Letteratura  -  Redazione P&D  -  08/02/2024

Il fondo Broggi

Il giorno in cui il custode era di servizio, io non potevo. Erano andati M. e Ina. Inizio luglio, mattinata, pressoché due anni da “quel” famoso sabato; c’era il sole, poche nuvole, mi avrebbero raccontato poi.

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L’appuntamento era all’ingresso, qui era stato dato loro un duplicato delle chiavi; al ritorno andavano lasciate in un nascondiglio, lì vicino: l’addetto le avrebbe ritirate il giorno dopo.

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Sportivo il professore, in grigio chiaro; Ina calzoncini jeans, largo cappello di paglia. Reggevano insieme un cestone, di vimini, a doppio coperchio, manico ricurvo; dentro un po’ di tutto, uova sode, panini con bresaola e radicchio, due grosse arance, un thermos col caffè. In un borsone due plaid.

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Nessun programma, dal custode sommarie istruzioni. Era come in altri parchi, diverso però allo stesso tempo; se n’erano subito accorti. Verde l’erba, una tonalità speciale, vicina allo smeraldo grezzo. Sul prato macchie di fiori bianchi, che nessuno dei due aveva mai visto; intorno cespugli ad altezza uomo, quasi tutti in boccio. Muretti a secco, sullo sfondo alberelli, più in là tronchi a chiome folte, che oscuravano il cielo.

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Forti i suoni degli uccelli, nascosti fra i rami, qualcuno prendeva il volo ogni tanto; rumori secchi, frulli improvvisi. Anche il verso delle tortore non era il solito. Profumi vari: glicine, stefanotis, acacia, lavanda, pandorea. Ogni trenta metri nuove zaffate: magnolie rosa, poi i primi gelsomini, caprifoglio, glicini anche.

 

 




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