-  Andrea Castiglioni  -  13/02/2017

Le società in house possono fallire - Cass. 3196/2017 - Andrea Castiglioni

Le società in house providing sono soggette a fallimento al pari di qualsiasi altro soggetto privato. La possibilità, per gli enti pubblici, di perseguire l"interesse pubblico mediante strumenti di carattere privato, non deve pregiudicare i terzi che maturano un legittimo affidamento nel riscontrare che la società di capitali costituita dall"ente è regolarmente iscritta al registro delle imprese. Tale iscrizione è condizione che fa acquistare al soggetto lo status di imprenditore commerciale.



I ricorrenti contestavano la fallibilità di una s.r.l. in house providing perchè, in quanto "ente pubblico", mancava il requisito soggettivo di cui all"art. 1 Legge Fallimentare (R.D. 267/1942).

La S.C. respinge il ricorso e statuisce per la fallibilità della società in questione. In questo modo conferma la decisione dei giudici di merito e ribadisce il proprio orientamento sul punto, con l"intento esplicito di consolidarlo facendolo diventare un punto fermo del diritto vivente.

La società in house providing rappresenta una delle possibilità con cui la P.A. può perseguire l"interesse pubblico, utilizzando gli istituti propri del diritto privato. Sono caratterizzate da: (i) una partecipazione interamente pubblica del capitale e delle risorse, tanto che sono considerate esempi di delegazione  interorganica; (ii) operano esclusivamente per perseguire l"interesse pubblico; (iii) la P.A. esercita su di loro il medesimo controllo che esercita sui propri organi (cd. controllo analogo).

Rappresenta un"alternativa all"affidamento diretto, che consiste nella gestione di un servizio, pur sempre con risorse proprie, ma senza costituire un soggetto giuridico nuovo. La società in house, infatti, assume le vesti di un soggetto di diritto privato (s.r.l. o s.p.a.), inclusi gli obblighi prescritti dalle norme privatistiche (assunzione del nome juris, iscrizione nel Registro delle imprese).

Dal punto di vista della P.A., il vantaggio che essa trae dalla costituzione di una società in house per la gestione di un determinato servizio, rispetto alla gestione diretta, consiste sia nella maggiore duttilità nella gestione dell'attività concreta, sia nel «preservare l"erario dalla mala gestio degli organi sociali di società strumentali». Il soggetto pubblico, infatti, risponde «nei soli limiti del capitale di investimento immesso nella società divenuta insolvente». Tale è la conseguenza del fatto che, come detto, è stato costituito un soggetto autonomo di diritto privato (una s.r.l., o una s.p.a., seppur a capitale interamente pubblico); e non è consentito "sorvolare" sugli effetti di tale soggettività, poiché, se così non fosse, vi sarebbe il «paradosso di un"azione dei creditori sociali della società in house che diverrebbero tutti creditori diretti dell"ente pubblico», conseguenza inaccettabile «laddove l"ente pubblico abbia scelto, come visto, di delimitare la responsabilità per le obbligazioni assunte dalla società partecipata» (Cass. in commento; Cass. SS.UU. 5491/2014, Cass. 26936/2013).

In conclusione, una società di capitale a totale partecipazione pubblica (s.r.l. o s.p.a. in house), per  tutto quanto concerne il rapporto con i terzi, è soggetta alla disciplina di diritto privato propria del tipo di società prescelto. Ciò include anche la disciplina dello statuto dell"imprenditore, quindi anche l"assoggettamento a fallimento. Non "nasce" un «soggetto sovraqualificato rispetto al tipo societario eventualmente assunto». Inoltre, il sistema di pubblicità legale, mediante l"iscrizione nel registro delle imprese, determina nei terzi un «legittimo affidamento sull"applicabilità alle società ivi iscritte di un regime di disciplina conforme al nome juris dichiarato», sicché sarebbe scorretto riservare ad esse una condizione di sostanziale privilegio.

Piuttosto, si assiste alla «convivenza» di due ordini di discipline: quello privatistico, per i rapporti con i terzi; quello pubblicistico, con un"aggiuntiva responsabilità contabile, per il corretto atteggiarsi del socio pubblico nei confronti del patrimonio pubblico (Cass. SS.UU. 26283/2013).

Soltanto una espressa disposizione legislativa può derogare alla suddetta impostazione, e, per ipotesi, esonerare il soggetto dalla disciplina concorsuale.

La S.C. si premura di osservare che la propria decisione si pone in linea con Cass. 22209/2013. Inoltre lo stesso legislatore ha chiarito, con l"art. 1, co. 3, D.lgs. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, ossia il nuovo "Codice delle società pubbliche"), che «Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e nelle norme generali di diritto privato»; inoltre l"art. 14, D.lgs. 175/2016, precisa che «Le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39».




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