Articolo pubblicato su La Ragione il 19 novembre 2024
Un Paese civile che irrobustisce le libertà economiche nel mercato e simmetricamente l’accessibilità al mercato è un Paese che può concretizzare davvero i diritti socioeconomici delle persone. Solo un Paese di quel tipo, nel XXI secolo, può davvero definirsi libero. L’Italia non lo è ancora.
Una Repubblica democratica fondata sul lavoro libero è una Repubblica che nel settore dell’antitrust si dota di un’Autorità amministrativa indipendente articolata adeguatamente, mediaticamente interattiva, con esponenti coinvolti in scuole e think tank. Al pari dei magistrati.
L’Italia ha un’ottima Autorità antitrust, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ma a questa istituzione dovremmo attribuire maggiori strumenti, al passo con le sempre più cavillari complessità dei mercati, al passo con le eterogenee esigenze di garanzia d’equità nella concorrenza, sui diversi territori. Dall’ultima relazione annuale pubblicata a cura dell’AGCM risulta che nel 2023, per le istruttorie concluse con accertamento d’illeciti anticoncorrenziali ai sensi di legge, sono state irrogate complessivamente sanzioni amministrative pecuniarie ammontanti a poco meno di 28 milioni di euro. Più precisamente, si registra un totale di 27.927.942 euro, di cui 12.777.147 euro conseguono all’irrogazione di sanzioni per le intese restrittive della concorrenza, 15.117.795 euro derivano dalle sanzioni per l’abuso di posizione dominante e 33.000 euro da quelle per l’omissione d’informazioni dovute.
Chi viola la leale concorrenza sul mercato, infatti, deve essere sanzionato secondo lo Stato di diritto e con tutte le opportune garanzie, poiché altera le opportunità degli altri soggetti economici impresari e, a cascata, la stabilità dei soggetti che per quelli lavorano come dipendenti o come liberi professionisti. Nei nuovi avvii procedimentali del 2023 per presunte intese restrittive e per abuso di posizione dominante, il settore dell’energia è quello che ha più impegnato l’Autorità antitrust italiana. In questi tempi d’avvio di sfide sulle transizioni energetico-digitali la cosa non sorprende affatto.
Il perimetro d’azione dell’AGCM è stato ritoccato di recente, ma il motore di una Ferrari non è adeguato alla carrozzeria di una Panda. Il d.l. 104/2023 (c.d. Decreto Asset), convertito con legge 136/2023, modificando lo strumento delle indagini conoscitive prevede che se all’esito di un’indagine conoscitiva l’AGCM riscontri problemi concorrenziali in un dato mercato con conseguente pregiudizio per i consumatori, l’Autorità medesima possa “imporre alle imprese interessate, nel rispetto dei principi dell’ordinamento dell’Unione europea e previa consultazione del mercato, ogni misura strutturale o comportamentale necessaria e proporzionata, al fine di eliminare le distorsioni della concorrenza”.
Se da un lato i poteri appaiono ampliati, dall’altro lato essi risultano atipici, e in settori molto tecnici come quelli industriali l’atipicità rischia di sconfinare in un generico lassismo anticamera d’impunità, oppure in un arbitrio interpretativo con divaricazioni applicative irragionevoli e con problemi di disparità di trattamento o di lesione del diritto di difesa per i soggetti coinvolti.
L’organigramma e la ripartizione in dipartimenti dell’attuale AGCM risultano scarni di fronte ai tanti settori industriali, nonché rispetto ai diversi territori dove la concorrenza potrebbe essere alterata o falsata. Occorrerebbe dotare l’Autorità antitrust di procure e diramazioni distrettuali, per esempio sul modello della Corte dei conti. L’AGCM, inoltre, deve riuscire a monitorare le nuove aziende create con l’intelligenza artificiale generativa.
Più Stato di diritto antitrust, meno populismo.