Per quanto concerne il panorama italiano, in epoca pre-unitaria, l'importanza della vaccinazione come politica sanitaria fu riconosciuta da subito, con l'introduzione dell'obbligo di vaccinazione anti-vaiolosa dapprima nel Ducato di Piombino ( 1806 ), seguito dal Regno delle Due Sicilie (1812 ) e, infine, dal Regno di Sardegna, fino all'emanazione della Legge Sanitaria del Regno d'Italia del 22 dicembre 1888 (Legge Crispi-Pagliani) (Piano vaccini) con la quale per tutti i nuovi nati fu resa obbligatoria la vaccinazione anti-vaiolosa.
L'orientamento sull'obbligatorietà vaccinale rimase tale anche con l'introduzione delle nuove vaccinazioni: antitetanica – antidifterica (L. 891/39 – L. 292/63 – L. 419/68) ed anti-poliomielitica (L. 51/66); erano previste sanzioni penali per i genitori che omettessero di vaccinare i propri figli e, con la L. 695/1959 e poi con il DPR del 22 dicembre 1967 n. 1518, si definì la vaccinazione come presupposto per l'ammissione dei bambini alla scuola e all'asilo nido.
Solo con la L. 689/81 i reati di omessa vaccinazione vennero trasformati in illeciti amministrativi: la successiva introduzione della vaccinazione antiepatite B (L. 165/91) prevedeva, infatti, uno specifico obbligo da parte genitori la cui eventuale inosservanza sarebbe stata sanzionata esclusivamente in via amministrativa.
Con il DPR 355/1999 fu soppresso il divieto di frequenza degli istituti scolastici per i non vaccinati, col fine di creare una politica sanitaria fondata sull'informazione e non più sulla costrizione