Elvira Reale, Caterina Arcidiacono, Antonella Bozzaotra, Gabriella Ferrari Bravo, Ester Ricciardelli (CTS del Centro studi e Ricerche ‘Protocollo Napoli’)
- Premessa
Come premessa, ripetiamo ciò che abbiamo anche indicato nelle nostre linee guida sulle consulenze tecniche in caso di violenza: il nostro approccio non è neutro, in quanto siamo allineate alla Convenzione di Istanbul che nel preambolo recita cosi: “Riconoscendo che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione; riconoscendo la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, e riconoscendo altresì che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”.
E ancora: “Con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;
l’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato”.
Una lettura sulla violenza contro le donne basata sul genere deve tenere conto del contesto di disparità di potere, del controllo esercitato in ambito familiare da un partner o ex partner maschile, come oggi affermano molteplici cassazioni (Cass. pen., n. 12066/23; Cass. pen. n. 14247/23; Cass. pen. 37978/23; Cass. pen. n 4913/25; Cass. pen. n. 6084/25; Cass. Civ. n. 4595/25).
Partiamo quindi, nel nostro iter sull’attuale riforma civile, prendendo le mosse da quanto affermato in questa sentenza della Cassazione (37978/23) in cui si ribadisce che un giudice deve avere uno sguardo focalizzato sull’asimmetria di potere che si genera in ambito familiare quando si parla di violenza: ” La sentenza (di appello, ndr) ancora si sofferma sulla confusione tra il reato di maltrattamenti e le ordinarie liti, quando appunto “non è presa in alcuna considerazione l'asimmetria, di potere e di genere, che esiste nel contesto di coppia o familiare oggetto di esame, ritenendola un dato neutro”.
2. I passi della riforma Cartabia a partire dalla Convenzione di Istanbul
La riforma Cartabia (D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149) nel capo III artt. 473 -bis. 40/46 del codice di procedura civile ha inteso dedicare un percorso procedurale specifico al tema della violenza domestica e di genere. In questo percorso che rispetta la Convenzione di Istanbul, oggi vanno inserite le consulenze tecniche che riguardano i casi di affido quando vi sono - anche solo nei ricorsi di parte - le allegazioni di violenza: “Art. 473 -bis .41 (Forma della domanda) - Al ricorso è allegata copia degli accertamenti svolti e dei verbali relativi all’assunzione di sommarie informazioni e di prove testimoniali, nonché dei provvedimenti relativi alle parti e al minore emessi dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità”.
Va fatta qui una precisazione rispetto al passato: prima della Cartabia appariva evidente che il giudice abdicava ai suoi poteri istruttori, delegando nei fatti al consulente la valutazione del migliore affido, limitandosi il più delle volte nei suoi provvedimenti a riportare quella valutazione tecnica di stampo clinico (senza alcun accertamento e valutazione dei fatti, in quanto questi erano di stretta pertinenza del giudice) assumendosi così anche la responsabilità impropria di validare costrutti ascientifici (vedi la questione della PAS e dell’alienazione parentale: https://aps-psycom.com/protocollo-napoli/).
La riforma Cartabia ha invece ridato centralità all’istruttoria - in capo al giudice civile - da condurre già nelle prime fasi del procedimento per arrivare anche a un provvedimento provvisorio nel solco della valutazione della violenza.
“Art. 473 -bis .44 (Attività istruttoria) . — Il giudice procede all’interrogatorio libero delle parti sui fatti allegati, avvalendosi se necessario di esperti o di altri ausiliari dotati di competenze specifiche in materia. Assume inoltre sommarie informazioni da persone informate dei fatti, può disporre d’ufficio la prova testimoniale formulandone i capitoli, e acquisisce atti e documenti presso gli uffici pubblici. Può anche acquisire rapporti d’intervento e relazioni di servizio redatti dalle forze dell’ordine, se non sono relativi ad attività d’indagine coperta da segreto”.
Ancora: “Quando nomina un consulente tecnico d’ufficio, scelto tra quelli dotati di competenza in materia di violenza domestica e di genere, ovvero dispone indagini a cura dei servizi sociali, il giudice indica nel provvedimento la presenza di allegazioni di abusi o violenze, gli accertamenti da compiere e gli accorgimenti necessari a tutelare la vittima e i minori, anche evitando la contemporanea presenza delle parti”
Emergono da questi due articoli due tipi di interventi consulenziali: il primo intervento che vede un consulente affiancare il giudice come ausiliario nell’ attività istruttoria direttamente espletata e un secondo intervento come attività delegata al consulente tecnico con i quesiti di rito e le procedure abituali di incarico peritale.
