Interessi protetti  -  Federico Basso  -  28/04/2022

Transazione e contratti pubblici: un binomio sempre ammissibile?

Come sancito dall’articolo 1965 c.c., la transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può insorgere tra loro.

Sempre secondo la disciplina codicistica, la stipula di una transazione presuppone, inoltre: a) l’esistenza di una lite (res litigiosa), b) un’obiettiva incertezza giuridica sulla spettanza delle reciproche pretese (res dubia), c) la disponibilità, in capo alle parti, dei diritti che formano oggetto della lite.

Così delineati i caratteri generali della transazione, occorre, innanzitutto, sottolineare come nell’ambito del diritto amministrativo la dottrina non sia sempre stata concorde nell’ammettere la sua configurabilità: invero, secondo la dottrina più risalente (Cammeo), sarebbe da escludersi la possibilità per le Pubbliche Amministrazioni di stipulare transazioni aventi ad oggetto rapporti pubblicistici, stante l’indisponibilità dell’interesse pubblico sottostante agli stessi.

La dottrina successiva (Guicciardi, Miele), invece, ne ammise la stipula, sulla scorta dell’osservazione per cui l’indisponibilità andrebbe riferita allo stesso potere pubblico e non ai rapporti patrimoniali da esso scaturenti, suscettibili, pertanto, di essere transatti in virtù dell’unicità del regime giuridico (salvo deroghe espresse) delle obbligazioni pubbliche e delle obbligazioni di diritto privato.

Ad oggi, pur in assenza di una norma generale in materia di transazione, la dottrina prevalente risulta comunque orientata nel senso di sancirne in via generale l’ammissibilità, come risultante anche da numerose disposizioni normative (quali: l’art. 14 R.D. n. 2450/1923; l’art. 13 R.D. n. 1611/1933, l’art. 208, D.Lgs. n. 50/2016, l’art. 2 D.L. n. 208/ 2008 e l’art. 182 ter, L.F.) volte a regolare specifici aspetti in peculiari settori del diritto pubblico.

Ciò premesso in relazione alla transazione in generale, occorre, tuttavia, osservare come ambito elettivo di applicazione della medesima sia la materia dei contratti pubblici, stante l’elevato numero di controversie ivi esistenti atte ad essere risolte mediante transazione in virtù delle loro stesse caratteristiche intrinseche.

All’uopo, l’art. 208 del Codice Appalti appresta una specifica disciplina, la quale rispetto a quella civilistica presenta alcune peculiarità dettate essenzialmente dall’interesse pubblico perseguito dall’Amministrazione. Invero, se in ambito civilistico ai privati è riconosciuta una pressoché totale autonomia contrattuale, non altrettanto può dirsi in ambito pubblicistico, laddove è presente un soggetto, la stazione appaltante, il cui agire è necessariamente vincolato al miglior perseguimento dell’interesse pubblico, al quale è, dunque, informata tutta la disciplina di cui alla citata norma.

Più specificamente, la disposizione prevede che le controversie derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici possono essere risolte mediante transazione solamente nell’ipotesi in cui: i) attengano a diritti soggettivi e ii) non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi all’azione giurisdizionale, quali, ad esempio, l’accordo bonario o l’arbitrato (c.d. residualità della transazione).

Parimenti, anche il disposto del secondo comma risulta informato alle medesime esigenze pubblicistiche precedentemente illustrate, giacché esso prevede la preventiva e obbligatoria acquisizione del parere dell’Avvocatura dello Stato, qualora si tratti di Amministrazioni centrali ovvero di un legale esterno alla struttura o del funzionario più elevato in grado competente per il contenzioso, ove non esistente il legale interno, qualora si tratti di Amministrazioni sub-centrali, nel caso in cui il valore oggetto di concessione o rinuncia sia superiore a 100.000 € ovvero a 200.000 € in caso di lavori pubblici.

Ciò posto e ferma l’obbligatorietà di tale parere, la proposta di transazione può essere formulata, oltre che dal dirigente pubblico competente, anche dal soggetto aggiudicatario; qualora essa venga accettata dall’altra parte, potrà dirsi raggiunto l’accordo transattivo, il quale, a differenza della disciplina civilistica, deve rivestire forma scritta a pena di nullità, in conformità al principio generale della necessaria forma scritta ad substantiam prevista per tutti i contratti pubblici.

