Letteratura  -  Redazione P&D  -  25/12/2021

Alcuni anni nella vita di Paolo Cendon

Fu mia madre - dopo che avevo preso la maturità classica, al Liceo ‘’Marco Polo’’ di Venezia - a combinare tutto.

Decise lei che   il tragitto più rapido, affinché potessi rendermi indipendente, sul piano economico, era che all’università m’iscrivessi a legge; e si attivò poi, con successo, attraverso un diretto contatto col   Magnifico Rettore, in modo da farmi avere un posto al ‘’Collegio Cairoli’’ di Pavia.

Sulle rive del Ticino, là a sud della Lombardia, erano destinate a cambiare varie cose.  

Diventai amico di Fulvio, era un ligure, compagno di collegio e anche di facoltà: mi protesse all’inizio contro le angherie degli anziani, divise con me vari momenti di approccio alla città; pareva sempre fremente, amava la poesia, in ogni cosa che faceva c’era qualcosa di sfuggente e di languido.

 

Una famiglia che abitava a Pavia, dopo che ero diventato amico della primogenita, finì sostanzialmente per adottarmi; e, nel momento in cui mi misi amorosamente con la secondogenita, l’integrazione in quel focolare si fece ancora più stretta: furono gli anni del teatro, della bicicletta, dei film, delle conferenze, dei giochi da tavolo, delle festicciole da ballo.

 

  Decisi a un certo punto che non potevo passare il tempo a leggere classici, a sentire canzoni americane alla radio; distillando gocce intimistiche, fra epistole e notturne invocazioni a Venezia. Dovevo misurarmi con la vita fuori di me, anche con la politica; che nel mio caso era quella universitaria, così come la si giocava allora: un moltiplicarsi di assemblee, di ingenuità, anche però stagione di apprendistati e di cimenti, pre-sessantottini, tra giornali studenteschi ed elezioni, discorsi e scimmiottature di sigle e rituali di stampo nazionale.

 

   Il diritto era noioso nel complesso, spesso arido, parecchio erudito, non molto cinematografico, i professori dalla cattedra non facevano granché per renderlo avvincente; decisi comunque che avrei studiato per la mia parte, che mi sarei fatto promuovere: anche perché conservare il collegio voleva dire superare tutti gli esami dell’anno entro la sessione di ottobre, con una media alta, senza prendere un voto inferiore al ventiquattro.

 




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