“LA RESPONSABILITÀ ERARIALE: TRA RICERCA DELL'AMMINISTRAZIONE DI RISULTATO E PAURA DELLA FIRMA” - COMMENTO A CORTE COSTITUZIONALE, 16 LUGLIO 2024 N. 132
di Marco Porro e Federico Basso
La Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Campania è stata chiamata a pronunciarsi nel giudizio di responsabilità erariale avviato dalla competente Procura Regionale nei confronti di sei militari dell’Arma dei Carabinieri, accusati, a vario titolo, di aver causato un danno erariale di oltre 4 milioni di euro, conseguenti all’incasso (avvenuto tra maggio 2010 e gennaio 2021) di assegni bancari da parte di un militare, che non avrebbe riversato tali somme nel patrimonio dell’Amministrazione di appartenenza.
In particolare, la Procura Regionale ha contestato ai vari convenuti di essersi resi responsabili, a seconda delle posizioni gerarchiche ricoperte, di condotte commissive realizzate con dolo oppure con colpa grave, nonché di condotte omissive consistenti nella mancata vigilanza sull’operato dei propri sottoposti, integrando l’elemento soggettivo della colpa grave.
Pertanto, il giudizio in questione è stato interessato dall’applicazione del c.d. scudo erariale, introdotto nell’ordinamento dall’art. 21, comma 2 del Decreto-Legge 16 luglio 2020 n. 76, ai sensi del quale “limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2024, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l'azione di responsabilità di cui all'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”.
Tale disposizione è stata inizialmente introdotta con efficacia fino al 31 luglio 2021, nell’ambito delle disposizioni volte a fronteggiare le ricadute economiche conseguenti all'emergenza epidemiologica da Covid-19.
Successivamente, in sede di conversione in Legge e con ulteriori due interventi normativi finalizzati a consentire una rapida ed efficiente attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), l’efficacia del c.d. scudo erariale è stata estesa a tutto il 2024.
Preso atto dell’applicabilità al caso di specie della norma in esame, la Corte dei Conti per la Campania ha ritenuto necessario sollevare la questione di legittimità costituzionale del c.d. scudo erariale, per violazione degli artt. 3, 28, 81, 97 e 103 della Costituzione.
Nello specifico, il giudice a quo ha evidenziato che l’art. 21 del D.L. 76/2020:
Con la sentenza n. 132 in data 16 luglio 2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata, dal momento che la definizione del regime normativo della responsabilità amministrativa è rimessa alla discrezionalità del Legislatore, con conseguente sindacabilità da parte del Giudice delle Leggi soltanto per le ipotesi di irragionevolezza e arbitrarietà della scelta legislativa compiuta.
In particolare, secondo la Corte, con l’introduzione dello scudo erariale, il Legislatore mira a raggiungere l’obiettivo di realizzare un’amministrazione di risultato, il cui percorso, iniziato negli anni ’90, è stato ripetutamente ostacolato dall’insorgere della c.d. “fatica dell’amministrare”, situazione nella quale il funzionario pubblico è costretto a individuare la disposizione normativa applicabile all’interno di un quadro normativo disorganico e notevolmente complesso, nonché interpellato dalla collettività per adottare provvedimenti che presuppongono una ponderazione fra interessi contrastanti e inconciliabili, con conseguente difficoltà nell’esercizio della discrezionalità amministrativa.
Per descrivere iconograficamente la situazione nella quale opererebbero quotidianamente i dipendenti pubblici italiani, la Corte ha fatto ricorso al concetto di c.d. “paura della firma”, senza darne però una compiuta definizione né potersi richiamare a studi scientifici sul punto (a quanto noto, a oggi, inesistenti).
Alla luce della pronuncia della Corte, il giudice a quo sarà dunque costretto a mandare esenti da ogni responsabilità i convenuti che hanno contribuito con condotte attive non dolose a causare un danno erariale milionario, mentre per gli stessi fatti potranno essere ritenuti responsabili i militari che hanno omesso di esercitare un’attività di vigilanza e controllo sull’operato dei primi, quand’anche la condotta omissiva contestata dalla Procura sia anch’essa stata posta in essere con colpa grave.
A prescindere dalle ricadute applicative concrete della pronuncia in commento, è necessario evidenziare che la decisione della Corte presta il fianco a una prima (ed evidente) contestazione in punto di coerenza logica.
