Pubblica amministrazione  -  Gabriele Gentilini  -  04/08/2024

Istruttoria algoritmica nel provvedimento amministrativo - Un riscontro sulla sentenza del Consiglio di Stato nr. 8474 del 13/12/2019

L’impiego dello strumento algoritmico consente una maggiore rapidità, efficienza ed in astratto una maggiore imparzialità del provvedimento amministrativo, soprattutto quando esso è il risultato di processi seriali e standardizzati. A maggior ragione, quando occorre gestire un notevole numero di istanze, l’elevata potenza di calcolo di una formula matematica ben congeniata può rappresentare la miglior estrinsecazione del principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 della nostra Carta fondamentale.

Tuttavia, l’ammissibilità ed i limiti del ricorso alla cd. decisione algoritmica costituiscono alcune delle tematiche più interessanti giuridicamente, e socialmente controverse, di cui si è occupata la giurisprudenza amministrativa negli ultimi anni. Occorre dunque ben valutare ciò è che, a monte e nel mentre viene generato un provvedimento automatizzato, non vengano meno le garanzie di legittimità del provvedimento amministrativo, che nel nostro ordinamento sono descritte nella legge, 7 agosto, n. 241 del 1990. La cd. Legge sul procedimento amministrativo.

Negli ultimi anni il Consiglio di Stato è più volte intervenuto con alcune tra le pronunce più significative dedicate alla questione (CdS sez. VI, n. 2270 /2019 e le sentt. 8472, 8473, 8474 del 2019), riconoscendo che il ricorso alla funzione algoritmica all’interno del procedimento amministrativo non è vietato di per sé, neppure in relazione a quei procedimenti caratterizzati da discrezionalità, anche tecnica ma la condizione affinché una decisione amministrativa algoritmica sia legittima, tuttavia, è che siano rispettati determinati requisiti, derivanti sia dai principi di diritto interno che dalle norme del diritto europeo (è stato ricordato nei Cons. Stato, sez.VI, sentt. 881/2020 e 1206/2021).

Ricordiamo qui anche ciò che il Consiglio di Stato aveva affermato nella sua sentenza  8 aprile 2019, n. 2270 per cui in generale, non può essere messo in discussione che un più elevato livello di digitalizzazione dell’amministrazione pubblica sia fondamentale per migliorare la qualità dei servizi resi ai cittadini e agli utenti.
Il Codice dell’amministrazione digitale rappresenta un approdo decisivo in tale direzione. I diversi interventi di riforma dell’amministrazione susseguitisi nel corso degli ultimi decenni, fino alla legge n. 124 del 2015, sono indirizzati a tal fine; nella
medesima direzione sono diretti gli impulsi che provengono dall’ordinamento comunitario (vedasi tra l’altro Comunicazione della Commissione sull’Agenda digitale europea).
Anche la dottrina si è interrogata sulle opportunità fornite dalle nuove tecnologie, elaborando la nozione di “e-government”, ovvero l’introduzione di modelli decisionali e di forme gestionali innovative, che si avvalgano della tecnologie informatiche ed
elettroniche. Con tale termine, in estrema sintesi, si vuole indicare il processo di informatizzazione della pubblica amministrazione che, per usare le parole della Comunicazione del 26 settembre 2003 della Commissione Europea, può essere definito come “l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, coniugato a modifiche organizzative ed all’acquisizione di nuove competenze al fine di migliorare i servizi pubblici ed i processi democratici e di rafforzare il sostegno alle
politiche pubbliche” (Comunicazione della Commissione Europea del 26 settembre 2003 «Il ruolo dell’e-governement per il futuro dell’Europa»).

