Letteratura  -  Redazione P&D  -  17/07/2022

La makro-kolokuthàkia-makìa - Massimo Paradiso

Il giorno seguente la sala tornò a riempirsi come di consueto e il buon Sancho gongolava dentro di sé. Dimenticata la figura barbina fatta nella precedente udienza, si compiaceva del gran concorso di folla come di un tributo recato al suo acume e alla sua sagacia. Speriamo bene, si augurò, e invitò a farsi avanti i querelanti del giorno. 

Furono lesti ad avvicinarsi due uomini ormai avanti negli anni: contadini entrambi, i loro abiti palesavano di aver conosciuto tempi migliori. «Chiedo giustizia, Eccellenza – esordì il più anziano. – E chiedo giustizia per una questione che potrebbe apparire di poca importanza, ma che invece è importante. È una questione di principio. Anzi era una questione di principio ed è diventata un punto d’onore. Al punto che se non ci fermavano le guardie, portandoci qui davanti all’Eccellenza vostra, a quest’ora stavamo risolvendo la questione a modo nostro. Con le navajas!».

A questo punto, il Governatore chiamò il capitano delle guardie, che stazionava lì da presso, e da lui seppe che tra i due erano volate parole grosse e minacce, ma che, quando era lui intervenuto, il duello non era ancora iniziato e le navajas – che certo entrambi portavano, come tutti del resto – erano ancora nei rispettivi foderi. Seppe anche il nome dei mancati duellanti, Josè Ferreira e Eusebio Aragona, e che essi erano pure “compari”, avendo effettuato in anni giovanili e poi rinnovato periodicamente un solenne e rituale comparatico il 24 di giugno, festa di S. Giovanni. Ma erano poi divenuti anche compari d’anello, per essere stato ciascuno di loro testimone alle nozze dell’altro. “E mano male che erano compari!”, pensò il nostro giudice. “Comunque sia, una rogna in meno da giudicare, visto che il duello non era iniziato”. 

«Poco è il giudizio di cui date prova dichiarando all’autorità la vostra intenzione di fare un duello – disse –. Non sapete che è vietato e che rischiate la galera?». Lo stupore più totale si dipinse sul volto dei due contendenti. «Ma, Eccellenza! Era ormai una questione d’onore, non potevamo...» provò a intervenire l’altro uomo. «Onore, principio o puntiglio che sia, il duello è vietato. Se poi volete proprio finire in carcere, continuate su questo tono» s’irritò il giudice. Contadino anche lui, certo, ma come si fa a ignorare certe cose? Certo, il duello si fa, e a volte si deve proprio fare, ma non si può andare a spiattellare tutto all’autorità. Significherebbe farsi beffe del Re, del vassallo locale e dei suoi funzionari. 

«Eccellenza – riprese Josè Ferreira – vi dirò in breve com’è andata la faccenda. Dovete sapere che con quest’uomo viviamo in due case confinanti, divise da un muro che corre tra le case e si prolunga poi nei terreni antistanti. Ora essendo i terreni limitrofi, succede che i rami degli alberi sporgono oltre il muro di confine e i frutti vengono a pendere sopra il fondo del vicino. È successo tante volte, ma siamo sempre andati d’amore e d’accordo. Secondo gli usi consolidati nei regolamenti municipali, questi frutti spettano al proprietario del fondo sul quale pendono, così come competono ai passanti i frutti che sporgono sulla pubblica via». «E come mai siete così generosi coi passanti? – s’incuriosì il giudice, che certo non avrebbe permesso a nessun passante di cogliere i frutti del suo orto –. Posso capirlo con i vicini, ma con i passanti...». «Vedete, Eccellenza, c’è una ragione pratica. Anzitutto chi non vuole, può sempre tagliare i rami, sia sul fondo vicino, sia sulla strada. Ma comunque conviene lasciarli. Con poco sacrificio si dà un contentino agli altri e si evita che i passanti, per invidia o avidità, siano tentati di far man bassa su tutti i frutti. Per quanto riguarda i confinanti, se non ci fosse quest’uso i vicini taglierebbero i rami e questo potrebbe danneggiare le piante. Ma, come ho detto, è sempre possibile tagliare i rami delle proprie piante». «Capisco, proseguite». 

