Una recente pronuncia della Cassazione Civile, sez. III, 16/10/2008, n. 25266, che chi scrive non condivide, consente di affrontare nuovamente il tema della corretta configurazione della responsabilità civile dell’avvocato, operando un doveroso parallelo con quella, ben più evoluta, che si può dedurre dalle ultime sentenze della stessa Corte in materia invece di responsabilità del medico.
Fa specie, in particolare, che la III sezione, alla quale appartengono anche i magistrati che hanno sancito il definitivo superamento della tradizionale -ed ormai obsoleta- distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, nel regime della responsabilità medica, continui invece a riproporre la dogmatica distinzione ed i fuorvianti effetti che se ne vorrebbero dedurre, allorchè si discuta di responsabilità dell’avvocato per quanto le norme in gioco, vale la pena ribadirlo, siano assolutamente le stesse.
Chi scrive sostiene, da svariati anni, la necessità di considerare ormai superata la tradizionale distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, in particolare discutendo di responsabilità medica, e così le conseguenze che a tale distinzione una risalente dottrina, avvallata anche da certa giurisprudenza, aveva individuato ed un tanto poiché, per un verso, a ben vedere ogni obbligazione tende comunque ad un risultato e, per l’altro, poiché gli artt. 1175, 1176, 2236, 1218 c.c. sono posti a regolamento di tutte le obbligazioni e non solo di alcune e dalla lettura combinata di dette norme non si scorge per nulla la possibilità di considerare il criterio della diligenza quale criterio di responsabilità pensato solo per quelle di mezzi.
Tale distinzione, invero, aveva già originato, nel settore della responsabilità medica, una evidente guarentigia in favore dei professionisti che anni di studio e processi ha infine vinto; proprio per tali ragioni notare che la responsabilità dell’avvocato gode ancora degli effetti di tali guarentigie, come premesso ingiustificate, fa specie e lascia ahimè spazio a quei commentatori che hanno strumentalizzato tale disparità chiedendo che l’interpretazione deteriore tornasse ad avvantaggiare anche i medici.
Ma al di là delle prospettazioni di parte, che lasciano il tempo che trovano ed attengono più alla politica della tutela della professione che all’approfondimento più strettamente giuridico, i motivi che la miglior giurisprudenza ha posto a fondamento del superamento della tradizionale distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato sono gli stessi che, con uno sforzo meglio orientato, possono essere posti a fondamento del definitivo superamento della distinzione anche ove il regime della responsabilità in gioco non sia quello della professione medica ma quello della professione forense. E’ ben vero infatti che l’art. 1176 cod. Civ., come dianzi osservato, sia stato pensato dal legislatore del ‘42 come regola comune e quindi, ad un tempo, criterio per determinare il contenuto della prestazione e criterio che fonda il regime di responsabilità. La diligenza speciale richiesta al professionista, invero, è la diligenza del “buon professionista” e gli impone di esprimere attenzione, perizia, prudenza, tipiche del medio professionista appartenente alla stessa area di eventuale specializzazione così da considerare ogni condotta che non corrisponda a tale standard di riferimento come sintomo di difetto di diligenza e quindi responsabilità.
