Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  09/05/2023

Il consenso informato come conquista di cultura e di civiltà dei valori della persona - Cecilia De Luca

    Il sintagma “consenso informato” – il cui attributo “informato” è ciò che maggiormente rileva nel legame pertinenziale che esso ha con la tematica trattata – definisce in modo chiaro i termini essenziali del problema. La fattispecie giuridicamente rilevante può essere in generale definita secondo un articolato che potrebbe essere il seguente: i) una manifestazione di volontà che sia particolarmente necessaria per instaurare e per garantire in ogni momento la correttezza del rapporto giuridicamente rilevante; ii) una volontà che si sia formata sulla base di valutazioni fondate su una informazione esauriente, chiaramente comunicata e compiutamente acquisita; iii) una determinazione che sia il consapevole risultato di valutazioni adeguate e a tutto campo su una situazione di specifico interesse; iv) una manifestazione che sia funzionalmente ed efficacemente rivolta a legittimare l’attività altrui per uno scopo comune, che soprattutto deve essere condiviso, anche se per esigenze non coincidenti ma necessariamente convergenti. Si parla di consenso quando nell’ambito della titolarità di una situazione giuridica soggettiva sussista un diritto che condiziona e che quindi si pone come necessario per conferire ad altri una facoltà ad agire e quindi una liceità ad incidere nell’area giuridica del consenziente. La terminologia in uso che si sostanzia nei lemmi come “adesione”, “assenso” ed altro è concettualmente insufficiente e purtroppo rivela una cautela che indica una manifesta incertezza sotto il profilo culturale: anche il Codice di Deontologia Medica all’art. 30 si esprime in termini di “adesione” alle proposte diagnostico terapeutiche. Si parla di informazione perché è necessaria e tuttavia diversamente articolata e comunicabile in relazione al ruolo delle parti, alla loro differente preparazione in generale e, in particolare, rispetto al problema da affrontare, alla oggettiva specificità e difficoltà sempre insite nel problema, il quale il consenziente deve risolvere e che dipende dalla sua natura e dalla sua incidenza su una situazione che lo stesso consenziente deve affrontare per la tutela di un proprio determinato bene. Di qui si può comprendere come tutti gli aspetti di carattere soggettivo ed oggettivo assumano rilievo speciale quando l’interesse centrale sia costituito dalla tutela del bene della salute ed in generale del diritto all’integrità fisica della persona. Quello alla salute è costituzionalmente previsto come diritto fondamentale dell’individuo: l’art. 32 della nostra Costituzione ne è la fonte normativa primaria per tutto l’ordinamento giuridico, come già anticipato. Da un’attenta lettura all’affermazione dei diritti inviolabili ed irrinunciabili della persona appare che il primo rilievo è dedicato nella norma primaria ad un diritto costituzionale affermato in sé e per sé, un diritto attribuito direttamente alla persona e come tale tutelato. Come interesse della collettività è tutelato solo in modo mediato e strumentale per il principio di coincidenza dei fini individuali e dei fini sociali, per la qual cosa, anche se non codificato un dovere alla salute, non può esistere un parallelo diritto ad essere malati, soprattutto, e non solo comunque, quando determinate patologie mettano a rischio la salute di altri; non solo ma anche quando la patologia metta a rischio la salute e la vita, perché in una società esistono obblighi di solidarietà e obblighi di garanzia, che non possono essere considerati a senso unico esclusivo, ma il cui adempimento non può essere impedito sic et simpliciter da un diritto di libertà del singolo,  che poi sottende lo stesso diritto della tutela della propria salute: in tutti gli aspetti il diritto di libertà del singolo trova i limiti in corrispondenti obblighi che deve assumersi di fronte alla società e che non può prescindere per altro da quegli obblighi posti a carico della società che sono destinati a realizzare la migliore garanzia della tutela dello stesso diritto di libertà nella sua forma di espressione particolare in uno specifico campo. Sempre per l’art. 32 Cost. non sono ammessi trattamenti sanitari obbligatori, che non siano giustificati dal punto di vista sanitario e che non possano essere necessari per collettività. Come garanzia costituzionale devono essere espressamente