Infatti, la Corte ha ritenuto infondata la questione sottoposta alla sua attenzione evidenziando in particolare che, sebbene lo scudo erariale sia stato introdotto al dichiarato fine di consentire la ripresa a seguito della pandemia da Covid-19 e l’attuazione del PNRR, non sarebbe irragionevole rendere esenti da responsabilità anche le condotte dannose poste in essere da pubblici funzionari in assenza di qualsiasi attinenza con i predetti obiettivi, in quanto l’attività della P.A. è finalizzata a curare gli interessi pubblici, sia mediante l’adozione di provvedimenti amministrativi sia con l’esecuzione di attività materiali.
Al riguardo, lo scudo erariale sarebbe dunque volto a combattere la “burocrazia difensiva” e a favorire un miglioramento di tutte le attività amministrative, creando un regime di fiducia tra i pubblici funzionari.
Inoltre, con specifico riferimento al PNRR, la Corte rileva che anche le attività non strettamente collegate all’attuazione del Piano possono essere in realtà finalizzate a consentire il raggiungimento dei relativi obiettivi, con la conseguente necessità di rendere anche tali condotte coperte dallo scudo erariale.
Ebbene, sul punto è agevole rilevare che la presunta finalità di superare la “burocrazia difensiva” non può in alcun modo giustificare l’esenzione da responsabilità per tutte le azioni dei dipendenti pubblici, quand’anche scollegate dal superamento della crisi pandemica, al solo fine di creare per tali soggetti un “clima di fiducia”.
Se la finalità dello scudo erariale è stata (almeno in un primo tempo) quella di consentire la riprese delle attività economiche penalizzate dal Covid-19, l’interesse degli operatori economici tutelato dalla norma è esclusivamente quello di ottenere dalle amministrazioni competenti la rapida erogazione delle sovvenzioni economiche accordate dal Governo e l’agevolazione nello svolgimento dei procedimenti amministrativi volti a consentire l’avvio di nuove attività economiche.
Sul punto, è dunque palesemente irrilevante rispetto all’interesse tutelato dalla norma che le attività estranee a questi obiettivi possano essere compiute dai funzionari pubblici in un presunto (e indimostrato) migliore ambiente umano e relazionale interno alle amministrazioni.
In aggiunta a quanto precede, è appena il caso di evidenziare che la Corte ha giustificato l’introduzione nell’ordinamento della limitazione di responsabilità accordata dallo scudo erariale facendo testualmente riferimento alla condizione di “paura della firma” nella quale i dipendenti pubblici sarebbero chiamati a svolgere le proprie funzioni.
Ora, a parte il fatto che il Legislatore non menziona minimamente tale problema fra le ragioni di straordinaria necessità e urgenza che hanno giustificato l’emanazione del D.L. 76/2020, preme evidenziare come il concetto in esame (sebbene non sia stato oggetto di puntuale definizione nemmeno da parte della Corte) può tutt’al più giustificare un ritardo nello svolgimento delle funzioni provvedimentali.
Al contrario, le attività meramente materiali (che, come chiarito dalla Corte, costituiscono un’intrinseca componente dell’attività amministrativa) non possono essere affatto ostacolate dalla paura che il funzionario avrebbe nel sottoscrivere provvedimenti o altri atti idonei a far sorgere obblighi nei confronti dell’Amministrazione, a tal punto da omettere di adempiere ai compiti del proprio ufficio per il timore di essere convenuto in un giudizio di responsabilità erariale davanti alla Corte dei Conti.
Sul punto, basti pensare alla situazione fattuale oggetto del giudizio a quo: infatti, l’indebito incasso di assegni intestati all’Arma dei Carabinieri non è certo un comportamento che può essere interessato dalla renitenza del pubblico funzionario nel sottoscrivere provvedimenti amministrativi, bensì uno scenario nel quale l’indebita appropriazione di somme appartenenti al patrimonio dell’Amministrazione rischia di essere incentivata da una limitazione di responsabilità per gli autori dell’illecito.
