La sentenza in commento riguarda il contenzioso giudiziario avviato dalla coniuge di secondo letto
del de cuius, per la divisione dei beni immobili caduti in successione, tra i quali vi è un immobile occupato dalla prima prima moglie del de cuius medesimo. Parte attrice chiede, altresì, la condanna della convenuta al pagamento di una indennità per l'occupazione dell'immobile. La prima moglie del defunto chiede, inoltre la condanna della stessa alla restituzione dei beni mobili e dei gioielli
presenti nell'immobile suddetto. Parte convenuta aderisce alla domanda di divisione, chiedendone la
dilazione, ma in via riconvenzionale ritiene possa pretendere riconoscimento del diritto di abitazione nell'appartamento che occupa, ai sensi dell’articolo 540 c.c.. Il Tribunale, dichiarata aperta la successione del de cuius, rigetta la domanda della ex moglie, così come le richieste della seconda moglie del defunto, e accoglie la domanda di divisione ereditaria.
La sentenza viene appellata dalla seconda moglie, mentre la prima moglie del de cuius ed i figli del medesimo, propongono appello incidentale.
I Giudici di secondo grado rigettano l'appello principale e dichiarano inammissibile quello incidentale, non ritenendo sussistere il diritto abitazione sulla casa coniugale, ai sensi dell’articolo 540 c.c., a favore dell’ultima coniuge del defunto, in quanto in comproprietà non con quest’ultima, ma con la prima moglie del de cuius. "
La Suprema Corte conferma la sentenza di secondo grado, ribadendo il principio già espresso nella
precedente sentenza 23 maggio 2000, n. 6691, secondo la quale "A norma dell'art. 540 cod. civ., il
presupposto perché sorgano a favore del coniuge superstite i diritti di abitazione della casa adibita
a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano è che la suddetta casa e il relativo
arredamento siano di proprietà del "de cuius" o in comunione tra lui e il coniuge, con la
conseguenza che deve negarsi la configurabilità dei suddetti diritti nell'ipotesi in cui la casa
familiare sia in comunione tra il coniuge defunto ed un terzo".
I Giudici di legittimità, dunque, confermano il proprio costante orientamento, conformandosi alla
giurisprudenza prevalente, secondo il quale, nel caso di comproprietà dell’immobile tra il de cuius e un terzo, al coniuge superstite spetterebbe, comunque, l’equivalente monetario del valore del diritto di abitazione e dei mobili che lo corredano, in analogia con la divisione ereditaria, nella quale, nel caso di impossibilità di separazione fisica dell’immobile, viene riconosciuto l’equivalente monetario dei diritti spettanti al condividente sull’immobile caduto in successione (per tale motivo, nel caso di specie, i giudici di secondo grado precisano circa l’impossibilità di corresponsione di un indennizzo alla parte avente diritto, con conseguente obbligo di respingere la domanda proposta).
In caso di comproprietà dell’immobile tra de cuius e terzo, peraltro, la ratio del disposto dell’articolo 540 c.c., sarebbe molto affievolito, in quanto non si tratterebbe del coniuge che con il
de cuius ha goduto della casa familiare e condiviso, quindi, con il medesimo, momenti di vita
coniugale; proprio per questa ragione si giustifica un diverso trattamento nei confronti di chi non rivesta la qualità di coniuge superstite, rispetto a chi non rivesta tale qualità.
Infine, per completezza di commento. si precisa che con la sentenza in commento la Cassazione
conferma la tesi, condivisa dalla dottrina più autorevole e dalla più recente giurisprudenza (v. di recente Cass. 27.1.2016 n. 1588), secondo la quale l’articolo 540 c.c. prevederebbe un c.d. “Legato ex lege”, che lo rende autonomo rispetto alla vocazione a titolo universale, con la conseguenza che la rinuncia all’eredità da parte del coniuge, non comporta anche rinuncia ai diritti di cui all’articolo 540 c.c.