Letteratura  -  Redazione P&D  -  30/08/2021

Storia di Ina, un racconto dai mille spunti - Monica Castello

Tempo fa lessi di uno spettatore che alla prima di un lavoro teatrale spiegò all’autore cosa aveva scritto. Ecco, io sto per fare più o meno lo stesso.

La prima cosa che mi ha colpito di questo romanzo è lo stile di scrittura, assolutamente originale ed innovativo. I periodi quasi non esistono, le frasi sono brevi, con il verbo che nella prima parte sta quasi sempre in fondo, come nella costruzione latina e nel linguaggio dei segni, per poi spostarsi all’inizio oppure non comparire affatto, talvolta occultato sotto un participio passato. Sono frequenti le frasi fatte solo di sostantivo ed aggettivi, fissate da un punto. L’effetto è quello di una serie di flash, di immagini e non scene messe velocemente una dopo l’altra a comporre una storia come in una lanterna magica, attraverso cui il lettore, almeno quello come me, abituato alla scrittura scenica, vede più che leggere. Il risultato è visionario nel senso letterale del termine, perché si formano nella mente vere e proprie visioni, le immagini appunto, che trasformano lo spettatore in una sorta di presenza invisibile nella storia che non viene narrata ma è.

Il prof. Antonio Marigondi è l’alter ego di Cendon, si occupa delle stesse cose, il diritto non è semplicemente materia del suo lavoro ma parte stessa di lui, è la chiave di lettura di tutto ciò che gli accade intorno. L’avvocato Stefano Banchetti è l’alter ego di Marigondi, la sua coscienza critica, il suo grillo parlante, ma al contempo rappresenta la parte razionale di Cendon, un altro alter ego attraverso cui l’autore offre una chiave di lettura oggettiva di ciò che sta narrando. È la prima volta che mi trovo davanti a questa combinazione multipla, dove autore, narratore e protagonista si fondono per proporre una vicenda nelle varie sfaccettature, ciascuna delle quali propria alla voce che la esprime.

Il protagonista è un uomo solo, con due figli amati ma lontani ed una moglie perduta in circostanze di cui si sente colpevole, perché ha scelto di delegarle un compito, quello di guidare l’auto, pure consapevole della sua difficoltà.

Ma ecco che nella sua vita irrompe Ina, con la scusa di avere aiuto per una violenza derivata da una superficialità del momento, il che non significa che essa non esista, anzi, ma scatenata dalla non consapevolezza dei rischi che comporta il confronto tra diverse culture.

Ina si presenta come trasgressiva ed anticonformista, ma è l’esatto contrario: il mondo di pseudo artisti e locali notturni che frequenta, più per mettere in difficoltà Antonio che per convinzione, hanno un codice di comportamento che al di fuori appare come trasgressione ma al loro interno non lo è, semplicemente consiste in uno stile di vita per così dire ambientale. Anche la scelta di farsi toccare dall’adolescente che non conosce donna, apparentemente rischiosa, in realtà è una provocazione senza pericolo, anzi potrebbe quasi configurare molestia verso il giovane.

Il rapporto tra il professore e la giovane ha da subito dinamiche di coppia, perché anche nel primo momento, quello del bagno, in cui il maestro aiuta Ina a spogliarsi e lavarsi è vissuto in modo paterno da lui, ma non da lei.

Ina sembra essere quella fragile, ma è il contrario: lei guida il gioco, lei stravolge la vita di Antonio portandolo in realtà che stanno tra la trama de La dolce vita e quella dell’Angelo azzurro, lei ostenta anticonformismo ma poi è la regina dei conformisti quando si ingelosisce dell’ex di Antonio Francesca, così come quando lo porta per negozi e prova abiti da sposa bianchi come quello che indosserà presto.

Il maestro la segue ciecamente, ne è succube. Cambia le sue abitudini, frequenta personaggi decisamente vuoti come in fondo da sempre è la sua vita, la ostenta nelle occasioni pubbliche ma non ha il coraggio di ufficializzare le cose nella loro realtà.

I due si danno del lei pur dormendo insieme, seguendo le abitudini ottocentesche o se vogliamo il linguaggio inglese (che in realtà prevede il voi) e fingendo una sorta di distacco talvolta gerarchico, un rapporto altro da quello che è. Solo ogni tanto usano il tu in privato, come fuggissero dai personaggi che hanno costruito, alla maniera di una attore che parla dietro le quinte al mondo reale. Del resto usare il tu, normale anche nei rapporti di lavoro, significherebbe prendere atto della loro relazione che fingono di negare anche a loro stessi.

I figli di Antonio vivono la cosa in modo diverso. Lidia ha una famiglia a cui pensare, la presenza di Ina le va bene perché le fa comodo, la esonera dall’occuparsi del padre. Enrico invece non ha una vita sua, il suo mondo è quello giuridico, lo stesso del padre di cui si cura poco ma da cui esige un comportamento formalmente corretto, frequentazioni esclusivamente legate al suo ceto sociale, insomma una vita che non gli causi imbarazzo.

Per questo, quando Antonio accetta di essere il fideiussore per un’attività che alcuni amici di Ina vogliono intraprendere, entra giuridicamente in azione, dopo aver espresso più volte il suo disappunto via mail, in maniera decisamente vigliacca. Il padre si affida all’alter ego avvocato, ha come valutatori uomini con cui ha avuto contrasti con cui si confronta in modo secco e sibillino, crede nel diritto che sino a poco tempo prima ha regolato la sua vita ed in fondo non ha mai abbandonato, grazie ad esso vince.

Ina continua ad essere il burattinaio, trova il modo di curare la sua cecità parziale, si allontana, ritorna, si fa in qualche modo implorare ed alla fine vince a sua volta. Sposerà il maestro che nel frattempo inizia ad ufficializzare il legame, fa il salto sociale, sarà una di quelle signore conformiste e formali che sembrava avversare ma in realtà invidiava.

Non c’è una morale in questa storia, se non dal punto di vista giuridico, come riflessione sull’autodeterminazione ed i possibili limiti dell’amministrazione di sostegno che il protagonista/Cendon ha contribuito a creare: c’è un percorso di vita, un racconto preciso e nitido che mostra come spesso l’apparenza non sia la realtà, i forti siano i fragili e viceversa. Antonio ha sempre vissuto nel suo mondo dedicato a tutti gli altri che non fossero le persone a lui care senza accorgersene, affronta il mondo di Ina e le sue provocazioni in modo acritico, dipende da lei, abilissima nel fargli credere di essere lui l’artefice di quanto accade. Viene da pensare che sin dal primo incontro la donna avesse in mente il disegno che ha portato a compimento. C’è amore? Forse, soprattutto da parte di Antonio. C’è dipendenza psicologica? Direi proprio di sì. Ma soprattutto c’è la vittoria del conformismo, del fingere di voler essere diversi per cercare di diventare uguali a ciò per cui si ostenta disprezzo. Ina vede male Francesca, tanto da fare di tutto per diventare una pari e ci riesce, è la vera vincente, il vero soggetto forte della storia, il perno intorno a cui gira il mondo ammantato di diritto di Antonio.




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