Per quanto attiene più strettamente all’oggetto del presente giudizio, devono sottolinearsi gli indiscutibili vantaggi derivanti dalla automazione del processo decisionale dell’amministrazione mediante l’utilizzo di una procedura digitale ed attraverso un “algoritmo” – ovvero di una sequenza ordinata di operazioni di calcolo che in via informatica sia in grado di valutare e graduare una moltitudine di domande.
L’utilità di tale modalità operativa di gestione dell’interesse pubblico è particolarmente evidente con riferimento a procedure seriali o standardizzate, implicanti l’elaborazione di ingenti quantità di istanze e caratterizzate dall’acquisizione di dati certi ed oggettivamente comprovabili e dall’assenza di ogni apprezzamento discrezionale.
Ciò è, invero, conforme ai canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (art. 1 l. 241/90), i quali, secondo il principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), impongono all’amministrazione il conseguimento dei propri fini con il minor dispendio di mezzi e risorse e attraverso lo snellimento e l’accelerazione dell’iter procedimentale.

Per questa ragione, in tali casi – ivi compreso quello di specie, relativo ad una procedura di assegnazione di sedi in base a criteri oggettivi – l’utilizzo di una procedura informatica che conduca direttamente alla decisione finale non deve essere stigmatizzata, ma anzi, in linea di massima, incoraggiata: essa comporta infatti numerosi vantaggi quali, ad esempio, la notevole riduzione della tempistica procedimentale per operazioni meramente ripetitive e prive di discrezionalità, l’esclusione di interferenze dovute a negligenza (o peggio dolo) del funzionario (essere umano) e la conseguente maggior garanzia di imparzialità della decisione automatizzata. 
In altre parole, l’assenza di intervento umano in un’attività di mera classificazione automatica di istanze numerose, secondo regole predeterminate (che sono, queste sì, elaborate dall’uomo), e l’affidamento di tale attività a un efficiente elaboratore elettronico appaiono come doverose declinazioni dell’art. 97 Cost. coerenti con l’attuale evoluzione tecnologica.

L’utilizzo di procedure “robotizzate” non può, tuttavia, essere motivo di elusione dei princìpi che conformano il nostro ordinamento e che regolano lo svolgersi dell’attività amministrativa.
Difatti, la regola tecnica che governa ciascun algoritmo resta pur sempre una regola amministrativa generale, costruita dall’uomo e non dalla macchina, per essere poi (solo) applicata da quest’ultima, anche se ciò avviene in via esclusiva. Questa regola algoritmica, quindi:
- possiede una piena valenza giuridica e amministrativa, anche se viene declinata in forma matematica, e come tale, come si è detto, deve soggiacere ai principi generali dell’attività amministrativa, quali quelli di pubblicità e trasparenza (art. 1 l. 241/90), di
ragionevolezza, di proporzionalità, etc.;
- non può lasciare spazi applicativi discrezionali (di cui l’elaboratore elettronico è privo), ma deve prevedere con ragionevolezza una soluzione definita per tutti i casi possibili, anche i più improbabili (e ciò la rende in parte diversa da molte regole amministrative generali); la discrezionalità amministrativa, se senz’altro non può essere demandata al software, è quindi da rintracciarsi al momento dell’elaborazione dello strumento digitale;

- vede sempre la necessità che sia l’amministrazione a compiere un ruolo ex ante di mediazione e composizione di interessi, anche per mezzo di costanti test, aggiornamenti e modalità di perfezionamento dell’algoritmo (soprattutto nel caso di apprendimento progressivo e di deep learning);
- deve contemplare la possibilità che – come è stato autorevolmente affermato – sia il giudice a “dover svolgere, per la prima volta sul piano ‘umano’, valutazioni e accertamenti fatti direttamente in via automatica”, con la conseguenza che la decisione robotizzata “impone al giudice di valutare la correttezza del processo automatizzato in tutte le sue componenti”.

In definitiva, dunque, l’algoritmo, ossia il software, deve essere considerato a tutti gli effetti come un “atto amministrativo informatico”.

Ciò comporta, ad avviso del collegio, un duplice ordine di conseguenze.

