Fra i sedici e i diciott’anni neanche i baci erano più l’essenziale.
Mi fermavo prima, ‘’romanticamente’’, cercavo altri sottofondi immaginari.
C’era una lei stavolta - alta e sottile, seno piccolo, occhi da gatta - che mi accompagnava su una barca a remi: in laguna, un sandolino preso a noleggio, noi due soli a bordo.
Un po’ sapevo remare alla veneziana, nella realtà, quanto bastava per sceneggiare il ‘’film notturno’’; le insegnavo anche a vogare, eravamo in due a spingere allora, lei a prua io a poppa.
Si passava per casa mia, dopopranzo, a prendere un giradischi portatile e i vinili d’epoca di mio padre e di mio nonno; l’attracco era un’ora più tardi a una ‘’bricola’’ dietro la Giudecca, verso l’Isola della Grazia. Ci si sdraiava sul fondo della barca, non succedeva granché: i compiti di scuola, una merenda frugale, i dischi che cambiavamo a turno. Si canticchiava all’unisono, altra cosa che sentire musica su Internet.
Qualche volta mini-tenerezze, fraterne al novanta per cento: ogni tanto le sfioravo il seno sulla sua maglietta a righe, lei mi scostava la mano dopo un attimo; a tratti l’onda di un vaporetto che faceva sussultare il giradischi. Fino al momento del ritorno.
Qui mi svegliavo, riaprivo gli occhi.