Nella sentenza in esame la Corte, dopo aver rigettato la specifica questione ad essa sottoposta, si sofferma in chiusura sulle nuove prospettive di riforma della responsabilità erariale, delineando un decalogo dei tratti che, secondo i giudici costituzionali, essa dovrebbe presentare in futuro. Peraltro, proprio in ragione dell’ampia disamina sul punto, tale sentenza è stata definita da acuta dottrina come una sentenza “pungolatoria”, cioè volta a stimolare il legislatore in una precisa direzione di riforma della responsabilità de qua, fra l’altro, già oggetto di esame da parte delle Camere in questi mesi, a seguito della presentazione del. c.d. disegno di legge Foti (C1621).
Ebbene, prima di procedere all’esame puntuale delle proposte effettuate dalla Corte e delle relative criticità, da una prima e generale analisi delle stesse, pare, ad avviso di chi scrive, che l’impianto delineato nella pronuncia presenti, a tratti, profili di elevata incoerenza, forse dovuti alla perdurante incertezza circa la funzione da attribuire alla responsabilità erariale.
Nel progetto di riforma illustrato dalla Corte, infatti, sembrano emergere profili tra loro contrastanti: alcuni tipici della funzione deterrente e sanzionatoria (si pensi, ad es., al “rafforzamento dei poteri di controllo della Corte dei Conti”), altri tipici della funzione compensativo-riparatoria (quale, ad es., il sollecito a introdurre meccanismi tali da evitare il bis in idem con la concorrente responsabilità civile), altri ancora tipici di una funzione, per così dire, “indulgenziale” verso il funzionario pubblico (si pensi alla proposta di introduzione di ipotesi tipizzate di colpa grave, di un tetto massimo al danno risarcibile, di tipizzazione del potere riduttivo, ecc.).
Quello che sembra emergere dalle parole della Corte è, dunque, un sistema certamente più garantista di quello attuale, ma ancora caratterizzato da forti contraddizioni intrinseche, frutto, probabilmente, di un non ancora avvenuto consolidamento dell’effettivo ruolo da riconoscere alla responsabilità erariale.
Poste tali considerazioni generali, occorre ora esaminare nel dettaglio il progetto di riforma delineato dalla Corte, onde individuarne sia i punti di forza, sia le criticità.
Innanzitutto, la Consulta propone una tipizzazione delle ipotesi di colpa grave, in quanto l’incertezza della sua effettiva declinazione affidata all’opera postuma del giudice costituisce uno degli aspetti più temuti dagli amministratori. Tale suggerimento, invero, si pone sulla scia delle più recenti e tendenze legislative, come testimoniato, ad esempio, dall’art. 2, c. 3, d. lgs. 36/2023, pur se dettato con riferimento allo specifico ambito dei contratti pubblici.
Le criticità a tale soluzione avanzata dalla Corte, tuttavia, sono duplici: da un lato, infatti, si creerebbe una divergenza con riguardo alla struttura della colpa tra responsabilità erariale e responsabilità civile: la prima imperniata su criteri di tipizzazione della colpa, la seconda, invece, caratterizzata da una tradizionale nozione di colpa intesa in senso atipico; dall’altro, un’eccessiva opera di tipizzazione delle condotte colpose rischia di lasciare impuniti comportamenti negligenti, imprudenti o imperiti non previsti dalle norme, ma ugualmente meritevoli di pena.
In secondo luogo, la Corte suggerisce l’introduzione di un limite massimo oltre il quale il danno, per ragioni di equità nella ripartizione del rischio, non venga addossato al dipendente pubblico, ma resti a carico dell’Amministrazione nel cui interesse egli agisce, a cui può accompagnarsi anche la previsione della rateizzazione del debito risarcitorio.
Anche tale profilo, tuttavia, presta il fianco ad alcune critiche.
In primis, esso andrebbe a minare la (prevalente) funzione deterrente e sanzionatoria assegnata alla responsabilità erariale, mandando esente ex ante da qualsiasi conseguenza giuridica il funzionario infedele per i danni cagionati oltre un certo importo.
In secundis, il fatto che una parte di danno resti a carico dell’Amministrazione comporta un indebito accollo sulla collettività, come già accaduto con la rivalsa prevista dalla legge Gelli-Bianco, dei costi sopportati dalla Pubblica Amministrazione in sede risarcitoria civile nei confronti di eventuali terzi danneggiati.
In terzo luogo, la Consulta invita il legislatore a valutare una modifica della disciplina del potere riduttivo, prevedendo, oltre all’attuale ipotesi generale affidata alla discrezionalità del giudice, ulteriori fattispecie obbligatorie normativamente tipizzate nei presupposti.