In primo luogo, come già messo in luce dalla dottrina più autorevole, il meccanismo attraverso il quale si concretizza la decisione robotizzata (ovvero l’algoritmo) deve essere “conoscibile”, secondo una declinazione rafforzata del principio di trasparenza, che implica anche quello della piena conoscibilità di una regola espressa in un linguaggio differente da quello giuridico.
Tale conoscibilità dell’algoritmo deve essere garantita in tutti gli aspetti: dai suoi autori al procedimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti. Ciò al fine di poter verificare che gli esiti del procedimento robotizzato siano conformi alle prescrizioni e alle finalità stabilite dalla legge o dalla stessa amministrazione a monte di tale procedimento e affinché siano chiare – e conseguentemente sindacabili – le modalità e le regole in base alle quali esso è stato impostato.
In altri termini, la “caratterizzazione multidisciplinare” dell’algoritmo (costruzione che certo non richiede solo competenze giuridiche, ma tecniche, informatiche, statistiche, amministrative) non esime dalla necessità che la “formula tecnica”, che di fatto
rappresenta l’algoritmo, sia corredata da spiegazioni che la traducano nella “regola giuridica” ad essa sottesa e che la rendano leggibile e comprensibile, sia per i cittadini che per il giudice.

In secondo luogo, la regola algoritmica deve essere non solo conoscibile in sé, ma anche soggetta alla piena cognizione, e al pieno sindacato, del giudice amministrativo.
La suddetta esigenza risponde infatti all’irrinunciabile necessità di poter sindacare come il potere sia stato concretamente esercitato, ponendosi in ultima analisi come declinazione diretta del diritto di difesa del cittadino, al quale non può essere
precluso di conoscere le modalità (anche se automatizzate) con le quali è stata in concreto assunta una decisione destinata a ripercuotersi sulla sua sfera giuridica.
Solo in questo modo è possibile svolgere, anche in sede giurisdizionale, una valutazione piena della legittimità della decisione; valutazione che, anche se si è al cospetto di una scelta assunta attraverso una procedura informatica, non può che essere effettiva e di portata analoga a quella che il giudice esercita sull’esercizio del potere con modalità tradizionali.

In questo senso, la decisione amministrativa automatizzata impone al giudice di valutare in primo luogo la correttezza del processo informatico in tutte le sue componenti: dalla sua costruzione, all’inserimento dei dati, alla loro validità, alla loro gestione. Da qui, come si è detto, si conferma la necessità di assicurare che quel processo, a livello amministrativo, avvenga in maniera trasparente, attraverso la conoscibilità dei dati immessi e dell’algoritmo medesimo.

In secondo luogo, conseguente al primo, il giudice deve poter sindacare la stessa logicità e ragionevolezza della decisione amministrativa robotizzata, ovvero della “regola” che governa l’algoritmo, di cui si è ampiamente detto.
Alla luce delle riflessioni che precedono, l’appello deve trovare accoglimento, sussistendo nel caso di specie la violazione dei principi di imparzialità, pubblicità e trasparenza, poiché non è dato comprendere per quale ragione le legittime aspettative di soggetti collocati in una determinata posizione in graduatoria siano andate deluse.
Infatti, l’impossibilità di comprendere le modalità con le quali, attraverso il citato algoritmo, siano stati assegnati i posti disponibili, costituisce di per sé un vizio tale da inficiare la procedura.

Non solo, gli esiti della stessa paiono effettivamente connotati dall’illogicità ed irrazionalità denunciate dalle appellanti, essendosi verificate situazioni paradossali per cui docenti con svariati anni di servizio si sono visti assegnare degli ambiti territoriali mai richiesti e situati a centinaia di chilometri di distanza dalla propria città di residenza, mentre altri docenti, con minori titoli e minor anzianità di servizio, hanno ottenuto proprio le sedi dagli stessi richieste.