Infine, per coloro che ritengono di inquadrare la transazione nella figura degli accordi ex art. 11 l. n. 241/1990 sarebbe configurabile, altresì, un potere unilaterale di recesso in capo alla Pubblica Amministrazione per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, salvo indennizzo a favore del privato per gli eventuali pregiudizi subiti.

Orbene, ciò detto in merito alla disciplina positiva, occorre ora soffermarsi sulla questione concernente i rapporti tra transazione e rinegoziazione/modifica del contratto pubblico precedentemente stipulato.

In tale contesto assume particolare rilievo, in primo luogo, il problema dell’ammissibilità nel diritto amministrativo della c.d. transazione novativa di cui all’art. 1974 c.c., ovverosia di quella peculiare tipologia di transazione mediante la quale le parti, nell’ambito delle reciproche concessioni, estinguono il rapporto preesistente per novazione e ne costituiscono uno nuovo.

Ferma l’ammissibilità di tale figura nel diritto civile, potrebbe, altresì, predicarsene in astratto la configurabilità anche nell’ambito dei contratti pubblici, in assenza di un espresso divieto in tal senso. Tuttavia, come osservato dalla dottrina (Patrito), tale operazione non può trovare cittadinanza nell’ambito del diritto dei contratti pubblici, giacché essa comporterebbe non solo l’estinzione del precedente rapporto, ma anche la costituzione di uno nuovo tra le parti, senza la previa indizione di una procedura di evidenza pubblica. In altri termini, mediante il meccanismo della transazione novativa, la stazione appaltante potrebbe eludere l’applicazione della disciplina contenuta nel Codice Appalti e violare, in tal modo, il diritto dell’UE, nonché i principi di trasparenza, economicità e concorrenza, cui la P.A. deve informarsi nella scelta del contraente privato.

Esclusa, dunque, l’ammissibilità della transazione novativa nel diritto dei contratti pubblici, occorre, in secondo luogo, domandarsi se e in che limiti siano ammissibili, mediante la stipula di una transazione, modifiche al contratto che, tuttavia, non ne comportino l’estinzione.

In tal caso, non avendo luogo né l’estinzione del rapporto originario né la costituzione di uno nuovo, paiono ammissibili successive modifiche al contratto pubblico operate da una transazione avente ad oggetto la composizione di controversie nate dall’esecuzione del medesimo.

Tali modifiche, tuttavia, al fine di evitare mutamenti sostanziali del contratto che comportino un’elusione all’applicazione della disciplina dell’evidenza pubblica, dovranno rispettare i limiti sanciti dall’art. 106 Codice Appalti, con l’ovvia esclusione delle limitazioni inerenti a quelle ipotesi che facciano riferimento a modifiche previste nei documenti iniziali di gara (non potendosi ipotizzare ab initio in maniera chiara e precisa l’insorgenza di eventuali e future liti) ovvero che comportino una sostituzione del contraente originario.

In conclusione, nonostante la sussistenza dei predetti e numerosi limiti in merito all’ammissibilità della transazione nel diritto amministrativo, pare, tuttavia, possibile affermare come essa possa costituire un valido strumento di risoluzione alternativa delle controversie; e ciò, come sottolineato dalla dottrina (Tuzzi), nella direzione di un progressivo antropomorfismo della P.A., alla quale andrebbe progressivamente riconosciuta una capacità di agire e di transigere simile a quella dei soggetti privati; il tutto nell’ottica di una riduzione del carico giudiziario e della conflittualità tra Amministrazione e privati.

Come suggerito da numerosi Autori, infatti, occorrerebbe stimolare i funzionari pubblici - spesso timorosi di future responsabilità erariali - ad utilizzare maggiormente la transazione e gli altri ADR, i quali, se da un lato possono effettivamente comportare una parziale rinuncia delle pretese della P.A., dall’altro possono essere, invece, forieri di numerosi vantaggi per l’ente pubblico termini di celerità, efficienza ed economicità; e ciò anche nell’ottica di un’Amministrazione più aperta al dialogo e alle istanze dei singoli cittadini.




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