Effettivamente, tale proposta pare essere ragionevole, giacché in questo modo si porrebbe un argine alla discrezionalità giudiziaria nell’utilizzo di tale potere. Tuttavia, anche in tal caso occorre evidenziare come il legislatore, in sede di riforma, dovrà disciplinare assai attentamente tali fattispecie riduttive, pena, altrimenti, il rischio di incorrere in disparità di trattamento tra le diverse categorie di funzionari.
In quarto luogo, il giudice costituzionale suggerisce, altresì, il rafforzamento delle funzioni di controllo della Corte dei conti (con il contestuale abbinamento di un’esenzione da responsabilità colposa per coloro che si adeguino alle sue indicazioni). Orbene, se ciò risulta apprezzabile in un’ottica deterrente nei confronti dei pubblici funzionari, pare essere, però, un’arma spuntata verso tutti quei soggetti che non rientrano tra le Amministrazioni sottoposte al potere di controllo del giudice delle finanze pubbliche.
In particolare, è notorio che, nello scenario odierno, numerose ed eterogenee attività amministrative sono eseguite da migliaia di società a partecipazione pubblica (basti pensare alle società in house affidatarie dei servizi pubblici locali), i cui atti e provvedimenti sono (per lo più) esclusi dell’attività di controllo da parte della Corte dei Conti, con la conseguenza che i relativi funzionari sarebbero ingiustificatamente privati dalla possibilità di sottoporre al vaglio della Corte dei Conti la legittimità dei propri atti e andare conseguentemente esenti da responsabilità erariale.
È chiaro che estendere a tutte le società a partecipazione pubblica il generale potere di controllo che la Corte dei Conti può esercitare sulle amministrazioni dello Stato e degli enti locali comporterebbe certamente la paralisi del funzionamento delle sezioni di controllo.
Inoltre, un incremento delle funzioni di controllo della Corte dei Conti potrebbe comportare il rischio di un’indebita intrusione (e, in alcune ipotesi, addirittura di una sostituzione) negli spazi di discrezionalità riservati all’Amministrazione, in particolar modo laddove, come nella proposta della Corte, a ciò si abbini un’esenzione da responsabilità colposa per coloro che si adeguino alle indicazioni del giudice contabile: tale meccanismo, infatti, può incentivare il funzionario a non esercitare il proprio potere discrezionale e a seguire pedissequamente le istruzioni del giudice, in modo tale da non incorrere in responsabilità.
In quinto luogo, al fine di evitare l’infruttuosità dell’azione contabile per incapienza del funzionario rispetto al danno effettivamente accertato, la Corte propone l’incentivazione della stipula di polizze assicurative (che, allo stato attuale, non sono obbligatorie), analogamente a quanto avviene, ad es., nel Nuovo Codice dei Contratti pubblici.
Anche tale invito, tuttavia, presenta profili di elevata problematicità, ove il costo del premio venga posto a carico della P.A. Ciò, infatti, dà adito a dubbi di ragionevolezza sistemica e di compatibilità con la causa del contratto assicurativo, ove il costo venga posto a carico del datore danneggiato: oltre ad essere vietato per legge un premio a carico della Pubblica Amministrazione a tutela dei propri dipendenti (art. 3, c. 59, l. 24 dicembre 2007 n. 244), è incoerente con il regime assicurativo che il premio della polizza che tutela il danneggiante venga pagato dal danneggiato (la Pubblica Amministrazione), oltrepiù con denaro pubblico. Senza tenere conto, peraltro, del fatto che la sicurezza di poter contare su una copertura assicurativa minerebbe alla base la funzione deterrente e sanzionatoria riconosciuta alla responsabilità erariale.
Peraltro, seguendo le indicazioni della Corte, le conseguenze patrimoniali del danno erariale verrebbero poste a carico delle compagnie assicurative, che sono (come noto) per lo più costituite nella forma di public companies talora a partecipazione pubblica, con la conseguenza che la collettività stessa verrebbe in ultima istanza chiamata a far fronte ai costi sostenuti per porre rimedio agli illeciti commessi dai dipendenti pubblici. Dunque, anche sotto tale profilo, la riforma tratteggiata dalla Corte pare volta a tutelare maggiormente il patrimonio personale dei funzionari piuttosto che ad assicurare un efficace perseguimento dell’interesse pubblico, finalità propria dell’amministrazione di risultato (che la Corte stessa erige a obiettivo da raggiungere).