previsti dalla legge e, tuttavia, la legge non “può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, cioè la legge non deve violare i diritti della persona costituzionalmente previsti e in particolare lo stesso diritto alla salute ed alla sua tutela, motivo per cui sono poste appunto limitazioni alle interferenze degli interessi della collettività, se ed in quanto si configurino come lesive della posizione giuridica soggettiva del singolo, senza una apprezzabile giustificazione volta alla tutela diretta o indiretta della singola persona: negli accertamenti e nei trattamenti sanitari obbligatori l’oggetto e l’ampiezza di contenuto dell’informazione non mirano ad ottenere una scelta dell’interessato-obbligato, che sia cioè fondata su una richiesta di cura necessitata o elettiva, ma ad ottenerne il consenso mediante la persuasione ad una condivisione di un interesse riconosciuto giuridicamente rilevante per la generalità dei cittadini e conseguentemente anche proprio. Il consenso informato non è regolato dalla disciplina che regola il rapporto di cura e di assistenza. Si esclude inoltre che il dovere di informazione possa configurare un obbligazione precontrattuale; altra tesi superata dalla giurisprudenza tendeva a configurarlo nella sua natura non contrattuale, che colloca il dovere fuori da un rapporto contrattuale, a cui deve considerarsi giuridicamente estraneo, perché ha il suo diretto riferimento e lettura nell’articolo 32 Cost., che tutela la salute ed ogni diritto che sia il suo corollario, costituendone l’insieme delle garanzie. Al contrario, la giurisprudenza dominante che si autoqualifica come “ius receptum” considera informazione e correlato consenso come obbligazioni contrattuali a carattere strumentale, da ricondurre a quella visione pancontrattualistica dei rapporti giuridici che ha portato ad affermare con la sentenza n. 589 del 1999 della Corte Suprema che il contatto sociale può configurare un contratto di fatto in ipotesi di rapporto tra paziente e medico dipendente di struttura sanitaria. La generale definizione che si è proposta di consenso informato assume caratteristiche peculiari quando nel rapporto di cura e di assistenza si affianca la necessità di tutela di due diritti primari, come il diritto di autodeterminazione del paziente, anche come diritto di libertà – la libertà politica costituisce la sostanza di ogni diritto, senza libertà non ci sono diritti esercitabili per il cittadino e quindi per la persona – ma soprattutto come il diritto alla salute ed alla integrità fisica che necessariamente è inciso da un’attività medica che caratterizza un rapporto tra medico e paziente indipendentemente da una qualifica contrattuale o extracontrattuale del rapporto medesimo. Bisogna infatti rilevare che consenso ed informazione mirata a formarlo e a qualificarlo nella sua correttezza, validità ed efficacia giuridica non sono assimilabili per disciplina al rapporto – anche quando sia contrattuale perché esista ad esempio con la struttura – di cura e di assistenza, in cui peraltro hanno la genesi fattuale: dunque, devono poter essere gestiti con una autonoma disciplina in cui debbono avere un assoluto rilievo. Tuttavia, il rapporto di cura, di natura contrattuale o extracontrattuale, non è sufficiente per la tutela diretta del diritto alla salute, che si sostanzia come principio di scelta libera e consapevole nel diritto di autodeterminazione in ordine al proprio corpo, poiché ciò significa avere la potestà di decidere se correre o meno rischi che possono mutare irreversibilmente una condizione attuale di vita che, quanto a scelta personale in termini di qualità della vita stessa, può essere considerata la più desiderabile dalla persona. L’interessato, cioè il soggetto la cui salute è in gioco, potrebbe non volere accettare determinati rischi, indipendentemente dal fatto che siano esigui o meno, possibili o probabili: sotto questo profilo è giustificata l’irrilevanza affermata dalla giurisprudenza di dati statistici come indici di limitata frequenza di esiti avversi o infausti. Si tratta del problema del nesso di causalità in ipotesi di omissione e di criterio di ricostruzione controfattuale della vicenda – ipotizzando con alta probabilità logica, quasi prossima alla certezza, cosa si sarebbe verificato se l’atto medico dovuto fosse stato compiuto – con la considerazione dell’incidenza sul nesso eziologico della mancata o viziata scelta da parte del paziente, non escludendo