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(da ‘’Storia di Ina’’, Aliberti editore, 2020, su Amazon)
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“Odiavo il brodo, il grasso della carne, certe rape bollite; la frittata con il lardo, le barbabietole”. Il resto? Sì alla bicicletta, malgrado tutto, anche se era difficile là, sulla ghiaia; sì alle cicale, all’anta variopinta dell’armadietto in cui teneva le sue cose; no alle trecce, a certi suoni notturni della campagna.
“Ero come spezzata in due. Contenta di stare dai Pasquino, sempre all’aria, mi volevano bene: ‘Inetta dolcetta, Inella tutta bella’ ”. Aveva già perso l’occhio in quegli anni; soffriva per la mancanza di sua madre, anche di suo padre; le venivano le lacrime, correva a nascondersi.
“Quando arrivasse la mamma non sapevo. Le sette di sera la sua ora; poteva capitare in qualsiasi momento, di rado chiamava per avvertire”. Il giorno stabilito, borsa pronta, la piccola Ina alla finestra sulla strada; a guardare se si affacciava dal fondo la macchina. Lì fino a che non calava la luce, “Mamma quando vieni?” ripeteva ogni venti secondi.
“Basta adesso, sarà per domattina”, sentiva dalla cucina la voce di nonna Pasquino.
“E il lunedì mattina, dopo che la mamma mi aveva riportata alla Frazione, quando la Ypsilon 10 accendeva il motore per il ritorno, mi sentivo morire”.