In questo periodo della mia vita non ho un lavoro e mi occupo di mia madre a tempo pieno.
Ero già vincolata da un paio d'anni in seguito a un suo infarto, ma poi è arrivato anche un ictus e non c'è più stato spazio per mettere in discussione il futuro.
Arrivata a cinquant'anni, quando ormai pensavo che sarebbe giunto il momento della serenità, quello di posare l'armatura e raccogliere i frutti di anni di battaglie, è arrivato l'ictus a scombinare le carte. Un'altra volta.
Non sono stata una figlia facile e abbiamo trascorso insieme una vita trafficata. Crescendo ho cercato di farmi perdonare e rimediare ai miei errori di gioventù e ci siamo aiutate tanto sotto tutti i punti di vista.
Non ho mai ipotizzato di mettere mamma in una struttura, quindi non si tratta proprio di una scelta, quanto piuttosto dell'evoluzione naturale delle cose.
Sarà perché dopo circa ventisette anni di esperienza nel sociale posso dire “io so” con la presunzione di credere di sapere cosa sia meglio per lei.
Ci sono cose che si fanno e cose che non si fanno. Questa è la nostra cultura e a questa noi apparteniamo. Si fanno tante scelte nella vita che non ci piacerà fare, ma le facciamo perché vanno fatte.
Non si può giudicare il come senza capire il perché, eppure nonostante questo ho perso gradualmente molte amicizie che si sono allontanate perché non condividono questa mia scelta e senza dubbio alcuno sostengono che, per quanto ammirevole, la mia sia una scelta suicida.
Come dicevo spesso a mio figlio adolescente le prospettive nella vita cambiano: quello che ti sembra reale e importante adesso, cambia a vent'anni, cambia di nuovo a trenta e così via, ma lo dicevo senza capire io stessa esattamente la portata di questa affermazione.
Un'amica una sera mi disse “ Non dovresti aspettare di finire di pagare il mutuo per cominciare a vivere, perché non sai se a cinquant'anni non succederà qualcosa per cui dovrai rimandare nuovamente” e io le risposi “cosa deve succedere?! Non avrò più questo vincolo, questo pensiero, potrà solo essere tutto più facile!”
Invece attualmente il mio obiettivo è arrivare a fine giornata senza che mamma si sia sentita sola o le sia mancato qualcosa.
Mi rendo conto di aver messo tutta la mia vita in stand by in attesa dell'inevitabile.
So perfettamente che il momento in cui sarò di nuovo libera coinciderà con il momento del dolore più grande e questo mi terrorizza ma non posso far altro che quello che sto facendo.
Sono esattamente nel posto in cui voglio essere e per questo sono grata.
Il sogno di mamma fin da quando sono nata non era vedermi viaggiare o realizzarmi chissà dove e con chi, al massimo avrebbe potuto concepire il matrimonio e forse neanche quello.
Il suo sogno era avermi accanto a tutte le ore sul divano a guardare insieme vecchi film, come se mai potessi desiderare uscire o avere la compagnia di altre persone, e così alla fine è stato.
Lascio che siano i bisogni di mamma a scandire il ritmo delle nostre giornate, quindi seguo i suoi orari e i suoi desideri.
Ci alziamo quando lei vuole alzarsi, fossero anche dieci volte per notte e altrettante di giorno, e torniamo a dormire quando lei vuole tornare a letto.
Non ama dormire da sola, perché ha paura quando si sveglia e non trova nessuno. Non ha più alcun senso dell'orientamento pur essendo totalmente lucida. Ma non ama neanche dormire con una seppur piccola luce accesa. Ahimè.
Inoltre, pur non riuscendo a far collimare sempre gli stessi ritmi sonno-veglia, se non approfitto per dormire nelle ore in cui dorme lei, potrei non dormire affatto, ed energie me ne servono sempre di più per occuparmi di lei. E' già successo che non riuscissi a dormire oltre ventiquattr'ore per aver saltato un passo di valzer ed è stata davvero dura.
Principalmente voglio esserci se avesse bisogno di girarsi, di andare in bagno, di bere, di soffiarsi il naso o grattarsi la schiena. E' rimasta completamente continente e non intendo metterle il pannolone per comodità dicendole “falla lì tanto dopo ti cambio”.
Tutti lussi che in una struttura dovrebbe gradualmente scordarsi, come anche quello di scegliere cosa e quando mangiare o bere.
Durante la giornata cerco di farla camminare un po' perché ha sempre male alle gambe, cerco di farla mangiare perché essendo abituata a togliersi il cibo dalla bocca per noi figlie non è mai stata una grande divoratrice e adesso è quasi totalmente inappetente.
Se riesco provo anche a tenerla sveglia perché altrimenti di notte non chiuderebbe occhio, nonostante la terapia.
A volte viene qualcuno a trovarla ma la maggior parte delle persone è letteralmente sparita da quando si è ammalata, perché la malattia, così come la morte, fa paura e so che si sente sola e vive per me e per i suoi nipoti.
Inoltre lei è stata una grande cuoca, un'ottima custode del focolare e sempre molto attiva e forte e combattiva nonostante le difficoltà. So per certo che sentirsi un peso, non poter più nutrire la propria tribù, non poter essere autonoma le pesa in modo indicibile.
Più volte mi ha detto che preferirebbe essere morta piuttosto che così. Cerco di farglielo pesare il meno possibile, infatti non le ho mai detto di aver perso il lavoro, perché sa che ci tenevo tantissimo e lo consideravo il punto ideale di approdo della mia carriera e non se lo perdonerebbe mai.
