Uno di noi, esattamente dieci anni or sono, pubblicava su Ristretti Orizzonti(1) un articolo nel quale metteva in evidenza la necessità, per la psichiatria attuale e per l’intera società, di ripensare alla evidentissima ma denegata relazione fra mass murders e disturbi mentali. A partire dal bellissimo film We need to talk about Kevin. Ci rendiamo perfettamente conto che, oramai da anni, è assolutamente impopolare, per i giornalisti e per la pubblica opinione, constatare (perché si tratta di constatare!) gli evidenti e profondissimi disturbi psichici non solo dei mass murders, ma di molti altri autori di reati efferati (omicidi e aggressioni in famiglia, ad esempio). Di più: se qualche coraggioso psichiatra si azzarda a indicare il pericolo insito in talune forme di malattia mentale, questo psichiatra viene subito additato dal nucleo duro e prevalente degli specialisti come antiscientifico, disinformato e politically uncorrect. Una buona parte degli psichiatri vorrebbe insomma far credere (e si è fatto credere alla pubblica opinione per anni) che non esistono forme pericolose di follia. Si vorrebbe inoltre far credere, come corollario indispensabile della prima tesi, che gli psichiatri non sono in grado di prevedere alcunché della evoluzione dei disturbi psichici dei loro pazienti e, quindi, non sono in grado di prevenire alcuna delle possibili evoluzioni rischiose e aggressive di tali disturbi. C’è addirittura chi continua a indicare come “antiscientifica” ogni valutazione prognostica psichiatrico-forense relativa alla cosiddetta capacità di intendere e di volere, così come alla pericolosità sociale dei mentally ill offenders. Da sempre molto citati, per corroborare la tesi della mancata scientificità di tali valutazioni, sono i datati articoli di Ennis e Litwack del 1974(2) e di Debuyst del 1984(3). Ennis e Litwack, un giurista e uno psicologo, sostenevano che valutare le condizioni psichiche e la pericolosità sociale degli autori di reato era come tirare una monetina in aria. Debuyst, psicologo e criminologo, sosteneva che la pericolosità sociale era la “malattia infantile della criminologia”. E’ curioso che a sostenere queste tesi fossero uomini di legge e psicologi, che mai si sono occupati responsabilmente della cura dei gravi disturbi mentali. Peccato che non pochi psichiatri, specie fra coloro che vorrebbero apparire politically correct, riprendano costantemente queste considerazioni, che non hanno alcun valore scientifico.
Valore scientifico ce l’hanno invece gli studi epidemiologici, molto seri, compiuti anni addietro su un vastissimo campione di internati in diversi Ospedali Psichiatrici Giudiziari italiani(4). Questi studi hanno chiaramente dimostrato che non pochi internati erano in cura presso i SSM al momento della commissione dei reati: il 32% del campione aveva avuto solo ricoveri volontari prima dell’ammissione in OPG; il 69% aveva avuto uno o più ricoveri obbligatori; il 61% era in trattamento presso un servizio psichiatrico pubblico al momento della commissione del reato. Anche altre leggende metropolitane vengono sfatate dallo studio Mo.Di.OPG., come quella relativa alla frequenza dei reati bagatellari come causa di ricovero in OPG/REMS, oppure come l’altra, relativa alle diagnosi, che spesso non sarebbero gravi: il 70,1% della popolazione internata aveva una diagnosi di schizofrenia o di disturbo delirante; il 42,4% era internato per omicidio; il 32,2% per altri gravi reati contro la persona. Ma analoga e incontestabile scientificità hanno anche i moltissimi studi, nazionali e internazionali, che documentano l’incredibile pletora, all’interno delle carceri ordinarie, di persone affette da gravi e gravissimi disturbi psichici (non dimentichiamo, fra l’altro, che le tossicodipendenze croniche sono ovunque classificate come gravi disturbi mentali). Una pletora che negli USA (ma la stessa situazione si registra in tutto il mondo) ha fatto scrivere già nel 2014 su The New York Times, a Nicholas Kristof, penna prestigiosa di quel foglio, una Sunday Review che aveva questo titolo: “Inside a Mental Hospital Called Jail”(5). Anche qui in Italia non si scherza. Nel 2022, nella carceri italiane, sono avvenuti ben 84 suicidi. Oggi, nel carcere di Ancona, si è suicidato l’ennesimo prigioniero, che era in attesa di una perizia psichiatrica.
