Una decisione di prime cure incomprensibile, destinata a fare male. Così l'ha definita la sua vittima, una signora, danneggiata dall'errore di un medico, che attendeva giustizia da tempo. Ma l'atteggiamento del medico e della sua compagnia di assicurazione è sempre stato pretestuoso: dopo aver chiesto un accertamento tecnico preventivo, che accertava l'errore e offriva indicazioni per quantificare il danno, è stata costretta ad iniziare il processo di merito nel corso del quale il medico oculista ha tentato di coinvolgere i produttori di una lente da lui stesso applicata. A cascata la chiamata del produttore e delle relative compagnie di assicurazione a formare una squadra di ben sei controparti.
Il giudice, che poi scriverà la sentenza, non intende -pur sollecitato in tal senso- chiamare solo a chiarimenti il ctu dell'atp, ma intende rinnovare la consulenza, immotivatamente (anche i terzi chiamati, estranei all'atp, nulla opponevano all'utilizzo della ctu già svolta in atp). Inizia così la girandola di nomine: in tre anni nessuno dei consulenti nominati inizia seriamente le operazioni peritali...tanto famoso è il medico oculista accusato (anche dalla ctu in atp) di aver commesso l'errore. Reiterate le istanze di revoca dei ctu nominati (e compensati per non aver fatto nulla, senza revoca dell'ordinanza che aveva concesso loro un compenso) finalmente si giunge alla nomina di un terzo, del foro di Bologna, che letteralmente estrae dal cilindro la soluzione delle soluzioni: la colpa (anzi lui discute, con arroganza medico legale, di responsabilità!) non è del luminare (non lo sia mai!) ma di un malcapitato suo sostituto che interviene, per una volta e a distanza di soli tre giorni dal ritorno del professore, e la cui diagnosi e terapia il luminare approva, per iscritto, in una sua relazione autografa. Il ctu, senza illustrare fondatamente le ragioni del suo parere personalissimo, ci tiene a precisare che alcuna responsabilità vada ascritta al luminare (eh si, il ctu, novello giudice, conduce il giudizio di responsabilità, non si limita a rispondere al quesito indicando le ragione medico legali che consentano al giudice di condurre il giudizio di responsabilità), che la terapia da lui prescritta sia al di sopra di ogni sospetto, seppur contraria alle indicazioni della letteratura e, addirittura, dei bugiardini dei farmaci prescritti (che ammoniscono proprio circa l'emersione, se utilizzati in casi del genere, delle complicanze poi sorte). Non una parola sulla ctu svolta in atp e acquisita al processo. Infine esplora, bontà sua, il danno che grava la paziente, che trova quindi una seconda conferma tecnica pressocchè sovrapponibile alla prima.
Il giudice, con poche righe di pedissequa adesione a tali risultanze incomprensibili, pur criticate aspramente e con dovizia di citazioni tecniche, respinge la domanda e condanna la malcapitata a rimborsare più di settantamila euro di spese legali agli avversari. Non un rigo sulle ragioni che sconsiglierebbero l'applicazione della fondamentale regola contenuta nell'art. 1228, come nell'art. 2049, e già nell'art. 2232, c.c., non un rigo sulla ctu svolta in atp, nemmeno per spiegare per quale ragione delle due venga estratta quella, scellerata, che discorre di responsabilità, nega l'esistenza -e l'evidenza- di letteratura uniforme, dimentica i bugiardini dei farmaci prescritti.
Onorevolmente alcune delle parti nemmeno iniziano l'azione esecutiva, seppur nessuna scelga di aderire all'invito del legale della danneggiata a risarcire il danno rinunciando agli effetti della pronuncia. E così la danneggiata, sconvolta dalle risultanze del processo di prime cure, si convince, non senza grande travaglio, a non mollare: dinanzi alla Corte d'Appello di Venezia viene depositato un appello corposo e, verificato che una parte nelle more fa istanza di apposizione di formula esecutiva, dimostrando interesse ad avvalersi della pronunzia, viene depositata istanza di urgente fissazione dell'udienza per discutere l'invocata sospensione della provvisoria esecuzione.
Nel sub-procedimento si costituiscono in tre (non il luminare, ma la sua compagnia di assicurazione, e con essa altri due terzi chiamati): l'udienza dura pochi minuti, nel corso dei quali c'è giusto il tempo di prendere atto che i resistenti si riportano ai loro atti e che la ricorrente sottolinea che, se mai fosse utilizzabile la seconda ctu, l'affermazione della responsabilità del sostituto non varrebbe certo a sollevare dal biasimo il titolare dell'accertata obbligazione, così che la sentenza, da qualsiasi lato la si voglia guardare, merita riforma.
Pochi giorni dopo il sollievo: la Corte d'Appello di Venezia fa giustizia della provvisoria
esecuzione sospendendola con il seguente provvedimento:
Finisce un incubo per la povera paziente, ma ora il processo continua salvo che, finalmente, le controparti non comincino a ragionare, per la prima volta.
Anche ad un giurista d'esperienza sorge legittima la domanda: perché? Saranno forse altre sedi invocate, sotto il profilo deontologico, a chiarirlo, o comunque a contribuire affinchè non accada più. Noi giuristi dobbiamo fare la nostra parte, con coraggio, affinchè emergano senza tema episodi che abbisognano di denuncia chiara.
A chi affolla i consessi discutendo dell'inflazione di domande di risarcimento del danno da responsabilità medica, della necessità di ridurre la pressione sui sanitari, di formare professionisti competenti in materia, di ridurre le spesa (spesso duplicata da contegni pretestuosi proprio dei responsbaili e delle loro compagnie di assicurazione), varrebbe la pena far trascorrere alcuni minuti in compagnia della paziente, un donna di grande dignità che ha avuto la forza e il merito di lottare per avere giustizia.
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