L’ORRORE PREVEDIBILE/PREVENIBILE CHE ACCADE
La cronaca investe i cittadini con notizie quotidiane di delitti che evocano un clima da guerra civile non dichiarata, ma in corso. Le donne e i bambini uccisi da uomini che non riescono a rispettare regole condivise -prima fra tutte non aggredire l’altro, se non per difendere sé stessi- si ripetono con frequenza ormai agghiacciante. Questi rei in famiglia sono senza dubbio folli e ciò va ribadito con forza, mentre si assiste a una sorta di concettualizzazione progressiva della cattiveria come causa dei crimini, anche da parte di coloro che si dicono o dovrebbero essere esperti in materia criminologica e psichiatrica. Ne è causa la presunta garanzia carceraria del temuto stalking -se dichiaro il reo sano, quanto meno finirà dietro le sbarre e non nelle mani di medici pietosi, e sappiamo quale sia l’esito di cure pietose e poco accorte…- e per il terrore degli psichiatri di finire tra le grinfie della posizione di garanzia, decisamente male interpretata dalla categoria, che ne ha fatto il cavallo di battaglia per una consapevole e dannosa deresponsabilizzazione. Gli eventi di questi giorni dimostrano, al contrario, come le norme -piuttosto che il loro mancato rispetto- non garantiscano, sotto il profilo penale e preventivo, la difesa da simili rischi, non tutelino la vittima potenziale. Il carcere, quand’anche lo facesse, lo farebbe al massimo per un tempo limitato e senza previa affidabile rivalutazione della competenza sociale di chi viene riammesso automaticamente allo stato libero una volta esaurita la pena edittale. In aggiunta, l’imprigionamento non consente neppure di affrontare il problema che è alla base di simili scelte criminali, vale a dire una follia pericolosissima, come i sacri testi di psichiatria insegnano dandole il nome che le compete, vale a dire erotomania, forma forse la più grave e ineluttabile, se lasciata crescere liberamente, di paranoia. In attesa che gli addetti ai lavori si chiariscano le idee, viene voglia di trovare valide forme di protezione che non siano la promessa di Pulcinella di quello psichiatra che avrebbe suggerito alla moglie di ritirare la denuncia per stalking contro il marito minaccioso e malato di mente, assicurando “ghe pensi mi”, per poi non farlo e lasciare che reati gravissimi si consumassero, reati di cui altri sono magari chiamati pubblicamente e in maniera non pertinente a rispondere.
Vogliamo o no aiutare tali compagni di cordata disperati, che per anni vivono in un clima di terrore bellico tra le mura domestiche, diventate terreno minato, pronto ad esplodere? Quando parlo con qualcuno di loro, leggo negli occhi che mi fissano la paura dell’animale regolarmente bastonato e una commovente domanda di sostegno. Ora, se è vero che una delle ultime vittime aveva seguito invano il programma di tutela previsto dalla legge per quanti subiscono spaventevoli intimidazioni, occorrerà, per costoro, mettere in piedi altre forme di copertura. Si potrebbe pensare a piani analoghi a quelli in vigore per i collaboratori di giustizia, ai quali lo Stato provvede a cambiare nome e sede, talora persino Nazione, rendendoli invisibili e in tal modo irraggiungibili dai loro persecutori. Va evitato il crescendo minaccioso che prelude all’avvento di danni certi. E’ ora di pensare a questo, visto che non si riesce a garantire, ai rei folli che tendono a moltiplicarsi, una pena e una cura adeguate. La scelta imporrebbe alla vittima, anziché all’aggressore, un cambiamento e svariate perdite, ma il malcapitato, se debitamente soccorso, potrebbe almeno tentare di rifarsi una vita nel breve arco di ogni esistenza. Servono finanziamenti e desiderio di affrontare un tema scottante, ma non insolubile, urgono un senso di responsabilità collettivo e una ritrovata pietas. Si tratta ovviamente di un cimento interistituzionale e interdisciplinare ineludibile per uno Stato degno di questo nome, da non lasciare a un volontarismo non sempre provvido e spesso occasionale.
Articolo tratto da Quotidiano Sanità