In sesto luogo, la Consulta sprona il Legislatore a prevedere un’eccezionale esclusione della responsabilità colposa per specifiche categorie di pubblici dipendenti, anche solo in relazione a determinate tipologie di atti, in ragione della particolare complessità delle loro funzioni o mansioni e/o del connesso elevato rischio patrimoniale.
Ora, anche a questo invito sono ricollegabili alcune criticità. Invero, pur ammettendo, in astratto, la correttezza di un sistema che escluda la responsabilità per colpa (tema già affrontato funditus nei precedenti parr. 1 e 2), il Legislatore dovrà ben scegliere e perimetrare a quali categorie applicare tale esenzione, onde evitare, da un lato, future incertezze interpretative, dall’altro, disparità di trattamento tra pubblici funzionari.
In settimo e ultimo luogo la Corte propone, infine, l’inserimento di meccanismi di coordinamento tra processo civile e contabile per scongiurare l’eventuale moltiplicazione delle responsabilità degli amministratori per i medesimi fatti materiali, spesso non coordinate tra di loro.
Ebbene, sul tema pare opportuno spendere qualche parola.
Con riferimento ai rapporti tra le due responsabilità in esame, se, un tempo, la giurisprudenza riteneva che dovesse trovare applicazione la sola responsabilità erariale, al contrario, la giurisprudenza più recente ritiene che le due tipologie di responsabilità possano concorrere (c.d. sistema del doppio binario): le due azioni, infatti, restano reciprocamente indipendenti, anche quando investono i medesimi fatti materiali, giacché la responsabilità erariale è volta alla tutela dell'interesse pubblico generale, al buon andamento della P.A. e al corretto impiego delle risorse, con funzione prevalentemente sanzionatoria; la responsabilità civile è finalizzata, invece, al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell'interesse particolare della singola Amministrazione attrice (Cass., 20 dicembre 2018, n. 32929 e 14 luglio 2015, n. 14632; nonché Cass. Sez. Un. 19 febbraio 2019, n. 4883, Cass. 4 aprile 2019, n. 24859 e, più di recente, Cass. 5 settembre 2024, n. 23833).
Posta, dunque, la possibile concorrenza tra le due azioni, si pone il conseguente problema relativo al loro coordinamento e al rischio di violazione del divieto di bis in idem, che, come noto, si articola su due piani: quello sostanziale, che importa il divieto di evitare indebite duplicazioni risarcitorie per il medesimo fatto, e quello processuale, che implica il divieto di intraprendere due azioni (e due processi) per il medesimo fatto.
Con riferimento al piano sostanziale non paiono sussistere particolari problemi, posto che l’ordinamento già conosce dei meccanismi di coordinamento tra le due responsabilità: infatti, allorquando il funzionario sia stato condannato in sede civile, il giudice contabile potrà dichiarare l’improponibilità o l’improcedibilità dell’azione, a seconda che il processo civile si sia già concluso anteriormente all’apertura del giudizio contabile ovvero si sia chiuso una volta che questo sia già iniziato; al contrario, allorquando si sia in presenza di una precedente condanna in sede contabile, allora il giudice civile potrà rigettare in rito la domanda per carenza di interesse ad agire (posto che la P.a. danneggiata è già stata risarcita del danno subìto). Qualora, invece, i predetti meccanismi di coordinamento non abbiano funzionato nel processo di cognizione, allora sarà il giudice dell’esecuzione a dover operare le debite decurtazioni in sede esecutiva. In conclusione, secondo la Suprema Corte, la sovrapposizione tra giudizi non dà luogo a una questione di giurisdizione, ma solo di proponibilità/ammissibilità dell’azione, trattandosi di interferenza tra giudizi e non tra giurisdizioni (a meno che non si contesti l’insussistenza dei presupposti sostanziali per l’esercizio dell’azione, quale, ad esempio, l’assenza di un rapporto di servizio nella responsabilità amministrativo-contabile), con la conseguenza per cui la mancata rilevazione da parte del giudice dell’avvenuta condanna rappresenta un error in iudicando, che non può essere dedotto con il ricorso ex art. 111, c. 8 Cost. e 362 c.p.c.
