Letteratura  -  Redazione P&D  -  15/08/2022

Per grazia (non) ricevuta - Massimo Paradiso

“Ancora udienze”, rimuginava il buon Sancho. “Qui a Baratteria non hanno niente da fare, se non parlare, litigare e venire a sentire chiacchiere senza fine. Certo ‘questo giudice’ – considerava fra sé ripensando all’avvocato Finarrete – glie ne ha fatte vedere delle belle a tutti questi prepotenti, ma insomma..., lasciatemi un po’ di respiro! Unica consolazione il fatto che, finita l’udienza, lo lasciavano libero da altre incombenze, quali si figurava di dover assolvere. Invece: ora una passeggiata, ora un ricco pranzo, ora un riposino, ora qualche bacio prolungato alla sua Dama Juana: non era male la vita da Governatore, se non fosse stato per i mal di testa che gli procurava il dover decidere questioni e contese, litigi e controversie. 

Quella mattina si avanzarono in gruppo compatto uno stuolo di donne e due uomini. S’indovinava essere una famiglia, tanto le donne si somigliavano l’una con l’altra; gli uomini invece, che non si somigliavano affatto, dovevano essere i mariti di due di esse: il più anziano, certo lo era della matrona che procedeva avanti a tutti; l’altro, il marito di una delle donne. Si avvicinarono pure due suore – una molto giovane e l’altra piuttosto avanti negli anni – di un ordine monastico che il nostro non riuscì a identificare: doveva essere una nuova congregazione religiosa, come ormai ne sorgevano in continuazione. Le suore erano accompagnate da due cappuccini anziani che però, lo si vide poi, restarono sempre in silenzio: evidentemente, facevano soltanto da “scorta” alle suore mandate in missione esterna al convento. 

Contrariamente a quanto s’aspettava il giudice, non fu il capofamiglia a prendere la parola; fu invece la matrona: grassa oltre ogni dire, smaniava dalla voglia di riversare all’esterno quel che covava in seno e si avanzò fin quasi ad arrivare sotto il naso del giudice. «Voscenza abbinidica! Semu cà pirchì vulemo giustizia di la mala sorti, anzi di la vera supirchiaria de’ me’ figghi: a ranni e a nica. Anzi prima a nica e poi a ranni” – esordì in puro dialetto siciliano, che naturalmente nessuno comprese. Suonò anzi curiosa se non irrispettosa alle orecchie di tutti, al punto che l’uomo che le aveva camminato a fianco si affrettò a fare un passo avanti: «Col permesso di vostra Eccellenza – disse – vorrei chiarire quel che ha farfugliato mia moglie, eccitata com’è per le sventure che hanno colpito la nostra famiglia». «Dite pure. Dite» intervenne il giudice che era rimasto perplesso. 

«Anzitutto mi presento – riprese l’uomo –. Mi chiamo García Fernando Avallone e sono qui con mia moglie Schilirò Venera, le mie figlie Litteria, Agata, Lucia e Rosalia, e mio genero Pascual. Vostra Eccellenza deve sapere che questa mia moglie è siciliana: me la sono sposata quando ancora ero in Sicilia, dove per molti anni ho servito il nostro amato sovrano Felipe II, felicemente regnante, come conestabile di diversi suoi viceré, e precisamente: prima, don Juan de la Cerda, quarto duca di Medinaceli, poi don Álvarez de Toledo y Osorio, marchese di Villafranca del Bierzo, e finalmente don Francesco Ferdinando d’Avalos, principe di Francavilla, Marchese del Vasto e Conte di Monteodorisio. Ma io sto divagando. Dunque la moglie che ho avuto in sorte ha sì imparato a parlare castigliano, ma quando è emozionata torna a parlare il dialetto della sua giovinezza. Vi dirò dunque, perché comprendiate che nulla di poco rispettoso c’era nelle sue parole, che in Sicilia “Voscenza” sta per “Vostra Eccellenza” e si usa con le persone di massimo riguardo, mentre “Vossia” equivale a “Vostra Signoria” e si usa con i genitori o altre persone degne di particolare rispetto. In entrambi i casi s’impiega il verbo in terza persona». 

«E dite – s’incuriosì Sancho – vostra moglie, parlando con voi, vi dà rispettosamente del Vossia?». «Voscenza..., scusate, volevo dire: Eccellenza, no. In segno di rispetto, i coniugi tra loro usano il “Voi” e il nome di battesimo, talvolta sostituito, ma solo tra i nobili, da “Signore” e “Signora”». 

