Caso-pilota in tema di infedeltà coniugale.
In una città del Nord Italia un ragazzo e una ragazza si incontrano, si fidanzano; alcuni anni insieme, poi le nozze: la sposa rimane subito incinta. Come lavoro lui fa il rappresentante di commercio, lei è casalinga; durante le prime settimane di gravidanza tutto bene, poi cambia qualcosa. L’uomo comincia a restare fuori la sera, torna tardi, è sempre meno affettuoso; non si preoccupa di sapere come sta la moglie, sembra infischiarsene del fatto di diventare padre.
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Facile indovinare che c’è un’altra donna di mezzo: di qui litigate crescenti, scontri via via più aspri, finché tra i due scende il silenzio. Musi dalla mattina alla sera. Ma siccome le emergenze sono continue in una casa, e occorre in qualche modo gestirle, ecco il marito avviare una “prassi comunicativa” fatta di bigliettini. Ce n’è per tutti i gusti: pacchi in arrivo, l’idraulico per il lavello intasato, la verifica dei contatori, l’assemblea di condominio; bigliettini sempre bigliettini.
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Dopo il parto le cose non cambiano, è chiaro come lui sia ormai, col cuore e con la testa, da un’altra parte. Anche del figlio appena nato poco si interessa, quasi non fosse suo; alla moglie non rimane che chiedere la separazione. E i giudici del Tribunale, donne tutte e tre nella fattispecie, mostreranno scarsa comprensione verso il “maschio”. Uno che si comporti così non merita indulgenza; non soltanto gli viene addebitata la separazione, con quanto ne consegue, ma dovrà risarcire pure il danno non patrimoniale (le umiliazioni, la peggior vita): ogni riflesso che quell’infedeltà/indifferenza abbia provocato, alla moglie.
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Una scappatella occasionale pazienza, ecco il succo del ragionamento, micro-irregolarità coniugali … cose che si possono capire forse, cercare di perdonare. Trattare la propria giovane sposa però, nonché futura madre, a colpi di bigliettini di carta; mai una frase dal vivo, di partecipazione, tenerle il broncio per settimane di fila: questo no, è un linguaggio fra sposi che non può essere tollerato.