Maggiori dubbi sorgono, invece, con riferimento alla violazione del bis in idem processuale. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità (nonché la giurisprudenza della Corte Edu) ritiene possibile l’apertura di due processi (civile e contabile) per il medesimo fatto, sulla scorta della considerazione per cui - come detto precedentemente - si tratterebbe di due tipologie di responsabilità aventi una funzione diversa. La responsabilità civile, infatti, avrebbe una funzione compensativo-riparatoria, mentre la responsabilità erariale, secondo l’opinione maggioritaria, avrebbe una prevalente funzione deterrente e sanzionatoria.
Orbene, se la giurisprudenza è ferma su tali approdi, più variegata risulta essere la posizione della dottrina. Come sottolineato da attento Autore, infatti, l’esistenza del meccanismo del doppio binario crea non pochi problemi, in particolare, sotto i seguenti profili: a) rischio di emarginazione della responsabilità erariale a favore della responsabilità civile, quest’ultima più conveniente con riferimento all’elemento soggettivo (il danneggiante risponde sempre per colpa e anche per colpa lieve) e con riferimento all’integralità del risarcimento (posto che al giudice ordinario non è riconosciuto alcun potere riduttivo); b) creazione di disparità di trattamento, qualora venga aperto un secondo processo avanti al g.o./al giudice contabile a carico del pubblico dipendente, giacché costui può essere giudicato secondo norme differenti a seconda che l’azione sia proposta avanti al giudice civile o alla Corte dei Conti; c) contrasto con il principio del giusto processo, poiché il fatto che la medesima controversia possa essere di nuovo esaminata e decisa (magari diversamente) da un altro giudice comporta una violazione del predetto principio.
Se si accolgono le argomentazioni di tale dottrina, pertanto, la proposta di introdurre a livello legislativo un siffatto meccanismo di coordinamento è certamente da valutare con favore.
Orbene, come emergente dall’analisi effettuata nel precedente paragrafo, le indicazioni date dalla Corte per una futura riforma della responsabilità erariale non possono dirsi pienamente appaganti.
Infatti, il regime delineato dalla Consulta (tipizzazione della colpa grave, limitazioni al danno risarcibile, stipula di polizze assicurative con premio a carico della stessa P.A., ecc.) pare condurre, effettivamente, ad una maggiore irresponsabilità del funzionario pubblico, il quale, per così dire, viene attorniato da una serie di meccanismi protettivi, privi di reale giustificazione e, anzi, forieri di palesi disparità di trattamento con i dipendenti privati.
Inoltre, la creazione di tali indebiti benefici a favore dei pubblici dipendenti pare contrastare con una serie di caratteri essenziali della responsabilità erariale. Innanzitutto, con la sua funzione deterrente e sanzionatoria, che sarebbe certamente minata e depotenziata attraverso l’inserimento di siffatti meccanismi. In secondo luogo, con il ruolo, le funzioni e le prerogative costituzionali riconosciute alla Corte dei Conti, che, parimenti, sarebbero depotenziate. In terzo luogo, paradossalmente, proprio con quelle esigenze di migliore attuazione del PNRR che hanno ispirato tali interventi riformatori all’insegna di un alleggerimento della responsabilità contabile: è palese, infatti, come il rilancio dell’economia debba accompagnarsi ad un agire scrupoloso, efficiente e consapevole dei pubblici funzionari e non a promesse di impunità per chi svolge malamente le proprie mansioni. In quarto luogo, infine, con l’esigenza di garantire l’equilibrio di bilancio e il corretto utilizzo delle risorse pubbliche: invero, la sostanziale impunità per condotte gravemente colpose ovvero l’introduzione di ulteriori limiti alla risarcibilità dei danni provocati dal funzionario porterebbero ad un accollo in capo all’Amministrazione dei costi sostenuti per la riparazione del danno, con evidenti ricadute negative sulla collettività, in capo alla quale, in ultima istanza, ricadrebbero tali oneri.