Prima di passare a descrivere quale dovrebbe essere il quesito compatibile con la Convenzione di Istanbul e la riforma Cartabia, diamo alcuni brevi cenni anche alla consulenza indicata nel primo comma dell’art.473 – bis.44 e cioè ‘la partecipazione di esperti nell’interrogatorio libero delle parti’. In questa fase l’esperto in cosa dovrebbe assistere il giudice? Secondo noi, fornendo un’appropriata griglia di lettura della storia di violenza, mettendo in rilevo gli indicatori internazionali utili sia a configurare come attendibile la storia di violenza ‘narrata’ dalla donna vittima, sia a valutare il ruolo di maltrattante nel racconto contrapposto da parte di colui che è indicato come violento. Abbiamo messo a punto - su questo aspetto del ruolo del consulente nell’istruttoria ‘primaria’ e nella valutazione della narrazione contrapposta della violenza - gli indicatori diacronici e sincronici (derivati dalla letteratura internazionale) che rendono visibile il contesto diseguale della relazione di coppia. Il consulente/ausiliario poi in questa fase potrà accompagnare anche il giudice nell’ascolto diretto del minore che prende vigore nella Cartabia anche per i minori sotto i 12 anni e potrà dare utili indicazioni sui meccanismi post traumatici che si possono evidenziare nell’ascolto di un testimone di violenza in famiglia o di un minore direttamente implicato nella violenza. “Art. 473 -bis .45 (Ascolto del minore) . — Il giudice procede personalmente e senza ritardo all’ascolto del minore secondo quanto previsto dagli articoli 473 -bis .4 e 473 -bis .5, evitando ogni contatto con la persona indicata come autore degli abusi o delle violenze”.
3. Le credenziali della CTU nell’ottica della Cartabia e nel quadro della Convenzione
Nel caso poi il giudice decida di nominare un consulente tecnico di ufficio ed affidare a lui la risposta ad alcuni quesiti, il suo compito, nell’ottica della Cartabia, sarà comunque delimitato, dovendosi le sue competenze immettere in un solco tracciato dalla Convenzione di Istanbul (Cass. n. 11631 del 30/04/2024) che è la fonte sovranazionale della riforma.
Nello specifico:
- si dovranno dare credenziali della propria formazione tecnico-metodologica compatibile con la Convenzione di Istanbul;
- non si dovranno dare letture del migliore affido perché questo è già statuito dall’art. 31 della Convenzione;
- si dovranno rispettare i paletti di ascoltare le parti in via separata compresi i minori, vittime di violenza assistita (legge 69/19). Nell’ascolto assume ruolo centrale la valutazione della violenza sia nella fase pre che post-separativa, in quanto (come da dato acquisito a livello internazionale) la violenza non finisce con la separazione, ma prende anche altre forme;
- sono esclusi accertamenti sui profili di personalità per ambedue i genitori non influenti sulla capacità genitoriale (art. 473-bis. 25 secondo comma); sono escluse indagini sulle competenze genitoriali che mettano a confronto e sullo stesso piano il genitore maltrattante con il genitore vittima; le competenze genitoriali positive in caso di violenza domestica non sono in alcun caso attribuibili al maltrattante. A titolo solo enunciativo si ribadisce che il criterio dell’accesso (per tale criterio intendendosi il comportamento di un genitore che faciliti il rapporto con l’altro quando il minorenne non intenda incontrarlo) non è ammissibile sotto qualsiasi formula; ugualmente non sono ammissibili altri fumosi criteri di buona/cattiva genitorialità privi di qualsiasi aderenza fattuale alla realtà e pertanto non valutabili al di là di un contesto strettamente clinico/interpretativo non adatto all’ambito forense;
- l’attività consulenziale sarà indirizzata a raccogliere la storia familiare e le storie personali; il minore sarà ascoltato sulle sue preferenze senza interpretazioni fuorvianti e sarà valutato il suo stato di benessere/malessere nella fase pre e post separativa della famiglia;
- saranno prospettati interventi compatibili con il libero consenso delle parti e nell’ottica del contesto di violenza rappresentato dal piano inclinato e non dal piano orizzontale che fotografa falsamente le uguali responsabilità tra il genitore indicato come maltrattante e il genitore vittima;
- non ci si potrà riparare dietro lo scudo delle garanzie che il presunto reo deve avere fino al 3° grado di giudizio, perché il procedimento civile non commina pene né stabilisce verità oltre ogni ragionevole dubbio, ma si occupa per prima cosa di non arrecare danno e pregiudizio al minore, ponendosi nell’ottica di una sua maggiore tutela, che la Convenzione di Istanbul estende alla coppia madre-figlio in caso di allegazioni di violenza;
- non ci si potrà appellare al principio della genitorialità condivisa (c.d. bigenitorialità) perché in caso di violenza essa è sospesa e perché essa - come la cassazione ha più volte affermato - ha un valore recessivo rispetto all’interesse principale del minore alla sicurezza e alla salute.