In carcere non ci finirà Mauricio Garcia, il trentatreenne autore della penultima strage di massa in un centro commerciale texano. Non ci finirà perché è stato ucciso anche lui. Chi cerca i “motivi” di tale strage, sottolinea l’affiliazione di Garcia alla “Right Wing Death Squad”, a gang criminali o a cartelli della droga. Chi cerca i “motivi” sottolinea poi la totale inadeguatezza della legislazione americana sulle armi, ma quasi ignora che Garcia, nel 2008, era stato espulso dall’esercito americano, dopo appena tre mesi, per gravi problemi psicofisici. In carcere ci finirà invece di sicuro George Alvarez, che nelle stesse ore, sempre in Texas, ha investito con un SUV una ventina di migranti che aspettavano l’autobus, uccidendone otto. Alvarez aveva numerosi precedenti penali, per aggressioni (anche con armi mortali e anche contro persone anziane e disabili), per lesioni personali a un familiare e per diversi altri reati.
Alvarez finirà in carcere come c’è finito Anders Behring Breivik, l’uomo che, il 22 luglio 2011, a Oslo e Utoya in Norvegia, ha ucciso 77 persone e ne ha ferite molte altre. L’uomo che, in un manoscritto di 1500 pagine, dichiarò di “vedere sé stesso come un comandante in una guerra santa, un Salvatore della Cristianità dall’invasione dell’Islam, dal Marxismo culturale e dal femminismo […]”.
Chissà quali disturbi psicofisici aveva Mauricio Garcia quando fu espulso dall’esercito. Chissà chi valuterà le condizioni psichiche di Alvarez. I primi psichiatri che valutarono Breivik dissero che era gravemente malato e incapace di intendere e di volere. Gli psichiatri che fecero la seconda valutazione di Breivik, dopo le proteste della stampa e della pubblica opinione, dissero che era quasi sano di mente e in ogni caso imputabile perché capace di intendere e di volere. L’imperizia (più o meno dovuta al desiderio di compiacere) di taluni psichiatri, non deve essere confusa con il carattere scientifico di valutazioni diagnostiche e prognostiche davvero esperte.
Il giorno successivo alla recente uccisione della psichiatra Barbara Capovani a Pisa, abbiamo sentito un presunto esperto di malattie mentali che, in una trasmissione radiofonica mattutina di una emittente nazionale, nel più scientifico dei modi invitava a distinguere nettamente fra i “matti” e gli “st…..”. Ovviamente intendendo che a quest’ultima categoria sarebbe appartenuto l’uomo che i media avevano indicato come il probabile autore dell’omicidio.
Sappiamo bene che Breivik si considerava e si considera del tutto capace di intendere e di volere (è stata anche accolta la sua richiesta di cambiare nome). Anche Moosbrugger, l’omicida seriale di prostitute di cui parla Robert Musil con estrema intelligenza, rivendicava la sua completa salute mentale. Certo è che, se Moosbrugger e Breivik possono tranquillamente essere giudicati “sani di mente”, il “diritto alla pena” non lo si potrà e non lo si dovrà negare a nessuno. Nella civile America, ai vari Mauricio Garcia non si potrà e non si dovrà negare, poiché capaci di intendere e di volere, il diritto a munirsi di una potente arma automatica. Dai numerosi Garcia che girano per le strade, infatti, ci si dovrà pur difendere, visto e considerato che negli US, in questi primi quattro mesi dell’anno 2023, si sono già registrati più di 13.900 omicidi con arma da fuoco e più di 200 mass shootings (6).
1. Iannucci M., Fra Kabobo e Brevik, We Need to Talk About Kevin, su Ristretti Orizzonti del 18 maggio 2013.
http://www.ristretti.it/commenti/2013/maggio/pdf5/articolo_iannucci.pdf
2. Ennis B J and Litwack T R, 1974, ‘Psychiatry and the presumption of expertise: Flipping coins in the courtroom’ vol 62 California Law Review 693–752
3. Debuyst C., La notion de dangerosité, maladie infantile de la criminologie, in Criminologie, Volume 17, numéro 2, 1984, p. 7-24.
4. Fioritti A, Melega V et al. Violenza e malattia mentale: uno studio sulla popolazione di tre Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Il reo e il folle 1999; 9-10: 137-48
5. Kristof N., Inside a Mental Hospital Called Jail , The New York Times, 2014 feb 09.
http://www.nytimes.com/2014/02/09/opinion/sunday/inside-a-mental-hospital-called-jail.html?_r=0
6. BBC News, 9 maggio 2023. Fonte: Gun Violence Archive.
https://www.bbc.com/news/world-us-canada-41488081