“Bello sarebbe se la mia Teresita la smettesse col tu e, parlandomi, non dico “Voscenza” ma almeno dicesse “Vossia”, o senz’altro Vostra Signoria. Del resto, adesso sono Governatore di un’isola...”: così rimuginava tra sé il buon Sancho. Disse invece: «Ma se vostra moglie vi porta tanto rispetto, com’è che è lei a parlare pur se voi siete presente? Non siete voi il capofamiglia?», tanto era sbalordito dall’ardire della donna, mentre nell’aula risuonavano diversi risolini. 

Il vecchio funzionario reale era visibilmente in imbarazzo. Finalmente, disse: «Il capofamiglia sono io, Eccellenza, ma chi comanda è mia moglie! Così si dice in Sicilia e anch’io mi son dovuto rassegnare per amor di pace. Del resto, non è una cattiva moglie, ma quando si arrabbia è meglio girare alla larga. Col vostro permesso, perciò, sarà lei a parlare». Conosceva il buon Sancho le sfuriate di cui sono capaci le mogli e commiserò poi la sorte di quell’uomo: con cinque donne per casa c’era da mettersi le mani nei capelli. Diede perciò l’invocato permesso.

La donna non si fece certo pregare e riprese: «Eccellenza, scusate. Volevo dire che siamo qui per la mala ventura che ci è capitata a due nostre figlie, a causa di queste monache smorfiose. Prima, tante smancerie: sì sì, sì sì, non vi preoccupate, state sicure, state certe, andrà tutto bene. Poi, “Passata la festa, gabbatu lu Santu!». «Ho capito, ho capito – intervene il giudice per bloccare un’eventuale traduzione –. Andiamo avanti e cercate di non divagare..., o almeno non troppo». «Allora. Vostra Eccellenza deve sapere che in famiglia siamo devote, tutte le donne, alla Santa Cueva de Covadonga, che Voscenza certamente conosce». «Veramente...». 

«Si tratta di una grotta che si trova sul Monte Auseva, nei pressi del paese di Cangas de Onís: a fianco c’è una chiesetta scavata nella roccia e una cascata proprio ai piedi della grotta» – ebbe appena il tempo di precisare il marito, prima che la moglie, ripreso fiato, attaccasse: «Sì, e siamo devote a Santa Maria la Real, la Madonna Nera che là si venera, e soprattutto a Santa Petrosina, che è messa in una cappella laterale che si vede appena, ma non creda, Voscenza che questa santa conta poco. Conta, e come se conta! Tanto per dire, il primo pellegrinaggio l’abbiamo fatto otto anni fa per la mia figlia maggiore, Litteria, che il fidanzato diceva: sì sì, la voglio; sì sì, me la sposo, ma poi non si decideva mai. Siamo andati perciò alla Cueva, a pregare la Santa, e la mia figlia ha pure bevuto l’acqua dello stagno che sta sotto la cascata, che è nominata la Fontana dei sette cani, che porta fortuna alle ragazze che la bevono, che infatti si sposano entro l’anno». “Devo portarci la mia Sanchita, pensò il buon Sancho. Certo, adesso sono Governatore, ma...”.

«La mia figlia – continuò la donna – era appena uscita dalla fontana, che si sono avvicinate due suore che hanno cominciato a criticare. E che cosa fate, e questa è superstizione, e la vera devozione si fa in chiesa, e le grazie bisogna saperle chiedere. E insomma, per farla breve, ci hanno convinto che, se uno vuole una grazia, è bene che offra qualcosa come segno di devozione, se no siamo solo capaci di chiedere e ottenuta la grazia ci scordiamo di ringraziare, e cose di questo genere. Insomma! Dopo questi discorsi, mio marito ha fatto una bella donazione al convento per rivestire di marmo l’altare di santa Petrosina, che le suore sono state veramente contente e dicevano “Abbiate fede che tutto s’aggiusta. Andate con Dio e state tranquilli”». «E in effetti – riprese – la santa il miracolo l’ha fatto: dopo neanche tre mesi la mia figlia maggiore, Rosalia, si è sposata col suo fidanzato. Ora però sono sette anni che è sposata e figli non ne sono venuti, e mio genero Pascual fa come un pazzo, che li vuole, che se lo sapeva che non ne aveva non si sposava, e che insomma non si può più tenere. E anche mio marito, Voscenza, parla poco, ma ci tiene ancora più di suo genero: con tante figlie che ha, ancora non ha nipotini. E veramente a chi dispiacerebbe un bel nipote maschio?».

Il Governatore girò lo sguardo intorno cercando di inquadrare questo genero: lo individuò in seconda fila, a capo chino e a fianco della figlia maggiore – che doveva essere la moglie perché lo teneva per un braccio – e a lato di quella che doveva essere la minore, di circa 16 anni: anche le donne erano silenti. «E dunque? Volete da me un aiuto per...» – stava per dire: per fare un figlio con vostra figlia? Ma si bloccò in tempo: la battuta era troppo greve per un Governatore al quale si dà del Voscenza in pubblico e del Vossia in casa. 

