-  Andrea Castiglioni  -  20/10/2016

La Direttiva 2004/80 e breve riflessione sui costi sociali della giustizia - Andrea Castiglioni

La Corte di Giustizia europea ha sanzionato la Repubblica italiana per il mancato recepimento della Direttiva 2004/80.

Il recepimento, per cui era previsto il termine del 1° gennaio 2006, è avvenuto con il D.lgs. 9 novembre 2007 n. 204, su delega della L. 25 gennaio 2006 n. 29.

Già si può evincere che la legge delega sia stata promulgata in ritardo rispetto al termine previsto dalla Direttiva, e non prima di formali diffide inoltrate all"Italia che rimaneva inerte. Tuttavia la sanzione non concerne detto ritardo ma il merito della legislazione di recepimento.

La Direttiva, al fine di tutelare le vittime della criminalità colpite da reati dolosi di matrice violenta, prevede che gli Stati predispongano misure di indennizzo per le vittime e che comprendano anche le spese legali. Il recepimento da parte dell"Italia era esteso solo ad alcune categorie di reati, quali le azioni di terrorismo o criminalità organizzata, non comprendendo invece reati a base violenta, quali la violenza sessuale, lesioni personali o aggressioni in genere.

Inoltre non veniva soddisfatta la Direttiva in quanto l"accessibilità al sistema di ristoro risentiva di discriminazioni dipendenti dal luogo in cui il reato è stato commesso, o dal luogo in cui la vittima inoltra la richiesta. Ciò è stato censurato in quanto lo scopo di ristorare le vittime di reati violenti non è fine a se stesso, ma è diretto ad «abolire gli ostacoli tra Stati membri alla libera circolazione delle persone». La libera circolazione delle persone godrebbe quindi di minori ostacoli se in qualsiasi Paese membro ci sia la possibilità di ottenere da parte dello Stato medesimo il ristoro dei danni subiti, e le spese legali pagate, in conseguenza di reati violenti. In questo modo si evita che la vittima, oltre ad avere subìto un"esperienza che potrebbe segnare la propria vita, rischi di non ottenere il risarcimento riconosciutole dall"Autorità giudiziaria e debba sobbarcarsi anche l"onere di pagare le spese legali.

Lo scopo della Direttiva non può non incontrare consenso, soprattutto con riguardo all"aspetto del pagamento delle spese legali; aspetto che molti interpreti già pongono in discussione nel sistema interno.

Il riferimento, questa volta, non è più con riguardo alla vittima ma riguardo all"imputato, che si vede assolto con formula piena nell"ambito di un processo penale. Si pensi: da una parte, è vero che ognuno di noi si vedrà costretto, prima o poi, a rivolgersi ad un patrocinatore legale per avere accesso alla giustizia; le spese legali possono considerarsi un costo sociale che, volenti o nolenti, tutti dovremo considerare; per intenderci, a tutti toccherà sostenere delle spese legali, così come dovrà pagare il dentista, o sopportare delle spese mediche. Il parallelismo regge: il sistema sanitario, ad es., per alcuni esami richiede il pagamento di un importo forfettario (il cd. ticket) che non copre tutto il costo della prestazione medica in sé, la cui differenza viene pagata dallo Stato. In caso di ricovero urgente, invece, il ticket non c"è neppure e il danneggiato (giustamente) non paga nulla all"ospedale, in cui viene eseguito quell"intervento chirurgico necessario che in sé ha un costo molto elevato (si pensi ad un"operazione chirurgica, con annessi esami radiologici preliminari, con il costo del personale, chirurghi, infermieri, nonché del materiale  impiegato).

Ora, con riferimento invece a un soggetto che si vede coinvolto in un processo penale, di cui è innocente, e che si concluderà appunto con una dichiarazione di assoluzione perchè "il fatto non sussiste", o "non costituisce reato", o "l"imputato non lo ha commesso", non è equo che questa persona debba anche sopportare il costo delle spese legali, per una vicenda giudiziaria in cui è stato coinvolto suo malgrado. Negli altri casi, può essere ammesso che il costo sociale sia ammesso (rientrando nell"alveo del generale dovere di solidarietà sociale di cui all"art. 2 Cost.), ma il caso di una vicenda penale, vissuta da imputato, conclusasi con assoluzione piena, non è equo che tale costo sociale venga attribuito al malcapitato.




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