Nel pubblico frattanto s’era levato un mormorio: la consuetudine circa i frutti, a quanto pareva, non era poi così pacifica e comunque alcuni sostenevano che ben si sarebbe potuto decidere diversamente. Ma il punto, come vedremo, verrà approfondito nel prosieguo. L’uomo riprese l’esposizione dicendo: «E così abbiamo fatto noi per tanti anni. Anche perché, in questo modo, io posso raccogliere un po’ dei suoi fichi e lui – disse accennando all’altro uomo – può servirsi delle mie pere». «Bene. E allora?». «Allora è successo che nel muro divisorio dei terreni, un muro a secco, si è creata un’apertura, si è formato un varco. Ed è successo che una mia zucchina, crescendo, si è infilata nell’apertura e si è sviluppata in parte sul terreno vicino. Io non mi sono accorto di nulla perché dalla mia parte l’apertura nel muro era nascosta da alcune frasche, ma dalla sua si vedeva, eccome! E che cosa ha fatto questo mascalzone? Da principio niente. Avrebbe potuto avvertirmi e invece per due mesi non ha fatto niente... Poi, ha tagliato la zucchina...! – e qui il querelante fece una pausa, come a considerare l’enormità del delitto – E si è mangiata la parte che si era spinta sul suo terreno!». 

«E voi venite qui a lamentarvi per una zucchina?» esplose il giudice, che stava per perdere non solo la pazienza, ma anche il lume della ragione. «No, Eccellenza, non mi sarei permesso. Ma anzitutto sono le guardie che ci hanno portato qui. E poi non si tratta di una zucchina come le altre». «Stai a vedere che ora ci sono zucchine comuni e zucchine di riguardo, zucchine da mangiare e zucchine da conservare intere, come fossero un trofeo». «È così, Eccellenza. Questa città di Baratteria è famosa per la produzione di zucchine, in particolare nella varietà allungata: quella che qui chiamiamo “cocozza longa” e che può raggiungere i due metri di lunghezza. Io avrei potuto non solo vincere il premio in denaro, ma anche conquistare un primato: era una zucchina di quasi due metri e mezzo!». E nel dir così, la voce gli si incrinò, si commosse e si ricompose a stento. 

«Adesso comincio a capire – mormorò il Governatore –. E voi, che cosa avete da dire?». «Ho da dire che io mi sono tenuto alla tradizione, prendendo la parte che sporgeva sul mio terreno. Poi, non potevo sapere di questa straordinaria grandezza della cocozza, che dalla mia parte sporgeva solo per mezzo metro circa. E comunque. Recuperare la cocozza intera significava demolire il muro: non si poteva semplicemente tirarla, perché la zucchina si era gonfiata attorno alla strozzatura del muro». «Dieci muri a secco avrei potuto farci col primo premio – replicò l’altro –. E poi di quale tradizione parli? La nostra vale soltanto per la frutta, mai s’è sentito che vale anche per le verdure e gli ortaggi. Tanto per dirne una, è certo che non vale per gli ulivi. E poi. Il muro a secco è basso: ti bastava sporgerti un po’ per accorgerti che la “tua” zucchina era solo una parte di un capolavoro della natura: un capolavoro, che è stato un delitto distruggere. E comunque: chi vuoi che creda che tu non ti sei affacciato e non ti sei accorto di questo portento?». 

Il pubblico si era diviso tra i partigiani dell’uno e dell’altro e si accesero discussioni sull’estensione della famosa consuetudine, e in particolare circa i prodotti cui essa andava riferita. Il giudice non sapeva proprio che pesci pigliare. Decise perciò di rinviare gli istanti all’indomani. Contava, nel frattempo, di informarsi: l’uso valeva solo per la frutta o poteva/doveva valere anche per altri prodotti agricoli, come le zucchine? E quant’era questo famoso premio per la “cocozza più longa di tutte”? Ogni indagine sulla consuetudine fu però inutile: mai un caso del genere si era presentato, e finì col raccogliere i pareri più disparati. Riuscì invece a sapere che il premio era costituito dalla somma delle “poste” pagate dai partecipanti alla gara: insomma, più che un concorso a premi, era una gara a... chi ce l’aveva più lunga! 

L’indomani, nella sala d’udienze v’era gran concorso di curiosi: le voci s’erano moltiplicate, da un topolino era nata una montagna e, come succede, circolavano le notizie più strampalate. Tra le tante: due compari fanno a gara a chi ce l’ha più lungo; Josè Ferreira e Eusebio Aragona si sfidano a duello davanti al Governatore; Eusebio Aragona è geloso perché il cetriolo di Josè Ferreira è più lungo; Josè è offeso a morte perché il suo compare Eusebio glie l'ha tagliato, e dopo è pure morto per il dispiacere.