Alla donna non sembrò vero di poter riprendere il discorso: «Siamo perciò andati di nuovo in pellegrinaggio, e questa volta a piedi, alla santa Cueva, anche per vedere l’altare nuovo di santa Petrosina, che doveva ormai essere pronto. Macché! Era stato solo verniciato, e di marmo c’era solo il tabernacolo e il ripiano dell’altare, e sotto questo, nel frontone della base, alcune reliquie della santa. Prima perciò di pregare la santa, siamo subito corsi a protestare con le monache. Ma queste tanto hanno fatto e tanto hanno detto che ci hanno convinto. Con i denari che avevamo lasciato s’era potuto fare solo quello e, se veramente volevamo un miracolo importante, non dovevamo pregare la santa ma la Madonna. E questo perché il santuario era suo, e non si può ossequiare uno che è ospitato a casa di altri senza prima onorare il padrone di casa – e cioè la Madonna –, e anche il suo altare aveva bisogno di essere abbellito, e non potevano farlo sfigurare di fronte a quello della santa... E insomma. Prima di venir via, mio marito ha fatto una bella offerta per il restauro del santuario e abbiamo pregato la Madonna che ci fa la grazia di avere un nipote. Possibilmente un nipote maschio».

Si tacque alfine la donna e, nonostante gli sguardi interrogativi del giudice, non sapeva decidersi a continuare. Questi, infine, tornò a chiedere: «E dunque? Perché siete qui? Non avete avuto questo benedetto nipote?». La donna tormentava le frange dello scialle che le copriva le spalle, apriva la bocca e poi la richiudeva, ma non faceva altro. Alla fine si decise: «Voscenza sì, il nipote l’avremo e nascerà fra tre mesi, ma... Insomma, lo devo dire...», e con un filo di voce bisbigliò:

«O siamo pregati male o la Madonna si è confonduta, perché il figlio l’ha avuto la mia figlia signorina!». 

Giudice e pubblico non la finivano più di ridere, tanto che, alla fine, fu il segretario verbalizzante a chiedere: «E perché mai disturbate sua Eccellenza?». «La colpa è delle monache – riprese combattiva la donna – che ci hanno convinto a pregare la Madonna e a tradire santa Petrosina. E anche la nuova offerta non l’abbiamo fatta per l’altare della santa, che pure già ci aveva fatto l’altro miracolo, ma per l’altare della Madonna. La santa perciò si è offesa con noi e il figlio l’ha mandato a mia figlia Rosalia, che non è sposata e c’ha solo 16 anni!». 

Il giudice si rese conto del dramma familiare e provò a dire qualcosa: «Ma vi pare che una santa si offende perché pregate la Madonna?». «È quello che c’ha detto anche il curato. Ma allora, se non è la santa che si è offesa che siamo pregati così male e siamo stati così ingrati, allora è la Madonna che si è confonduta. Oppure, io dico che questo è successo perché mio marito che ha fatto l’offerta – disse guardandolo con occhi di fuoco – ha continuato a pregare per avere lui un nipote, non un figlio sua figlia! E infatti il nipote, come già v’ho detto, ce l’avrà fra tre mesi...». Il marito stava a capo chino, il pubblico sorrideva divertito; le monache in atteggiamento pacioso sgranavano rosari, i frati stavano a braccia conserte con gli avambracci infilati nelle maniche del saio. 

Il giudice, che scoteva la testa, colse uno sguardo di sottecchi tra la giovane futura mamma e il cognato, vide la madre adirata che girava gli occhi un po’ su tutti, come se volesse incenerirli con lo sguardo, e le sorelle che erano rimaste taciturne e come smarrite. Tanto per guadagnare tempo, il nostro Sancho chiese: «Almeno, sapete chi è il padre?». «Venti bastonate non sono bastate a farglielo confessare – rispose la donna – e mio marito non glie ne vuole dare altre. Ed è chiaro perché: si sente in colpa...». «Ma questo giudice – ripeté alla fine il buon Sancho – che cosa può fare? Che cosa volete, alla buon’ora?». 

«Siamo state ingannate, Voscenza. E chiediamo almeno una riparazione. Abbiamo sprecato i denari delle offerte, o almeno della seconda, abbiamo perduto la protezione di santa Petrosina, è sprofondato l’onore della famiglia: chi mai se le sposerà le altre figlie mie quando abbiamo in casa una..., una...?». Ma non seppe o non volle completare la frase. Aggiunse invece con encomiabile spirito pratico: «Chiediamo perciò che il convento ci ritorni i denari della seconda offerta e metà della prima, che vengano dette cento messe di riparazione a santa Petrosina, e che il bambino che nascerà sia allevato a spese delle monache fino ai 14 anni». 