Ecco quindi che la diligenza si erge, definitivamente, a criterio che consente di definire le condotte che debbono essere poste in essere e la reazione dell’ordinamento alla loro violazione. Come affermato ove si discuteva di responsabilità medica(1), tale norma consente anche di leggere, peraltro in conformità all’ormai consolidata giurisprudenza, anche l’art. 2236 c.c., il cui significato originario è stato totalmente demolito dall’ormai super consolidata giurisprudenza che ha considerato che, al di là delle inizialmente prospettate ipotesi di limitazione di responsabilità a favore delle professioni liberali, l’art. 2236 c.c. deve leggersi quale sorta di complemento o spiegazione del 1176 c.c.: proprio perché al professionista è chiesta una speciale diligenza che dev’essere commisurata alla natura dell’attività esercitata, e quindi anche al caso concreto, ove il professionista incontri problemi di particolare difficoltà in quanto non prima adeguatamente studiati o comunque che richiedono una straordinaria capacità, la misura con la quale giudicare la sua diligenza dev’essere appunto commisurata alle condizioni particolari. Nulla di più. Tant’è vero che la giurisprudenza ritiene che tale modulazione della severità di applicazione del criterio di diligenza non abbia a che fare con la colpa che consista in imprudenza e negligenza, che sono sempre da combattere qualsiasi sia la difficoltà del caso che il professionista affronti, ma solo nel caso di imperizia, come a dire che non si può pretendere che né il medico né l’avvocato siano luminari in grado di risolvere questioni di straordinaria difficoltà, che nessuno fino allora ha risolto o che le riescano ad affrontare scegliendo in assoluto la soluzione migliore quando ve ne siano più d’una altrettanto dignitose e percorribili.
Anche tale lettura dell’art. 2236 c.c. accompagnato dal 1176 c.c. e tenuto conto della giurisprudenza delle stesse sezioni unite sul 1218 c.c., e quindi sul regime dell’onere della prova allorchè si discuta di responsabilità contrattuale, dovrebbero ormai spazzare il campo da qualsiasi perplessità in ordine al regime di responsabilità contrattuale anche dell’avvocato, oltre che del medico, chiarendo che al cliente – paziente è sufficiente eccepire, allegandolo, l’inadempimento del professionista, fornendo altresì la prova del danno che sarebbe ricollegato a detto inadempimento, per far sì che gravi sul professionista, sia esso medico o avvocato, l’onere di dimostrare di aver ben adempiuto, rispettando quindi il criterio di diligenza summenzionato, e che quindi le eventuali situazioni pregiudizievoli lamentate dal cliente – malato non siano ad esso imputabile. Se tale prova non è raggiunta dal professionista l’applicazione dello schema di cui al 1218 non consente al professionista di andare esente da responsabilità.
L’auspicio, per concludere, è che quindi la giurisprudenza voglia cogliere, definitivamente, l’occasione di rimediare alla contraddizione e finisca per trovare piena coerenza nell’applicazione delle stesse regole già con difficoltà “rilette” per la professione medica, consentendo ai rappresentanti di quest’ultima di non sentirsi discriminati, rispetto agli avvocati, nella ricostruzione del loro regime di responsabilità. (I contratti 4/2009).
1) N. Todeschini, Responsabilità professionale e dovere d'informazione: dal consenso disinformato al dovere contrattuale d'informare, in Tra scienza e società di C. Lorè, pag. 295-321, Giuffrè, 2008
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 16 ottobre 2008 n. 25266
...omissis...
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel citare in giudizio la SARA s.p.a., il D. L. espose che nel 1969, mentre era alla guida della sua vettura, era uscito di strada e, nell’incidente, aveva subito lesioni tal G., da lui trasportato. Denunziato l’occorso alla SARA (sua compagnia assicuratrice), s’erano radicate innanzi al Tribunale di Larino due cause, promosse nei suoi confronti dall’infortunato e dall’INAM (che agiva in rivalsa per le cure mediche prestate in favore della vittima). Consegnate le citazioni notificategli alla SARA, questa assunse la gestione delle liti. Nel 1984 gli fu notificata la sentenza con la quale il menzionato Tribunale lo aveva condannato al pagamento di diverse somme in favore del G., dell’INPS (subentrato all’INAM) e dell’INAIL (intervenuto nel giudizio). Ciò premesso, il D. L. chiese, dunque, che la SARA fosse condannata al risarcimento dei danni da lui subiti in conseguenza della mala gestio della controversia.
