Con la sentenza numero 7760 del 15 febbraio 2022, la Corte di Cassazione si pronuncia sull’operatività della sospensione dei termini prevista dalla normativa emergenziale COVID 19, e precisamente dall’art. 83, comma 3, lett. a) del D.L 18 del 2020, rubricato "Nuove misure urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, convertito nella Legge n. 27/2020 e s.m.i, secondo il quale la sospensione dei termini prevista dal comma 1 della sopra citata disposizione, per la proposizione delle impugnazioni e, in genere, di tutti i termini procedurali, non opera, tra l'altro, per le "cause relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità".
La normativa sopra citata, dettata nel periodo di massima diffusione del coronavirus, quando non era possibile proseguire l’attività giudiziaria nelle aule giudiziarie, distingue due ipotesi, assoggettate, comunque, ad una disciplina unitaria, e precisamente quella delle cause relative agli alimenti in senso proprio, di cui all’articolo 433 e quella dei procedimenti inerenti le obbligazioni alimentari, ripresa dal Regolamento CE n. 4/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008. In particolare, il suddetto Regolamento, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento ed all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, all'art. 1, comma 1, indica le "obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità", che assoggetta a quella medesima fonte, descrivendone una delle possibili vicende.
La distinzione legislativa si fonda sulla diversa funzione assolta dall'obbligazione alimentare nei differenti contesti di riferimento, che possono essere familiari in senso stretto o in senso più ampio, non limitati al ristretto gruppo familiare inteso come genitori e figli. In particolare, precisa la Suprema Corte, l'obbligo alimentare di cui all’articolo citato, soddisfa la mancanza di mezzi di sostentamento e asseconda le più elementari esigenze di vita del beneficiato, con il dovere di corrispondere il minimo per la sussistenza.
Nel caso di obbligazioni alimentari nell’ambito di un nucleo familiare in senso stretto, invece, la prestazione di mantenimento, secondo la Suprema Corte, consentirebbe al beneficiato di godere di quanto necessario alla conservazione del pregresso tenore di vita corrispondente alla posizione economico-sociale dei coniugi e, nel rapporto con i figli, dei genitori.
Secondo i Giudici di legittimità, in forza del dato letterale, la normativa emergenziale COVID -19, rappresentata dalla legge 27/2020, sottrae entrambe le ipotesi alla sospensione dei termini processuali e “Stabilisce per le due tipologie di accertamento ("alimentare puro" e ed "alimentare di mantenimento" da valere nell'ambito familiare) una trattazione in sede giurisdizionale destinata ad operare anche durante la sospensione dei termini processuali, pur in un periodo segnato nella necessità del contenimento del rischio pandemico, e tanto in ragione di una discrezionalità legislativa che, esercitata nel contemperamento degli interessi in gioco, non si segnala come irragionevole”.
In considerazione di quanto sopra, la Cassazione rigetta il ricorso per inammissibilità, in quanto tardivo ai sensi dell’articolo 327 c.p.c. in forza della non operatività della sospensione del termine di sospensione, come erroneamente ritenuto dal ricorrente, con conseguente conferma della condanna al versamento di euro 100,00 mensili, da parte della nonna di un minore, per il mantenimento di quest’ultimo, ai sensi dell’articolo 433 c.c., stante l’inadempimento del padre.
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