La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha risolto il contrasto interpretativo, sollevato con ordinanza interlocutoria n. 28872 del 19 ottobre 2021, in relazione alla questione della natura del diritto vantato da un coniuge in comunione legale dei beni, non titolare dell’azienda sui beni dell’azienda stessa, ex art. 178.
La vicenda trae origine dal ricorso presentato dalla moglie nei confronti del coniuge, al Tribunale di Cagliari, al fine di ottenere la divisione di tutti i beni aziendali a lui intestati, unitamente all’accertamento degli utili percepiti e percipiendi ed all’equivalente all’alienazione dei beni aziendali, successivamente allo scioglimento della comunione legale dei beni. La ricorrente asseriva, in particolare, che gli immobili acquistati dal coniuge fossero caduti, di diritto, in comunione dei beni, e che, di conseguenza, fosse titolare del diritto di comproprietà di una metà sui beni medesimi, ai sensi dell’articolo 178 c.c., al momento dello scioglimento della comunione. Con sentenza definitiva, il Tribunale si pronunciava per la divisione, assegnando all’attrice il complesso artigianale e relative pertinenze, stabilendo un conguaglio a favore del convenuto di euro 38.500,00. Il successivo ricorso in appello del convenuto confermava la sussistenza della comunione c.d. “ de residuo”, dichiarandone lo scioglimento. Inoltre, dichiarava la titolarità in capo alla moglie di un diritto di credito, corrispondente al 50% del valore dei beni, tra i quali l’impresa del marito.
La moglie, tuttavia, proponeva ricorso avverso la sentenza non definitiva della Corte d’Appello di Cagliari, con la quale le veniva riconosciuta la comproprietà del 50% sui beni aziendali, in applicazione dell’art. 178 c.c., con rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione del convenuto e prosecuzione del giudizio per le successive operazioni di divisione dei beni, con emissione di altre due sentenze non definitive.
Con il primo motivo di ricorso, la signora riteneva “Che l’esigenza di ripartire tra i coniugi pure i debiti gravanti sui beni destinati all’esercizio dell’impresa avrebbe dovuto considerarsi pienamente salvaguardata, anche riconoscendo al coniuge non imprenditore un diritto reale sugli stessi beni.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduceva, invece, “Che, ove si fosse qualificato il diritto del coniuge dell’imprenditore come diritto di credito, si sarebbe dovuto ritenere che, in caso di scioglimento della comunione “de residuo” ai sensi dell’art. 178 c.c., il coniuge dell’imprenditore avrebbe avuto diritto di prelevare, in relazione all’art. 192, comma 5, c.c., beni ricadenti nella predetta comunione sino a concorrenza del proprio diritto di credito, dovendosi reputare tale norma applicabile anche all’ipotesi della cd. comunione de residuo”. Infine, con l’ultimo motivo di ricorso, riteneva sussistere la nullità del procedimento o della sentenza, sull’asserito presupposto dell’illegittimità della decisione gravata nella parte in cui aveva dichiarato che ogni statuizione successiva all’espletamento della c.t.u. avrebbe potuto limitarsi soltanto all’accertamento del credito ad essa ricorrente spettante, ma non anche alla condanna del convenuto al relativo pagamento
La Cassazione, prende posizione, dunque, su una questione - quale è quella della natura della comunione de residuo - controversa in dottrina e giurisprudenza. Infatti, secondo una posizione dottrinale, seguita da parte della giurisprudenza, essa avrebbe natura di diritto di credito.(ex multis, Cass. 29.11.1986 n. 7060; conforme Cass. 21.5.1997 n. 4533) in quanto ricollegabile al contenuto dell’articolo 178 c.c., secondo il quale i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi -costituita dopo il matrimonio- e gli incrementi dell’impresa, anche se costituita precedentemente, sarebbero da considerare oggetto della comunione soltanto se presenti al suo scioglimento.
Secondo altro orientamento, invece, la comunione “de residuo” avrebbe natura reale, così come statuito dalla sentenza della Suprema Corte 29.5.2008 n. 19567, relativa al saldo di conto corrente bancario, secondo la quale il saldo di un conto corrente bancario, intestato – in regime di comunione legale dei beni – soltanto ad uno dei coniugi e nel quale siano affluiti proventi dell’attività separata svolta dallo stesso, se ancora sussistente, […] entra a far parte della comunione legale dei beni, ai sensi dell’art. 177, comma 1, lett. c), c.c., al momento dello scioglimento della stessa”.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte aderiscono alla prima delle due tesi sopra riassunte,e quindi per la natura obbligatoria della comunione de residuo, ritenendo, in particolare, che “Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio e ricadente nella cosiddetta comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all’ altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell’azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data.“
La Corte di legittimità opta, pertanto, per la tesi della natura creditizia del diritto nascente dalla comunione de residuo e riconosce un diritto di compartecipazione di natura creditoria, quantificabile in un valore pari alla metà dell’ammontare del denaro o dei frutti oggetto di comunione de residuo, ovvero del controvalore dei beni aziendali e degli eventuali incrementi, al netto delle passività.
In estrema sintesi, le Sezioni unite evidenziano, in linea generale, le esigenze solidaristiche familiari, n parte reputate recessive a fronte dell’esigenza di assicurare il soddisfacimento di altri concorrenti diritti, aventi pari dignità costituzionale.
A favore di tale conclusione, peraltro, secondo le Sezioni Unite, evidenziano, in particolare, che la tesi della natura reale del diritto presenta l’inconveniente di una comunione anche sui beni mobili ed immobili confluiti nell’azienda, con la contitolarità che ne discende, con evidenti problemi con riferimento ai terzi che abbiamo avuto rapporti con l’impresa impresa individuale del coniuge, i quali vedrebbero, con lo scioglimento della comunione legale, i beni non più di titolarità per l’intero dell’imprenditore, ma in comunione con l’altro coniuge, con conseguente riduzione della garanzia patrimoniale a favore dei creditori.
La Cassazione, con la sentenza in commento, contribuisce a fare chiarezza su una questione, da molto tempo foriera di contenzioso tra coniugi in sede di separazione e che sembra avere trovato una soluzione con la decisione in commento.
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