Il Tribunale di Larino respinse la domanda con sentenza poi confermata dalla Corte d’Appello di Campobasso. Questa, premesso che non era in contestazione il diritto alla prestazione assicurativa, bensì “il diritto al risarcimento dei danni conseguenti ad una prestazione assicurativa (difesa legale) inadeguata complessivamente e sotto qualche aspetto assolutamente carente”, spiega che i profili di mala gestio lamentati dal D. L. pure in ipotesi ravvisabili, non avevano avuto ripercussioni negative sull’esito della controversia summenzionata, in quanto in quel processo era rimasta provata la sua responsabilità nella produzione dell’evento.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Campobasso propone ricorso per cassazione D. L. a mezzo tre motivi. Non si difende SARA nel giudizio di legittimità. Il D. L. ha depositato memoria per l’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Inammissibile è il primo motivo, con il quale il ricorrente lamenta in modo assolutamente generico i vizi della motivazione della sentenza impugnata, senza alcuna specificazione dell’identità e della portata degli elementi emersi attraverso i quali il giudice sarebbe dovuto pervenire a diverse conclusioni.
Infondato sono il secondo motivo (violazione legge n. 990 del 1969 artt. 1174, 1176, 1917, 1375 c.c. – vizi della motivazione) ed il terzo motivo (violazione dell’art. 112 c.p.c.) laddove il ricorrente lamenta: che “senza null’altro aggiungere” il giudice avrebbe per un verso ravvisato evidenti profili di grave inadempimento da parte della SARA e, per altro verso, escluso la responsabilità risarcitoria della compagnia stessa in quanto tali inadempimenti non avrebbero avuto ripercussioni negative sull’esito del giudizio; che il giudice non si sarebbe pronunciato sulle questioni sottopostegli (riguardanti la condotta della SARA e che si assumeva essere stata inadempiente), ma avrebbe affrontato inutilmente la problematica della responsabilità del D. L. nella produzione dell’infortunio stradale.
Diversamente da quanto sostiene il ricorrente, la sentenza impugnata, interpretata la domanda come risarcimento del danno da carente e inadeguata assistenza legale e, pur ammesso che tali profili potevano in ipotesi ritenersi sussistenti, correttamente procede, attraverso una logica e congrua motivazione, all’esame prognostico circa gli esiti che il processo presupposto avrebbe potuto conseguire se quegli inadempimenti non si fossero verificati. Giungendo a concludere che l’esito non avrebbe potuto essere diverso per il D. L., nei suoi rapporti sia con l’infortunato, sia con l’INPS, sia con l’INAIL.
La sentenza impugnata s’è, dunque, adeguata al principio in virtù del quale, in materia di responsabilità del professionista, il cliente è tenuto a provare non solo di aver sofferto un danno, ma anche che questa è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè dalla difettosa prestazione professionale. In particolare, trattandosi dell’attività del difensore, l’affermazione della sua responsabilità implica l’indagine – positivamente svolta – sul sicuro e chiaro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, quindi, la certezza che gli effetti di una diversa attività del professionista medesimo sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente, rimanendo, in ogni caso, a carico del professionista l’onere di dimostrare l’impossibilità a lui non imputabile della perfetta esecuzione della prestazione (tra le varie, cfr. Cass. 28 aprile 1994, n. 4044).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto. La Corte è esonerata dal provvedere sulle spese del giudizio, in considerazione della mancata difesa della parte intimata.
Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso.
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“RESPONSABILITA’ DELL’AVVOCATO: LA GIURISPRUDENZA STENTA A DECOLLARE. Commento a Cassazione Civile, sez. III, 16/10/2008, n. 25266
”–Nicola TODESCHINI
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La responsabilità professionale dell’avvocato pare godere ancora di alcune guarentigie che francamente paiono superate allorchè il professionista sia il medico. Il superamento della distinzione tra obbligazioni di mezzo e risultato può avere il merito di focalizzare l’attenzione sulla diligenza quale criterio di responsabilità e, ad un tempo, criterio per disegnare il contenuto dell’obbligazione.
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Responsabilità contrattuale dei professionisti, avvocato, medico, obbligazioni di mezzo e di risultato