La mia presenza qui significa per lei che come madre e come nonna ha fatto un buon lavoro e tutto l'amore e i sacrifici che ha fatto per noi non sono stati vani.
Anche se penso che in realtà certi valori di senso del dovere e lealtà verso la famiglia siano più un seme che ho deposto io sotto questa pianta, considerando la nostra storia familiare.
Su un piano più materiale significa pura sopravvivenza, come fosse un neonato.
Cosa significa per me? Per me è l'uguale e contrario. Significa che quello che ho imparato nella vita, i valori che mi sono stati insegnati dalle persone che ho incontrato, hanno dato i loro frutti e non ho tradito i miei ideali.
E' già stato un errore doloroso mettere in una struttura mia sorella, un errore per cui non mi perdonerò mai anche se so che con il lavoro, il mutuo e i bambini piccoli era diventato impossibile gestirla.
In ogni caso è proprio da questo, e dal mio lavoro come oss, che ho giurato anni fa che che a costo di sputare sangue mamma l'avrei guardata io.
Per onorare questo giuramento, per la riconoscenza che le devo, ho dovuto rinunciare a vivere nell'alloggio che ho comprato in vent'anni di sacrifici di entrambe. Ho dovuto mettermi da parte come madre e tornare figlia lasciando che i ragazzi si autoregolassero per crescere nonostante sia andato tutto storto e malgrado tutto devo dire che, toccando ferro, sono dei bravi ragazzi.
Ho rinunciato a rifarmi una vita dopo la separazione da mio marito e ho rinunciato anche ad avere una vita sociale.
Ad esempio non abbiamo mai avuto abbastanza soldi per andare in vacanza tutti insieme ma è capitato che qualcuno, magari una collega, invitasse me per qualche giorno al mare ma...per correttezza ho sempre rifiutato. Come avrei potuto andare io al mare sapendo che loro sarebbero rimasti a casa?!
La mia famiglia è sempre stata troppo complessa e ingombrante perché ci fosse spazio anche per altre persone, nonostante la nostra porta sia sempre stata aperta per tutti. Più per volere mio che non loro, a pensarci bene.
Cosa mi pesa? Beh...vivo qui accampata e reclusa da mia madre con due cambi estivi e due invernali e magari anche recuperati dal guardaroba di mia sorella; come già scritto non vivo l'alloggio che mi sono comprata vendendo l'anima al diavolo e i ragazzi lo hanno trasformato in una sorta di magazzino. Non ho un mio spazio, né un mio tempo. Non ho privacy e anche fare una telefonata discreta è un problema. Non sono più di là ma non sono neanche di qua. Ho perso il lavoro che definivo “il posto dei miei sogni”.
Non sono più madre e neanche figlia in quanto sono diventata la madre della mia stessa madre, cioè sono mia nonna. E come mia nonna sono già vecchia senza mai essere stata giovane, o se lo sono stata è solo un lontano ricordo offuscato dalla stanchezza.
Anzi, a volte mi sento semplicemente una badante assunta dai miei figli per guardare la loro idealizzata nonna, ma con meno diritti di una badante vera. Niente riposi, niente stipendio, niente ferie, niente casa. E mi bullizzano anche. Li lascio fare perché mamma ride e si diverte quando mi si prende in giro su quanto faccia schifo la mia cucina rispetto alla sua. Hanno ragione. Io odio cucinare. Ero nata per filosofeggiare.
Attualmente non vedo futuro davanti a me perché è tutto legato al momento infausto in cui mamma se ne andrà. Come ho già detto sarà il momento di massimo dolore, quindi non posso neanche permettermi di desiderare che arrivi.
Quanti anni mi restano da poter trascorrere con lei? Quanti anni e quante forze avrò in quel momento e cosa potrò ancora fare?
Avrò ancora l'energia e la passione sufficienti per occuparmi di qualcuno o sarò completamente esausta?
E a quell'età dove potrò ancora collocarmi?
Succederà prima della fine della Naspi o dopo?
Economicamente, quindi, sarò di nuovo alla canna del gas?
La mia famiglia, che ruota inevitabilmente intorno a lei, esisterà ancora o si disperderà?
Credo che dovrebbe essere prevista una vera retribuzione per il care giver familiare, a prescindere da requisiti limitanti come la residenza o l'isee. Uno stipendio reale, dei contributi reali, dei diritti e dei riconoscimenti reali. Tipo la sostituzione un giorno a settimana intero.
Tipo che la gente non ti guardi come se fossi un fallito che si fa mantenere dalla pensione del genitore.
E' contro natura che un figlio che decide di curare un genitore non possa avere tempo neanche per farsi una doccia.
E' contro natura che debba vedere il proprio futuro solo dopo la dipartita della propria madre.
Comunque, se dovessi uscirne indenne...non mi dispiacerebbe aprire un centro di accoglienza per disabili, o per donne in difficoltà o per minori disadattati. Qualcosa di veramente incisivo e importante che lasci un segno tangibile del mio passaggio in questa società.
Anche se spesso mi immagino, invece, come la protagonista di un episodio di case da incubo: rapporto morboso con un congiunto che sparisce, la donna incapace di far fronte al dolore e al cambiamento si chiude gradualmente in sé stessa, diventa obesa, accumula immondizia e ricordi nonché una certa quantità di gatti che si riproducono in maniera incontrollata tra il ciarpame defecando ovunque.
Un giorno la trovano morta sotto un cumulo di libri non ancora letti e mezza mangiata dai gatti in avanzato stato di decomposizione. Comunque era una brava persona, salutava sempre. Una tragedia che si poteva evitare???? :-)