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Dopo essersi quasi estinta, il divieto di caccia e altre regolamentazioni hanno permesso alla balena franca australe di esser classificata solo come minacciata, e a rischio minimo di conservazione. Ma ora si è aggiunto un nuovo nemico che, nonostante la stazza, sta facendo più danni di quanto si possa immaginare. Stiamo parlando dei gabbiani.
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La notizia arriva da Puerto Pirámides, in Argentina, dove le balene migrano ogni anno per riprodursi. Qui, quando erano ancora minacciate dalla caccia commerciale, nel 1984 le balene franche australi sono state dichiarate Monumento Naturale Nazionale. E questi cetacei di 16 metri che possono arrivare a pesare fino a 50 tonnellate, hanno anche un giorno tutto loro: il 25 settembre.
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Si stima che dei 100 mila esemplari esistenti prima dei massacri, ne fossero rimaste circa 7 mila al momento del divieto. Oggi, secondo i dati del Whale Conservation Institute, la popolazione di Eubalena Austrialis raggiunge i 5.500 individui sui 15-20 mila in tutto l'emisfero. Tuttavia non avevamo ancora fatto i conti con un altro storico nemico alato.
Queste balene nuotano placidamente a pelo d’acqua, il che permette agli affamati gabbiani di atterrare su di loro e beccarle per nutrirsi delle alghe che crescono sulla loro pelle. Peccato che mentre lo fanno le feriscano e, già che ci sono, addentano anche la loro grassa carne. Essendosi abituati a prosperare nelle discariche e fra i rifiuti, i gabbiani non si fanno più problemi e mangiano tutto quello che trovano.
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All’inizio degli Anni 70 era stato stimato che circa il 2% delle madri e dei cuccioli presentavano lesioni da gabbiano. Oggi non si trova un esemplare non ferito: i morsi sono ben visibili, soprattutto negli esemplari più piccoli, che non sanno come difendersi. Si stima che le balene trascorrano fino a un quarto della loro giornata cercando di sfuggire agli attacchi dei gabbiani. E se gli affamati prendono di mira una neomamma o un cucciolo possono arrivare addirittura a comprometterne la sopravvivenza.
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Gli attacchi stanno aumentando insieme alla crescita della popolazione di gabbiani, che prolifera a causa dei pesci scartati in mare e nelle discariche di rifiuti urbani. Per difendersi da questi continui attacchi, le balene hanno modificato il loro modo di respirare, la velocità di nuoto e perfino la loro posizione di riposo, inarcando la schiena per evitare le beccate. Rimangono sommerse e risalgono in superficie solo per respirare, obliquamente, sporgendo appena la testa fuori dall'acqua. E questa posizione anomala ostacola la loro naturale galleggiabilità, oltre a fargli consumare più energia. “Uno degli effetti più preoccupanti degli attacchi è il dispendio energetico aggiuntivo che genera sulle balene. Nel caso dei neonati, invece di poter riposare o nutrirsi, passano molto tempo a fuggire dagli attacchi e non riescono ad alimentarsi normalmente. I loro livelli di stress sono molto alti”, spiega il biologo marino Mariano Sironi, direttore scientifico dell'Icb.
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La gravità delle lesioni ai cuccioli è stata circa dieci volte maggiore tra il 1996 e il 2011, quando i piccoli sono diventati il loro obiettivo di attacco preferito rispetto alle madri. “Questi dati riflettono i cambiamenti nelle abitudini adottate dalle balene per difendersi dai gabbiani e nella loro popolazione. Tra il 2003 e il 2013, nella penisola di Valdés sono stati registrati eventi di elevata mortalità e gli attacchi dei gabbiani potrebbero aver contribuito”.
“È un problema biologico – prosegue Sironi –, c'è una relazione tra due specie autoctone di cui una sta attuando un comportamento di micropredazione. Questo rapporto è natural ma in tutto questo c'è anche una componente umana, che ha a che fare con gli scarti della pesca e i rifiuti umani sulla terraferma. I gabbiani ne approfittano e in questo modo le loro popolazioni sono state favorite e sono cresciute. Quella componente umana è ciò che deve essere assolutamente migliorata. Dobbiamo lavorare sulla gestione dei rifiuti, in modo che i gabbiani ritornino al loro cibo tradizionale” e smettano di attaccare le balene.