In questo nuovo quadro normativo consideriamo maggiormente rispondente all’applicazione della Convenzione la prospettazione di un quesito altamente specifico per la consulenza tecnica in caso di violenza, andando così anche a completare le nostre linee guida presentate nel 2019, che comunque anticipavano per molti versi la riforma (https://www.personaedanno.it/articolo/il-protocollo-napoli-nel-quadro-della-riforma-cartabia).
4. Il quesito: linee operative per una formulazione coerente con la Convenzione
Il CTU
- esaminati tutti gli atti di causa, con rifermento alle allegazioni di violenza sia portate dalla vittima e presenti nel ricorso, sia da soggetti terzi (referti sanitari, relazioni dei centri anti-violenza, consulenze, denunce, e atti ostensibili presenti nel fascicolo penale);
- descriva le condizioni di vita del minorenne e il contesto in cui è vissuto, ascoltando gli attori principali della vicenda separatamente e puntando anche lo sguardo al recepimento di informazioni dal contesto di vita allargato (insegnanti, parenti, ecc.):
- dalla nascita al momento della separazione, specificando quale dei genitori se ne è preso cura (contatti col pediatra e con gli insegnanti, aiuto nello studio, accompagnamento ad attività ludico-sportive, relazioni con coetanei, rapporto continuativo con eventuali babysitter, etc.);
- dal momento della separazione ad oggi, specificando: chi se ne prenda cura; il contesto abitativo, sociale e familiare dell’uno e dell’altro genitore; se il genitore non convivente si sia preoccupato di versare da subito quanto necessario per le esigenze di vita dei figli e il suo ammontare;
- descriva, in sintesi, le condizioni personali dei singoli ex-partner della coppia, anche con riferimento all’attività lavorativa svolta, alle capacità economiche, ad eventuali condizioni di dipendenza (alcool, stupefacenti, gioco, etc.);
- descriva la storia relazionale delle parti e la vicenda separativa, esplicitandone le ragioni addotte da ciascuna di queste con focus sulla violenza pre e post separativa;
- descriva sulla base dei dati raccolti la possibilità da parte del genitore indicato come maltrattante di recuperare la funzione genitoriale, considerando la madre, allo stato dei fatti, l’unico riferimento per la tutela del minore, la cui competenza, se del caso, necessita di rafforzamento. Descriva quindi le rispettive esigenze genitoriali ai fini della tutela dell’interesse del minore: e cioè eventuali campi e possibilità di recupero per l’uno e eventuali campi e possibilità di rafforzamento nell’altra;
- evidenzi la presenza di rischi di recidiva del comportamento maltrattante (Cedu, Sentenza del 7 aprile 2022 - Ricorso n. 10929/19 - Causa Landi c. Italia; Sentenza del 16 giugno 2022 - Ricorso n. 23735/19 - Causa De Giorgi c. Italia) desunti da valutazioni in base ai riferiti direttamente raccolti dalle vittime (madre e minori), da indicatori internazionali, o da valutazioni condotte da altri servizi socio-sanitari, compresi i centri anti-violenza;
- ascolti in modo puntuale il minore, senza procedere a ascolti congiunti con i genitori, descrivendo le eventuali ragioni addotte dal minorenne che non intende incontrare uno dei genitori, evitando interpretazioni forvianti sul suo rifiuto, legate a presunti condizionamenti esterni e a teorie che riportano il costrutto dell’alienazione e dell’ostatività materna;
- accerti lo stato psicologico del minorenne, descrivendo gli eventuali oggettivi segni di disagio che possano derivare da violenze da lui direttamente patite o da violenze - fisiche, psicologiche, economiche e sessuali, come definite dall’art. 3, lett. a) e b) della Convenzione di Istanbul – commesse da un genitore ai danni dell’altro cui il minorenne potrebbe avere assistito; utilizzi anche strumenti tecnici di approfondimento dello stato psico-fisico idonei alla raccolta di vissuti post-traumatici, compatibili con il quadro di violenza domestica in cui si iscrive la vicenda familiare.
