Amministrazione di sostegno  -  Redazione P&D  -  29/05/2023

Circa la validità degli atti nel procedimento di AdS - Francesco Viglino

3. (Segue): Capacità del beneficiario e invalidità degli atti

I temi della limitazione della capacità del beneficiario di amministrazione di sostegno, e, correlativamente, dei poteri della persona che lo assiste, sono di assoluta centralità per lo studio dell’istituto di cui si discute. Anzitutto, perché tale questione, nella pratica, si traduce nel concreto, particolare regime di tutela che regolerà i rapporti giuridici del soggetto affiancato dall’amministratore; ed inoltre, poiché è, questo, uno dei punti che più differenziano l’amministrazione di sostegno dalle classiche misure di protezione – segnatamente, dall’interdizione. Invero, il principio generale che ispira l’intera riforma del 2004 è quello di voler tutelare le persone prive del tutto o in parte di autonomia “con la minore limitazione possibile della capacità di agire” (art. 1 l. 6/2004): il modo di operare dell’amministrazione di sostegno è del tutto opposto a quello dell’interdizione, in quanto con la prima misura il giudice tutelare elenca in modo espresso tutti quegli atti che il beneficiario non può compiere, o può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore, mentre l’interdizione vede come regola generale la perdita da parte dell’incapace della capacità di compiere qualsiasi atto89. È in effetti chiaro, sin dai lavori preparatori della riforma, che essa non vuole creare un nuovo soggetto incapace: lo spirito della legge sembra suggerire che non esista uno status di beneficiario di amministratore di sostegno (come invece si ha per gli status di interdetto ed inabilitato), in quanto da tale qualifica non discendono sempre le stesse conseguenze giuridiche.

3.1. Capacità residua del beneficiario dell’amministrazione

Cominciando ora l’esegesi delle norme, mi pare ragionevole iniziare dall’art. 409 c.c., la disposizione a mio parere più innovativa di quelle introdotte dalla riforma del 200490: il primo comma stabilisce che il beneficiario conserva la capacità d’agire per tutti gli atti che esulano dall’oggetto dell’amministrazione91. Questo significa che il soggetto, benché assistito da un amministratore, potrà compiere in autonomia tutti gli atti che il giudice tutelare non ha individuato nel decreto di nomina. Utilizzando una terminologia diffusa negli studi di diritto pubblico, si potrebbe affermare che trova qui applicazione il principio di proporzionalità: la perdita di capacità avviene, appunto, in misura proporzionata al grado di infermità del soggetto – aspetto, questo, totalmente assente nell’interdizione92; la proporzionalità emergeva anche nel vecchio sistema dal confronto tra interdizione inabilitazione, l’una rimessa ai casi più sfortunati, l'altra a quelli un po’ meno gravi. Ma è evidente che si trattava di un sistema comunque troppo rigido perché articolato su due soli livelli.

Il secondo comma aggiunge che il beneficiario potrà compiere, in ogni caso, gli atti necessari a soddisfare le proprie esigenze della propria vita quotidiana93: il legislatore ha così codificato una norma che molti commentatori avevano già individuato quale consuetudine, al fine di salvare dal rischio di annullamento i contratti conclusi dai minori94. Da notare che la legge, secondo una interpretazione letterale, consente di concludere validi negozi quand’anche l’amministrazione privi il beneficiario di tutta la capacità d’agire, ed anche nel caso in cui venga esteso, ex art. 411 c.c., il divieto dicompiere atti personalissimi. Secondo il parere di chi scrive, questa norma è assolutamente da condividere: escludere una persona, anche se incapace95, dalla cd. microcontrattualità, appare decisamente sproporzionato96, e ciò per varie ragioni: intanto, non si vede come qualche atto di modico valore potrebbe pregiudicare il suo patrimonio. Inoltre, l’individuo, se impossibilitato a compiere anche il più semplice negozio97, si troverebbe totalmente escluso dalla vita sociale. Parte della dottrina, facendo leva sull’aggettivo “propria” (riferito a vita quotidiana) sostiene che la sfera di atti per i quali la capacità è intatta possa superare la microcontrattualità, comprendendo anche negozi di valore non irrisorio: più nello specifico, il beneficiario dovrebbe poter continuare a svolgere la propria vita come prima dell’instaurazione della misura di protezione98. Non mi sembra, peraltro, una tesi condivisibile: proprio perché viene attivata l’amministrazione di sostegno, non ha senso sostenere che il beneficiario possa continuare a vivere come prima; anche perché ciò potrebbe comportare la conclusione di contratti di valore economico rilevante.

3.2. Gli atti di competenza dell’amministratore

L’altra disposizione che riguarda la capacità del beneficiario, ed in particolare la limitazione di essa, è l’art. 405 c.c., sul decreto di nomina: in tale atto, il giudice tutelare deve indicare gli atti che l’amministratore può compiere in nome e per conto del beneficiario, e quelli che quest’ultimo può effettuare solo con l’assistenza dell’amministratore99. Per questi soli atti la capacità d’agire del beneficiario risulta limitata: per la prima categoria, similmente all’interdetto, egli la perderà del tutto100; per la seconda, invece, vi è una perdita parziale della capacità, in quanto l’interessato potrà ancora compiere quel determinato atto, ma soltanto con l’assistenza dell’amministratore. Naturalmente, le limitazioni possono essere combinate fra loro, andando così a costituire un regime in cui l’amministratore sarà, a seconda del negozio, rappresentante oassistente101. L’insieme delle previsioni del giudice andrà a costituire un regime di amministrazione personalizzato, pensato per quella determinata persona e le sue necessità: si crea la misura “cucita su misura”102, a partire dai bisogni concreti dell’interessato. È facile evincere da quanto esposto come la decisione del giudice sugli atti appartenenti alle due categorie previste dall’art. 405 c.c. sia fondamentale: mentre nelle due tradizionali misure di protezione al magistrato era richiesta solo l’istruttoria sullo stato dell’incapace, la novella legislativa gli affida un compito ben più delicato, poiché egli sarà chiamato ad individuare gli atti che è bene non vengano compiuti in autonomia dal beneficiario. Indagine, questa, che non potrà che basarsi sullo stato di salute dell’interessato, sui suoi bisogni e sulle caratteristiche del suo patrimonio.

La dottrina è unanime nell’affermare che l’elencazione degli atti in questione debba essere quanto più accurata: d’altronde, la legge non utilizza le classiche categorie degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, che sono decisamente ampie, e comprendono negozi di genere molto vario. Il giudice, quindi, deve procedere individuando categorie ristrette di negozi, se non, ove possibile, addirittura i singoli atti103. Così facendo, vengono tutelati anche i terzi, che potranno conoscere con un altro grado di certezza cosa il beneficiario può compiere in autonomia, e cosa no; utilizzando formule generali, al contrario, si lascia il contraente del beneficiario in una situazione di incertezza104.


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