Il Maestro ci laverà i piedi.
Lo farà: fa sempre quello che dice.
Ecco! Prende un bacile.
Lo riempie d'acqua. Tutti intorno s'affannano
a sedersi ordinati
perché più agevole gli sia il compito
da servo. Io, io soltanto sto fermo
sotto gli occhi incuriositi e accigliati
degli altri. Perché io sono un vero servo
non un Maestro che gioca a essere umile.
Io, sono umile e non mi lascerò
lavare i piedi. Arrivo dal lavoro
nesuno ha cosparso i miei piedi d'oli
profumati, nessuno li ha asxciugati
coi suoi lunghi capelli.
I miei piedi di servo sono lordi,
con orrore immagino l'aureola
di terra sotto le unghie. La vergogna
dell'unghia annerita sale mi arriva
al volto e avvampo di rabbia e vergogna.
“Io, laverò i piedi. Non tu. Mai tu”.
Il Maestro col bacile ricolmo:
“Sarai il primo” mi dice.
Mi par d'odiare questo finto servo:
io coi piedi incrostati di lavoro,
le unghie annerite di dura fatica.
Sono rosso di vergogna, ma sono
un servo che obbedisce.
Il Maestro mi scopre i piedi. Chiudo
gli occhi: solo si sente lo sciacquio
lieve dell'acqua. Sul piede indurito
la mano è energica. Il Maestro lava
i piedi come un servo.
Il Maestro è ora chino su altri piedi,
apro gli occhi, pulito
sono pulito. Ma un'unghia è rimasta
aureolata di terra e fatica.
Guardo il Maestro: mi ha lasciato il segno,
chissà perché, del servo.
Giovedì santo 2011