Paiono da condividere, dunque, le osservazioni di acuta dottrina, la quale ha lucidamente osservato come «La migliore assicurazione per ogni dirigente pubblico serio e non pavido non è dunque data da “scudi erariali”, norme ad castam, o da polizze (il cui costo si vorrebbe addirittura porre a carico della pubblica amministrazione danneggiata!), ma dalla propria competenza tecnica frutto di selezione, studio e aggiornamento, nonché dalla motivazione attenta e congrua delle proprie scelte gestionali: nessun giudice sindaca o sindacherà mai scelte gestionali (provvedimentali, materiali, conciliative, transattive etc.), anche se complesse e onerose, ove le stesse siano motivate in ordine all’iter logico-giuridico seguito, ancorato a referenti normativi e risultanze istruttorie correttamente ed esaustivamente svolte da funzionari preparati. In estrema sintesi, i progressivi interventi normativi limitativi delle responsabilità dei dipendenti pubblici avallati nel tempo dalla Consulta (da ultimo con la sentenza che si annota) sembrano voler intervenire sulla timorosa lentezza dell’azione amministrativa agendo “a valle”, ovvero sulle conseguenze in punto di responsabilità del dipendente, invece di intervenire “a monte”, ovvero sulle cause della timorosa lentezza, quali la farraginosità delle norme da semplificare e codificare e la scarsa competenza del personale (soprattutto in enti locali), da migliorare con selezioni serie e formazione elevata.»
Ebbene, anche alla luce di tali considerazioni, l’inidoneità dei meccanismi delineati dalla Corte (per contrastare, appunto, “la paura della firma” e la moderna “fatica dell’amministrare”) impone di procedere all’individuazione di soluzioni alternative e più soddisfacenti. Seguendo le indicazioni della predetta dottrina, pertanto, le proposte di riforma della responsabilità erariale non potranno riguardare solo un piano prettamente “patologico”, ossia la responsabilità e il giudizio contabile, ma anche aspetti, per così dire, “fisiologici”, di carattere preventivo, volti a scongiurare la commissione di futuri illeciti da parte dei pubblici funzionari e, di riflesso, a superare la c.d. paura della firma, così tanto al centro degli attuali dibattiti in tema di responsabilità erariale.
In quest’ottica, ad avviso di chi scrive, le principali direttive di una futura riforma della responsabilità erariale potrebbero essere le seguenti: a) incremento delle scuole di Alta Amministrazione, onde garantire ai pubblici funzionari una preparazione di elevata qualità finalizzata ad attribuire agli stessi tutti gli strumenti per superare eventuali situazioni problematiche, senza il timore di incorrere in errori, spesso dettati da una scarsa conoscenza tecnica e giuridica; b) una maggiore valorizzazione della meritocrazia in tutti gli ambiti. Ad esempio, occorrerebbe evitare di distribuire premi e benefici “a pioggia”, cioè indistintamente nei confronti di tutti i dipendenti pubblici, a prescindere dal merito e dalla produttività di ciascuno; c) una revisione delle modalità di svolgimento di alcune procedure concorsuali per la selezione del personale, spesso caratterizzate da criteri di valutazione non idonei ovvero da programmi di studio non coerenti con le mansioni che il candidato sarà poi chiamato a svolgere; d) una costante formazione e aggiornamento dei funzionari pubblici, in modo tale da garantire loro un adeguato bagaglio di conoscenza in relazione alle più recenti novità tecniche e giuridiche; e) una maggiore chiarezza normativa e una maggiore uniformità giurisprudenziale, onde evitare la creazione di situazioni caratterizzate, effettivamente, da un’elevata incertezza sul piano giuridico; f) un allineamento tra responsabilità erariale e responsabilità civile con riferimento all’elemento soggettivo e al potere riduttivo (quest’ultimo riconosciuto solo al giudice contabile e non anche al giudice civile). Infatti, sulla base dell’attuale sistema sarebbe sempre più conveniente per il danneggiato agire in sede civile, ove non vi sono limitazioni di responsabilità con riguardo alle condotte colpose, né è previsto un potere riduttivo del giudice; il rischio, dunque, è che tali peculiari caratteri della responsabilità erariale ne comportino, in definitiva, una progressiva emarginazione in favore della responsabilità civile, certamente più favorevole per la P.a. danneggiata; g) un definitivo chiarimento circa la compatibilità o meno del sistema del c.d. doppio binario con il principio del ne bis in idem processuale; h) l’eliminazione del potere riduttivo riconosciuto al giudice contabile, il quale costituisce un ingiustificato privilegio dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati e che mina alle fondamenta la stessa funzione deterrente e sanzionatoria riconosciuta alla responsabilità erariale.
In allegato il testo integrale con note.
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