l’ipotesi di quale sarebbe stata in ogni caso la scelta del paziente, la più attendibile anche sulla base delle circostanze obiettive in cui avrebbe potuto essere consapevolmente espressa: in particolare la probabilità statistica può essere usata ad adiuvandum, ma non può essere l’esclusivo valore di riferimento da assumere come criterio, tenuto conto che se ne dovrebbe pur sempre provare l’affidabilità in relazione ai criteri di rilevazione e di correlazione con lo specifico e concreto caso clinico. I dati statistici come indici di limitata frequenza di esiti avversi o infausti non hanno rilievo perché non possono giustificare silenzi o reticenze tali da far ritenere, pur in base ad una ragionevole previsione di un implicito consenso, come non necessaria un’esatta informazione all’interessato. Un efficace tutela del diritto primario della salute anche in termini di autotutela, considerato nella sua esposizione a lesioni in ambito medico e soprattutto chirurgico, sia conseguibile indipendentemente dalla disciplina del rapporto di cura: l’area contrattuale, intesa e considerata in giurisprudenza come la più qualificata ad assimilare consenso e dovere di informazione ad esso mirato, appare giuridicamente del tutto inadeguata ad una corretta valutazione dell’esistenza di lesioni di diritti primari, essendo più versata a regolare interessi specifici dei contraenti creati con preventivi accordi e realizzati con una disciplina che li contemperi nel gioco dei diritti e dei doveri da quegli accordi nascenti. Si tratta di una tutela che corre parallelamente al rapporto di cura, legittimandone le iniziative e le attività caratteristiche, le quali, pur essendo sempre incidenti sulla integrità fisica dell’interessato, possono essere eseguite come prestazioni ineccepibili sotto il profilo delle scelte tecniche e dell’esecuzione, configurando così un esatto adempimento delle obbligazioni assunte di curare; e tuttavia nel contempo le stesse prestazioni in tutto o in parte potrebbero configurarsi come non legittimate da un consenso dell’interessato o, che è la stessa cosa, legittimate solo apparentemente da un consenso viziato da carenza o inesattezza di informazione. Si può affermare dunque, che, se non si ritiene di condividere che una tutela come quella in argomento deve prescindere dal rapporto di origine contrattuale – nei casi più gravi può determinarsi lungo l’iter sanitario una pluralità di rapporti –, si rischia di non dare alla violazione del diritto all’autodeterminazione quella autonomia che deve avere, quando le prestazioni sanitarie possono essere qualificate come inadempimenti, divenendo la violazione stessa rilevabile solamente come una sorta di aggravante, che può essere correlata automaticamente o implicitamente alla valutazione della prestazione senza un ragionevole nesso di causa. Si rischia di fare in modo di riconoscere come inadempimenti quelle prestazioni che non sono tali, così come ogni sorta di comportamento che può essere percepito come prevaricatorio. Può infine succedere di non riconoscere questa tutela quando si possa identificare nella fattispecie il carattere di conformità ed esattezza di un adempimento, che però può non corrispondere alle aspettative e alle scelte in termini di qualità della vita dell’interessato, il quale può dolersi qualora dimostri di non essere stato coinvolto nella decisione con una informativa idonea ed adeguata a creare una determinazione ed un consenso consapevole con una valutazione di scelte che riguardano prima di tutto il paziente e la sua esistenza. Diversamente, si finisce per riferire tutte le conseguenze dannose dell’operato del medico come eziologicamente connesse alla carenza di valido, informato, consapevole consenso. Dunque, si perviene così a sovrapporre due piani diversi di valutazione: quello relativo, e contrattuale, dell’accertamento positivo o negativo, totalmente o parzialmente, dell’adempimento della prestazione sanitaria; e quello assoluto, autonomo e tipicamente extracontrattuale, della tutela dei diritti fondamentali che hanno un referente costituzionale indipendente dalla valutazione della fattispecie contrattuale, la quale ha la sola funzione, sotto questo profilo di indagine, di fornire gli elementi, giuridicamente e funzionalmente rilevanti, di fatto e di valutazione della sussistenza o meno di una violazione di quei diritti.

    In allegato il saggio integrale con note


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