Non sapendo che pesci pigliare, il giudice si rivolse alle monache. «E voi? Non avete niente da dire?»: sperava, con questo, di trovare nelle loro parole quello spunto che tante volte gli era servito per elaborare una decisione. La più anziana, senza fretta, si fece il segno della croce toccandosi col crocifisso del suo rosario, ripose la corona in una tasca ricavata nell’ampia manica dell’abito e finalmente si decise a parlare. «Eccellenza, che possiamo dire? Abbiamo pregato e pregheremo ancora per questa famiglia e per questa sventurata ragazza-madre, ma di più non possiamo fare. Denari non ne abbiamo: il nostro è un convento povero, senza benefici, e vi siamo entrate tutte senza dote. Viviamo perciò della carità delle persone. E comunque non ci è possibile allevare il bambino nel convento, perché sarebbe un compito che non corrisponde allo spirito del nostro ordine, che è rigorosamente contemplativo. La madre provinciale comunque non ci darebbe mai l’autorizzazione. E infine, devo in effetti confessare che una piccola parte della prima offerta non è stata impiegata per l’altare della santa...». 

«Visto Eccellenza!» interloquì subito la querelante. «... È stata usata invece per il vitto delle monache, ma perché quello fu un inverno durissimo, freddo come non mai ed eravamo tutte alla fame... E infine, a proposito di santa Petrosina. Ma le pare possibile che una santa sia invidiosa della Vergine Maria e non faccia i miracoli per dispetto? E che santa sarebbe mai? Il figlio non è nato perché non è volontà di Dio. A quanto sento, nascerà invece dalla sorella minore, e questo non è bene perché non è sposata. Ma Dio scrive diritto sulle righe storte degli uomini e perciò siamo sicure che anche da questo potrà venire del bene. Sta a noi uomini cavarne del bene e non dell’altro male». Qui tacque la suora e, recuperata la corona, tornò a recitare il suo rosario.

Il buon Sancho rimase colpito dalle ultime parole: “Sta a noi uomini cavarne del bene e non dell’altro male”. Ma qual era questo bene, e soprattutto come farlo ‘digerire’ a chi aveva lo stomaco intossicato dall’ira? Si apprestava perciò a mandar via tutti senza prendere una decisione, quando gli parve di scorgere un movimento che già prima aveva notato senza dargli importanza. Che cos’era..., che cos’era...? Ah, già! si disse, ora ricordo. Quindi si alzò per emettere la sua sentenza.

«Ad eccezione delle monache, paciose e serafiche, vedo qui facce tristi e musi lunghi. Perché? Dovreste esser contenti, tutti voi della famiglia Avallone. Invece di far tragedie, guardate il lato positivo. Pascal e Litteria, che da sette anni aspettano un figlio, invece di tornare a piangere da santa Petrosina, possono adottare il bambino (sempre che non fosse possibile farlo passare come proprio agli occhi del paese!): e credo che Litteria potrebbe così soddisfare il suo desiderio di maternità. Sono invece certo che ancor più soddisfatti sarebbero Pascal e la giovane Rosalia. Perché? Perché vedo che i loro occhi, chissà perché, brillano di sollievo... García Fernando, il capofamiglia, voleva fortemente un nipote, ed è proprio quello che avrà: il bambino è infatti sangue del suo sangue. E un nipote, immagino, non dispiacerà a Venera, come le è scappato di ammettere, e neppure alle sorelle Agata e Lucia, perché potranno fare pratica di bambini...». Venera, vista sfumare ogni altra possibile riparazione, sembrava un po’ rabbonita, o magari solo rassegnata, perché non rinunciò a dire: «E chi volete che se le sposi le mie figlie Agata e Lucia e la stessa Rosalia?». «Se è per questo, basterà che vostro marito dia loro una cospicua dote: vedrete quale miracoloso potere hanno le doti, purché ricche e sostanziose, di ridimensionare certi pregiudizi, soprattutto quando si ha il coraggio di sfidarli a viso aperto».

Si allontanò rasserenata la famiglia Avallone, mentre il buon Sancho, contento in fondo al cuore per aver fatto del bene, avvertiva una punta d’amaro in bocca, non avendo potuto fare, per la sua Sanchita, quel che aveva suggerito per le ragazze Avallone. 

Brano tratto da

“Chiedo giustizia, Eccellenza..." Resoconto esattissimo delle udienze di giustizia tenute da S.E. don Sancho Panza Governatore dell’isola di Baratteria




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