IL BURN OUT RICONOSCIUTO COME CAUSA DI SERVIZIO DI INFERMITÀ A UN POLIZIOTTO. E’ LA PRIMA VOLTA IN ITALIA
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Quasi 25 anni trascorsi dando al caccia ai criminali, poi gli screzi con i superiori e il ‘confinamento’. I giudici del Tar: “Effetti deleteri su una persona che interpretava la sua professione non come un semplice lavoro”
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Più di 25 anni trascorsi in strada indagando su traffico di droga, omicidi, e criminalità organizzata in una delle province del nord Italia, quella di Imperia, a maggior tasso di presenza mafiosa. Poi lo scontro con i superiori che lo avevano pressato per ottenere i risultati, il confinamento in un ruolo da passacarte e l’insorgere dello stress. Un assistente capo della polizia ha ottenuto dopo una lunga battaglia il riconoscimento “della causa di servizio per l’infermità costituita dalla sindrome di burn out”. «E’ il primo caso in Italia» spiega il suo legale, l’avvocato G. C. di Sanremo che ha ottenuto davanti al Tar Liguria, il Tribunale amministrativo regionale, una non scontata vittoria.
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«Il mio assistito - spiega l’avvocato - è stato un poliziotto con incarichi di coordinatore nella squadra di polizia giudiziaria e per tutta la sua carriera è stato impegnato su vari fronti criminali. Servizi spesso in strada, anche in giro per l’Italia, straordinari su straordinari, a volte con turni di 24 ore senza soste. Ma era sempre sottoposto ad una fortissima pressione dalle gerarchie. Le ha sempre sopportate perché interpretava il suo lavoro come una missione ma quando le incomprensioni con i vertici lo hanno strappato ai compiti investigativi per finire in un ufficio è come si dice “scoppiato”, il burn out è una sindrome che anche in Italia comincia ad essere riconosciuta in ambito lavorativo e questa sentenza lo conferma».
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La sindrome di burn out era stata riconosciuta all’assistente capo da un medico della Asl 1 imperiese nel 2019, e confermata dalla Commissione medica ospedaliera militare di La Spezia. Il poliziotto era stato dispensato dal servizio. Ma nel 2021 il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio del Viminale aveva espresso parere contrario alla “domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia”.
Ma, scrivono i giudici del Tar che hanno accolto il ricorso, il Comitato di verifica “pur avendo esso riconosciuto la sussistenza della sindrome, non ha debitamente tenuto in considerazione i caratteri propri di tale patologia e, quindi, non ha correttamente valutato la sussistenza del nesso eziologico tra l’attività lavorativa svolta dal ricorrente e la malattia”.