Il Governatore rimase incerto fino all’ultimo momento. Questa volta non aveva ricevuto illuminazioni celesti e neppure ispirazioni terrene dalla sua “Dama Juana”, come ormai chiamava confidenzialmente tra sé la sua fida damigiana [il traduttore rileva qui una fortunata evenienza linguistica, coincidendo nelle due lingue suono e grafia tra le parole “dami-giana” e “dama-juana”: dal che, naturalmente, la Dama Juana di cui al testo]. Risolse perciò di appigliarsi a un vecchia massima che soleva ripetere suo nonno: le umane vicende presentano sempre un lato cattivo, un lato buono e un lato comico. E poiché il suo signore, don Chisciotte, gli aveva suggerito che “quando la giustizia stesse in dubbio, abbandonasse il rigore e si appigliasse alla misericordia”, decise di attenersi agli ultimi due “lati”: quello buono e quello comico. Senza per questo rinunciare a una qualche forma di punizione per due uomini fatti e finiti che stavano per mettere a repentaglio la vita del corpo, la salute dell’anima e l’avvenire delle famiglie per un puntiglio stupido come una... zucchina.

Sentenziò dunque: «Ritenetevi fortunati se non vi faccio fustigare nonostante la vostra intenzione di sbudellarvi con le navajas per un motivo così futile. E tanto più che siete compari, e compari d’anello!». «Ma Eccellenza, è una questione d’onore!» esclamarono all’unisono. «Non è questo l’onore che si fa valere a colpi di navaja – tagliò corto il giudice –. Contentatevi di non pagare dazio e chiudiamola qui. Complicata è invece la questione della zucchina. Lasciamo stare l’uso locale sui frutti, sul quale ho sentito pareri diversi. Certo è però che si tratta di una prassi esistente; prassi, che non può che essere rafforzata dal solenne giuramento che si fa durante il rito di comparatico, nel quale vengono pronunciate, tra le altre, le fatidiche parole: Se abbiamo pane e osso, lo spartiamo dentro un fosso!». 

Era evidente come il buon Sancho non avesse preso alla leggera il vincolo tra i due – chi sa di latino parlerebbe di una non spregevole forma di spiritualis cognatio –, al punto da ritenere rilevante in sede di giudizio il “patto” stretto in quella occasione. Quindi aggiunse: «E poiché i patti, e tanto più quelli giurati, sono patti e vanno rispettati, Eusebio Aragona s’è attenuto al patto e, almeno, non ha derubato Josè Ferreira. Però c’è un però. Il “pane e osso” va spartito insieme, di comune accordo: male ha fatto perciò Eusebio a far tutto da solo. Qui però finiscono le certezze e iniziano i dubbi a proposito della famosa zucchina». 

Nel dir così, Sancho si stampò sul viso un sorriso sornione che mantenne per tutto il tempo della sua sentenza: era la punizione che aveva escogitato. Sicché declamò solennemente: «E dunque. Era veramente la zucchina di Josè più lunga di quella degli altri? Ed Eusebio se n’era accorto? Non aveva magari ceduto alla tentazione di darvi una sbirciatina? Ma se anche avesse ceduto, era poi così esperto della lunghezza delle zucchine altrui tanto da poterne valutare l’estensione? E se anche così fosse, gli era lecito procedere senz’altro ad accorciare quella del suo compare? E infine. L’ha tagliata perché gli faceva gola o magari per invidia, perché più lunga della sua?». 

Le risate in sala non si contavano più. «Ma la stessa domanda potremmo porci a riguardo di Josè. Come faceva a essere così sicuro che la sua fosse più lunga di quelle altrui? Era andato forse in giro a chiedere o a verificare? Certo, un qualche grado di sicurezza doveva pur nutrirlo, visto che contava di vincere una gran somma di denaro, una volta riuniti i due famosi tronconi. Peraltro, considerato che le rispettive mogli non li hanno ritenuti degni di particolare attenzione – visto che li hanno messi in pentola senza tanti complimenti – non è detto che questa sicurezza fosse poi così fondata...». Il pubblico rideva, i due uomini stavano a testa bassa e il buon Sancho pensò di averli derisi abbastanza. «Pertanto – concluse – condanno Eusebio Aragona a pagare a Josè Ferreira il valore di 10 once di zucchine; condanno Josè Ferreira a riparare la breccia nel muro che separa la sua proprietà da quella di Eusebio Aragona. Condanno infine entrambi i contendenti a pagarsi reciprocamente una cena, da consumare insieme per festeggiare la pace ritrovata». E anche per oggi basta così, concluse.

Così ebbe termine quell’evento memorabile, che negli annali di Baratteria venne poi ricordato come la “tenzone della cocozza longa”, per i più acculturati: la makro-kolokuthàkia-makìa.

Brano tratto da

“Chiedo giustizia, Eccellenza..." Resoconto esattissimo delle udienze di giustizia tenute da S.E. don Sancho Panza Governatore dell’isola di Baratteria




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