Dopo aver raccolto tutte le informazioni che visualizzano le condizioni di vita della famiglia in separazione, unitamente ai riferiti e alle evidenze di violenza, e dopo aver tutto registrato o video registrato (per ragioni legate a trasparenza dell’azione del consulente e al giusto processo) nell’ambito di una decisione di affido che tenga insieme il minore e la madre secondo l’applicazione dell’art. 31 della conv. di Istanbul,
dica il consulente:
- se il minore possa subire un pregiudizio attuale dagli incontri con il padre, avendo cura di precisare se tali incontri possano avvenire e, in caso affermativo, con quali modalità e se sono consentiti dalla donna e dal minore; oppure se, almeno allo stato dei fatti, vada sospeso ogni incontro del padre con il minore, fino a rivalutazione della situazione, tenendo presente che i rapporti affettivi non sono coercibili e la volontà del minore non è forzabile (cass.civ. n. 11170/19 e n. 30826/18);
- se il minore possa giovarsi di un sostegno psicologico relativamente al proprio esclusivo benessere e al proprio stato emotivo, senza alcuna finalità di ripresa del rapporto con il padre, in caso di rifiuto e nel quadro della violenza domestica esperita anche se in epoca antecedente;
- se la madre in rapporto alle vicende che l’hanno coinvolta possa giovarsi di un sostegno alla genitorialità nei modi e tempi da lei liberamente scelti, privilegiando i rapporti con i centri anti-violenza (art. 22 Conv. Istanbul) o altri servizi pubblici;
- se il padre possa giovarsi di un percorso adeguato da mettere in atto con i servizi accreditati per gli uomini maltrattanti (art. 16 Conv. Istanbul), in un’ottica di prevenzione per le future condotte maltrattanti, e se a tale percorso il padre abbia consentito;
- se si individuano altre esigenze, o altri rischi da mettere in evidenza a tutela del minore e/o della madre.
Proceda poi il CT:
- descrivendo le specifiche e personali competenze in materia di violenza domestica e nei confronti dei minorenni, indicando i riferimenti metodologici assunti, coerenti con l’approccio alla valutazione del piano asimmetrico della violenza, nel rispetto della Convenzione di Istanbul, e dichiarando di non essere sostenitore/formatore del costrutto dell’alienazione genitoriale e del trattamento forzoso sui minori che da esso discende;
- assumendo la consapevolezza dei limiti del proprio apporto nel procedimento giudiziario, evitando quindi di sovrapporre interpretazioni cliniche - desunte da teorie e/o costrutti astratti (scientifici e a maggior ragione ascientifici, cass.4595/25) derivati dalla propria formazione - ai fatti come riferiti dai periziandi;
- in via procedurale,
- sono suggeriti i seguenti adempimenti, alcuni previsti per legge, altri desunti da raccomandazioni di organismi sovranazionali e altri ancora desunti dalla letteratura scientifica sul tema della violenza domestica e di genere:
- la redazione di una premessa contenente la sintesi degli atti di parte e dei provvedimenti;
- la registrazione dei colloqui con gli adulti e la video registrazione dei colloqui con i minori, organizzate in sede di operazioni peritali;
- l’espletamento delle operazioni peritali con modalità che rispettino eventuali misure cautelari in atto e che evitino il rischio di una cd. vittimizzazione secondaria (cfr. in particolare, artt. 18 e 56 della convenzione di Istanbul) tra cui, ad esempio, sedute congiunte (sia per le donne sia per il minore, identificabile come vittima secondo la legge 69/19) ;
- il rispetto del divieto di ogni attività di mediazione o conciliazione tra le parti che metta a rischio il prerequisito della sicurezza di donne e minori (art. 48 Convenzione di Istanbul);
- il rispetto delle misure cautelari in atto;
- l’evitamento della somministrazione di test proiettivi; o comunque psico-diagnostici, per qualsiasi finalità; gli unici test in caso di violenza sono quelli che misurano il trauma da violenza, o la potenza del trauma evitando di confondere gli esiti della violenza con la presenza di una qualche patologia;
- il non riferirsi in qualsiasi modo a costrutti in relazione con l’alienazione parentale, a teorie del condizionamento e manipolazione (giuridicamente inaccettabili), a teorie psicologiche veicolanti pregiudizi misogini (es. madre simbiotica e malevola), a teorie che veicolano il trattamento di riavvicinamento forzoso del minore al genitore rifiutato (ONU, Custody, violence against women and violence against children, 2023);
- il divieto di fare riferimento anche con le parti (sottili minacce) a valutazioni personali sul ricongiungimento del minore al padre e a pratiche di separazione del minore dalla madre con la prospettazione anche solo ipotetica di cambi di collocamento, di collocamento in struttura o presso terzi; (ONU, Custody, violence against women and violence against children, 2023);
- il dare conto della partecipazione o meno dei consulenti di parte alle operazioni peritali e dell’adesione o dell’eventuale dissenso di costoro rispetto alle conclusioni assunte da esso C.T.U.; in caso di dissenso non generico dei consulenti di parte, ne esponga le motivazioni e le sottoponga a dettagliato vaglio critico;
- il riferire ogni altro aspetto utile ai fini della decisione e in caso di rischi per la donna e il minore (attivati dalla consulenza) interrompere subito le operazioni e riferire al giudice.
In allegato il testo integrale dell'articolo con note.