Può un ente locale, che intenda costruire un parcheggio pubblico attraverso una procedura d’appalto, riconoscere all’appaltatore una quota del corrispettivo sotto forma di cessione di un proprio immobile?
Al quesito sopra riportato ha risposto ANAC con parere funzione consultiva n. 27 del 5 giugno 2024, sottolineando che mentre in vigenza del d. lgs. n. 163/2006, lo schema negoziale sopra richiamato era contemplato per gli appalti pubblici e, ricorrendo talune condizioni, anche per le concessioni di lavori, nel contesto del Codice dei contratti pubblici approvato con d. lgs. n. 50/2016 una simile possibilità era stata prevista soltanto nell’ambito dei rapporti di partenariato pubblico-privati.
L’Autorità ha poi richiamato l’art. 191 del d. lgs. n. 36/2023, che ha confermato la riconducibilità della fattispecie in parola, collocando l’articolo citato nella Parte IV (Partenariato pubblico-privato e contraente generale ed altre modalità di affidamento), Titolo I del nuovo Codice dei contratti pubblici. Ne consegue che le amministrazioni aggiudicatrici possono ricorrere alla cessione di immobili a titolo di prezzo, se una simile previsione risulta funzionale al mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario dell’intera operazione. Il comma 3 dell’art. 191 ha aggiunto che il bando di gara può prevedere che il trasferimento della proprietà dell’immobile e la conseguente immissione in possesso dello stesso possano avvenire prima dell’ultimazione dei lavori, purché l’operatore economico presenti a tal fine, idonea garanzia fideiussoria.
Il parere di ANAC conferma la necessità che tra pubbliche amministrazioni e soggetti privati si instauri un rapporto altro rispetto al tradizionale schema contrattuale di appalto, segnatamente, lo schema negoziale del partenariato pubblico-privato.
I partenariati pubblico-privati (PPP) sono l’esito di un lungo percorso evolutivo di tipo culturale, organizzativo e, quindi, anche giuridico, da un lato, dell’intervento pubblico in economia e, dall’altro, dei cambiamenti registrati nell’ambito dell’azione dei soggetti privati.
Per quanto attiene all’intervento pubblico in economia, è noto come, nel corso dei decenni, le istituzioni pubbliche abbiano progressivamente abbandonato la funzione di produzione diretta dei servizi di pubblica utilità per assumerne quella di regolazione, coordinamento, monitoraggio e verifica dei risultati conseguiti. Da questa evoluzione discendono almeno due conseguenze, tra loro correlate, che, per le loro implicazioni, interessano anche i PPP. In primo luogo, si è assistito ad una maggiore finalizzazione dell’azione amministrativa verso obiettivi di economicità, efficienza ed efficacia nell’organizzazione, gestione ed erogazione dei servizi di interesse generale. In secondo luogo, l’organizzazione, la gestione e l’erogazione dei servizi di interesse generale si realizza, in larga parte, attraverso l’individuazione di forme giuridiche di diritto privato, alle quali possono partecipare e nelle quali cooperano (anche più) pubbliche amministrazioni e soggetti privati. Ancorché prima facie si potrebbe essere tentati di attribuire a queste forme giuridiche di diritto privato una funzione “depauperatrice” delle prerogative pubbliche, al contrario, un’attenta valutazione e analisi della specifica forma giuridica e della sua governance, permettono, al contempo, di conservare in capo alle istituzioni pubbliche le loro responsabilità istituzionali e in capo ai soggetti privati la loro autonomia organizzativa e gestionale. Infatti, le forme giuridiche esito di programma di collaborazione tra istituzioni pubbliche e soggetti privati permettono alle pubbliche di amministrazioni di svolgere non soltanto una funzione di committenza, ma di realizzare altresì un’attività di promozione, sviluppo e sostegno dell’azione dei soggetti privati, in ossequio al principio di sussidiarietà.
Mentre le istituzioni pubbliche hanno modificato le loro funzioni e le loro modalità di intervento nei servizi di pubblica utilità, i soggetti privati, in specie for profit, nello specifico rapporto con gli enti pubblici, hanno progressivamente abbandonato il loro ruolo di “controparti” contrattuali. Questa posizione, caratteristica dei processi di esternalizzazione e, quindi, di un rapporto tipicamente basato sul binomio “committente-prestatore/erogate”, è stata sostituita, nei programmi di collaborazioni pubblico-private aventi ad oggetto progetti, iniziative ed interventi di rilevanza collettiva, in forme di condivisione di obiettivi, di risorse e di responsabilità con gli enti pubblici. La condivisione di obiettivi comuni di interesse generale, l’assunzione di responsabilità pubbliche, nonché la disponibilità a farsi carico di istanze collettive, seppur bilanciate dalla necessaria ricerca di equilibri economico-finanziari, rappresentano elementi che definiscono una vocazione metaegoistica dei soggetti privati, in specie lucrativi, rispetto alla più tradizionale e conosciuta posizione di erogatori di ultima istanza contrattati dalle pubbliche amministrazione per assicurare contratti a prestazioni corrispettive. Nei rapporti contrattuali tradizionali, gli operatori economici sono particolarmente concentrati sulla dimensione economico-finanziaria delle attività, dei progetti e degli interventi da realizzare, poiché l’obiettivo che essi perseguono consiste nella ricerca di un adeguato ritorno sugli investimenti effettuati. Nei programmi di collaborazione pubblico-privata, ancorchè gli operatori economici si assumono la maggior parte dei rischi connessi a quei servizi, opere o infrastrutture e, conseguentemente, volgono la loro attenzione al rendimento degli investimenti effettuati, essi, soprattutto, decidono di condividere il perseguimento di finalità di interesse collettivo.
Nella cornice sopra delineata, pertanto, gli enti pubblici possono ipotizzare di gestire il proprio patrimonio immobiliare rendendolo funzionale al perseguimento di finalità di interesse pubblico, nelle quali coinvolgere i soggetti economici, affinché anche questi possano contribuire alla medesima finalità.
E’, tuttavia, opportuno chiarire che i PPP non costituiscono strumenti giuridici di facile implementazione: anzi, essi, rispetto alle tradizionali forme di contratti pubblici, presentano maggiori difficoltà interpretative e applicative, nonché richiedono un livello più elevato di conoscenze e competenze sia dal lato pubblico sia da quello privato. Invero, le difficoltà maggiori non risiedono tanto nella necessità di disporre di apparati, di strumenti giuridici e di competenze manageriali nelle fasi di progettazione, organizzazione e gestione di un servizio in forma di PPP, quanto nella necessaria disponibilità delle due parti di attivare percorsi di conoscenza reciproca, la cui finalità ultima coincide con l’interesse generale.
Si tratta di una prospettiva in cui la contrattualizzazione dell’attività amministrativa, almeno in parte, costituisce l’espressione della contrattualizzazione delle politiche pubbliche. Da ciò discende che nei PPP non si realizza una contrapposizione tra modelli di organizzazione pubblici e privati, ma gli stessi devono giungere ad una sintesi equilibrata e ricercata in funzione delle specifiche finalità di interesse generale che le parti, congiuntamente, intendono realizzare. Ed è per questo che ANAC ha potuto ribadire la necessaria riconducibilità dello “scambio” avente ad oggetto un immobile pubblico negli schemi collaborativi identificati nei PPP.