1 A proposito di questo istituto conviene, prima di tutto, riportarne la definizione contenuta nella Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità:
Accomodamento [o soluzione n.d.A.] ragionevole indica le modifiche e gli adattamenti necessari e appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in un caso particolare, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali. (art. 2 Convenzione New York, 2006).
2 Già la scelta linguistica di tradurre reasonable accommodation con accomodamento ragionevole non è priva di conseguenze. Oltretutto, è fuorviante e sostanzialmente scorretta: tradurre accommodation con accomodamento rimanda a un’idea di compromesso del tutto assente nell’originale.
3 Più che accomodamento si sarebbe dovuto tradurre – e chi scrive ha tentato di farlo nei propri lavori precedenti – come “sistemazione” allo stesso modo in cui accommodation per gli studenti universitari dei paesi anglofoni altro non è che la sistemazione di alloggio.
Altra alternativa praticabile sarebbe stata quella di “soluzione”. Perché l’accommodation di cui parla la Convenzione delle Nazioni unite del 2006 altro non è se non una soluzione concreta a un singolo problema puntuale di una persona con disabilità, la quale, in mancanza di quella soluzione, è impedita nell’esercizio di un diritto o una libertà fondamentale. Ecco, allora, che tutto quadra senza instillare l’idea che sia necessario un accomodamento e cioè un accontentarsi, trovare un compromesso.
4 Nell’uso dei giudici italiani, poi, l’accomodamento ragionevole è anche erroneamente diventato una categoria logica dell’argomentare giuridico: “la Corte [costituzionale] ha [...] chiarito che il sistema normativo (a seguito dell’introduzione della l. n. 67/2006) è caratterizzato dalla concreta valutazione di tutti gli interessi, sia di quelli dei portatori di handicap, che di soggetti terzi, e che il bilanciamento tra tali contrapposti interessi, tutti di pari rango, deve essere realizzato in sede contenziosa dall’autorità giurisdizionale mediante un “ragionevole accomodamento” che non imponga un onere sproporzionato ed eccessivo” (così, in motivazione Trib. Reggio Emilia, ord. 7 ottobre 2011; ciò dimostra come i giudici ricolleghino al menzionato istituto un significato che, nelle intenzioni dei redattori della Convenzione, non ha).
L’istituto, introdotto in via generale dalla Convenzione ONU del 2006 (ma già presente nell’ambito della discriminazione sul lavoro grazie alla Direttiva 78/2000 UE), non è funzionale al bilanciamento di interessi contrapposti e quindi la ragionevolezza non è quella di cui parla La Corte costituzionale quando si riferisce a questo parametro.
È uno strumento di risoluzione materiale di un problema pratico, niente di più e niente di meno.
Esempio:
Mettere una rampa per superare un singolo gradino è una sistemazione ragionevole che consente l’accesso. Per chiarire: la progettazione universale è l’approccio sistemico, la sistemazione ragionevole interviene nelle limitate ipotesi in cui l’approccio sistemico non si sia rivelato sufficiente in concreto.
Infatti, secondo le definizioni indicate dall’articolo 2 della UNCRPD: “progettazione universale” indica la progettazione di prodotti, ambienti, programmi e servizi utilizzabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza il bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate. La “Progettazione universale” non esclude dispositivi di ausilio per particolari gruppi di persone con disabilità ove siano necessari.
Un’ulteriore riflessione è necessaria rispetto al concetto di ragionevolezza: è ragionevole ciò che non comporti un onere sproporzionato o eccessivo. Bene, ma rispetto a cosa? Certamente, non siamo in presenza di una spinta alla soluzione dal minor costo monetario. Piuttosto, bisogna guardare al diritto da esercitare o alla libertà da preservare in concreto. Quindi sproporzionato o eccessivo è l’onere da sopportare rispetto al diritto leso nel caso concreto.
Purtroppo, il richiamo alla ragionevolezza, per come è fatto nel nostro contesto applicativo concreto, si rivela spesso un’arma a doppio taglio che finisce per depotenziare i diritti delle persone con disabilità, le quali sono invitate, in nome dell’accomodamento “ragionevole”, a non pretendere troppo, pena l’essere ritenuti irragionevoli.
Ancora, paternalismo veicolato attraverso norme giuridiche.
5 Infine, le pubbliche amministrazioni fraintendendo il concetto di accomodamento ragionevole, ritengono di dover fare solo il minimo indispensabile per rendere esercitabili i diritti delle persone con disabilità e raggiungere l’inclusione. Non si è affatto compreso che la sistemazione è ragionevole non è l’obiettivo ultimo ma ha una condizione di sostanziale ripiego che è possibile adottare solo dopo e nei casi in cui soluzioni più strutturali non abbiano ottenuto i risultati desiderati nel caso concreto
6 Le parole, se tradotte male, generano mostri . Perciò, per favore, quando volete discorrere di questo istituto (recentemente ripreso dalla legge delega sulla disabilità - legge n. 227/2021 - e dai decreti emanati sulla base di questa) non chiamiamolo accomodamento: meglio soluzione oppure aggiustamento che rimanda anche all'originario concetto di resonable adjustment.