblico ministero nella sua requisitoria scritta. La Suprema Corte si è limitata a dichiarare inammissibile la questione, avendo la corte d’appello, con giudizio di fatto non censurabile in cassazione, affermato che le operazioni di finanziamento e rimborso tra le società Alfa e Beta erano state decise ed attuate da Tizio, non in quanto soggetto esercente attività di direzione e coordinamento, ma in quanto amministratore (oltre che socio di maggioranza) di entrambe le società.

E, d’altra parte, la questione sarebbe comunque irrilevante, atteso che il ricorrente aveva (contradditoriamente) puntualizzato di non esercitare l’azione di restituzione del rimborso del finanziamento prevista dell’art. 2467 cod. civ., richiamato dall’articolo  2497-quinquies, stesso codice, ma quella generale di ripetizione dell’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 cod. civ.

La questione è rimasta, così, sullo sfondo e non è stata esplicitamente risolta dalla Suprema Corte, benchè fosse stata comunque esaminata dal pubblico ministero, che, nella sua requisitoria scritta, ha ammesso la responsabilità da eterodirezione esercitata da persona fisica, richiamando il precedente di Cass. 6 marzo 2017, n. 5520, la quale ha affermato la possibile esistenza di una responsabilità da impresa, in particolare nella sfera fallimentare, di un holder persona fisica, che sia a capo di più società in veste di titolare di quote o partecipazioni azionarie, e che svolga professionalmente, con stabile organizzazione, in nome proprio, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società, non limitandosi così al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio, responsabilità che, peraltro, il precedente citato qualifica “diversa” da quella prevista a vantaggio dei creditori della società eterodiretta dall’art. 2497 cod. civ., precisazione questa che sembra essere sfuggita al pubblico ministero.

La questione dell’applicabilità o meno dell’art. 2497 cod. civ. anche all’eterodirezione esercitata da persone fisiche rimane così, in teoria, aperta, potendo richiamarsi, da un lato, quale argomento contrario all’applicabilità, il dato letterale della norma, come risultante all’esito dei lavoratori legislativi, che parrebbe escludere la sua applicabilità all’eterodirezione esercitata da persone fisiche, salva la responsabilità solidale di chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo prevista dal secondo comma della norma, ma, dall’altro lato, quale argomento a favore dell’applicabilità, la considerazione che la responsabilità oggetto della norma è quella derivante dalla direzione (unitaria) di società, ciò che può costituire un semplice fatto (determinato ad esempio, come accade più frequentemente nelle public companies del mondo anglosassone, dall’identità degli amministratori delle varie società) che può prescindere da una situazione giuridica di controllo azionario. 

E, tuttavia, la Suprema Corte, nella decisione in commento, anche se non ha affrontato esplicitamente la questione della rilevanza per gli articoli 2497 e 2497-quinquies della eterodirezione esercitata da persona fisica, sembra, in effetti, aver implicitamente aderito alla tesi della rilevanza (sostenuta dal pubblico ministero), ravvisando nel caso di specie, come meglio chiarito infra, una potenziale – ove fosse stata invocata dal ricorrente – responsabilità dell’amministratore ex art. 2394 cod. civ. per violazione dell’art. 2467 (come richiamato dall’art. 2497-quinquies) per rimborso di finanziamento postergato erogato da società sorella. 

6. I rimedi approntati dall’ordinamento

L’intreccio normativo viene, alfine, dipanato dalla Suprema Corte, la quale respinge anche il quarto motivo di ricorso con il quale il ricorrente invocava la generica responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, affermando il Supremo Collegio che può esservi luogo a tali responsabilità generiche solo qualora il comportamento lamentato e produttivo di danno è compiuto al di fuori ed indipendentemente dall’esistenza e dal collegamento con il rapporto di amministrazione, ciò che non ricorre nel caso di specie.

Ed infatti, come già affermato da Cass., 15 maggio 2019, n. 12994, la postergazione disposta dall’art. 2467 cod. civ. opera già durante la vita della società e non solo in sede concorsuale, integrando una condizione di inesigibilità temporanea sino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico-finanziaria prevista dalla norma (eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure situazione in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento: art. 2467, co. 2); con la conseguenza che la società, e per essa gli amministratori, persistendo tale situazione, è tenuta a rifiutare il rimborso del finanziamento, in presenza della indicata situazione ove esistente al momento della concessione del finanziamento ed a quello della richiesta di rimborso, situazione di difficoltà economico-finanziaria che è compito dell’organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile; e che, quindi, la violazione di tale regola, che concorre a conformare lo statuto dell’amministratore, può dar luogo a plurime forme di tutela, tra le quali, senz’altro, la responsabilità ex art. 2394 cod. civ. per violazione di doveri tipicamente previsti dalla legge nei confronti dei creditori da parte degli amministratori di una società che abbiano rimborsato finanziamenti in violazione della norma di cui all’art. 2467 (come richiamata dall’art. 2497-quinquies).

Il rimedio approntato dall’ordinamento in situazioni di tal fatta sarebbe dunque la generale norma, non invocata dal ricorrente, che prevede la responsabilità dell’amministratore nei confronti dei creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (così come, del resto – conformemente a quanto evidenziato dal pubblico ministero in relazione al primo motivo di ricorso, citando il precedente di Cass., 3 marzo 2021, n. 5797 – la stessa norma di cui all’articolo 2497 cod. civ., che stabilisce la responsabilità della società o dell’ente che esercità l’attività di direzione e coordinamento, non esclude, in linea di principio, la responsabilità generale degli amministratori della società in ipotesi eterodiretta). 

Fabio Valenza

In allegato l'articolo integrale con note.


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