A questo riguardo, l’art. 1, comma 100, della legge n. 107/15, prevede che: “i soggetti interessati dalle fasi di cui al comma 98, lettere b) e c), se in possesso della relativa specializzazione, esprimono l’ordine di preferenza tra posti di sostegno e posti comuni. Esprimono, inoltre, l’ordine di preferenza tra tutte le province, a livello nazionale”;al successivo comma 101 si prevede che: “la provincia e la tipologia di posto su cui ciascun soggetto è assunto sono determinate scorrendo, nell’ordine, le province secondo le preferenze indicate e, per ciascuna provincia, la tipologia di posto secondo la preferenza indicata”.

I risultati scaturiti dalla procedura automatizzata – di cui, come già detto, non è dato comprendere i criteri che li hanno determinati – paiono porsi in contrasto con tali diposizioni, che ai fini dell’assegnazione prevedono lo scorrimento dei posti secondo le preferenze indicate da ciascun aspirante.

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[... Omissis ...]

5. Passando all’esame del merito, per ciò che concerne il primo ordine di motivi di appello, sempre in via preliminare va rilevata la manifesta infondatezza delle contestazioni svolte in merito alla presunta violazione dell’art. 7 legge 241 cit..
Infatti, tale vizio risulta del tutto privo di riferimento nella sentenza impugnata la quale, lungi dall’accogliere il gravame sul profilo della violazione delle garanzie partecipative, ha accolto il ricorso sulla scorta dei due seguenti ordini di censure: non è stato previsto un meccanismo di deroga al vincolo quinquennale di permanenza nel posto già occupato per i docenti di sostegno, conseguendone che i medesimi non hanno potuto prender parte a questo piano straordinario per un posto comune, violandosi per loro il principio di uguaglianza; per un verso per il fatto che il delineato piano straordinario non è stato corredato da alcuna attività amministrativa ma è stato demandato ad un algoritmo, tuttora sconosciuto, per effetto del quale sono stati operati i trasferimenti e le assegnazioni in evidente contrasto con il fondamentale principio della strumentalità del ricorso all’informatica nelle procedure amministrative. 

6. La restante parte delle censure, concernente la legittimità del ricorso all’algoritmo e la correttezza del relativo meccanismo così come applicato, è parimenti infondata, seppur sulla scorta di un più apprfondito percorso argomentativo.
7. In termini generali, come correttamente evidenziato dalle parti, questa sezione ha già avuto modo di approfondire il tema in oggetto con la nota sentenza n. 2270 del 2019.
A fronte della diversità della fattispecie e del dibattito sollevato, occorre svolgere alcune brevi considerazioni integrative, in specie in relazione a quanto dedotto avverso la sentenza appellata.

7.1 In linea generale va ribadito come anche la pubblica amministrazione debba poter sfruttare le rilevanti potenzialità della c.d. rivoluzione digitale.
In tale contesto, il ricorso ad algoritmi informatici per l’assunzione di decisioni che riguardano la sfera pubblica e privata si fonda sui paventati guadagni in termini di efficienza e neutralità.
In molti campi gli algoritmi promettono di diventare lo strumento attraverso il quale correggere le storture e le imperfezioni che caratterizzano tipicamente i processi cognitivi e le scelte compiute dagli esseri umani, messi in luce soprattutto negli ultimi
anni da un’imponente letteratura di economia comportamentale e psicologia cognitiva. In tale contesto, le decisioni prese dall’algoritmo assumono così un’aura di neutralità, frutto di asettici calcoli razionali basati su dati.

7.2 Peraltro, già in tale ottica è emersa altresì una lettura critica del fenomeno, in quanto l’impiego di tali strumenti comporta in realtà una serie di scelte e di assunzioni tutt’altro che neutre: l’adozione di modelli predittivi e di criteri in base ai quali i dati sono raccolti, selezionati, sistematizzati, ordinati e messi insieme, la loro interpretazione e la conseguente formulazione di giudizi sono tutte operazioni frutto di precise scelte e di valori, consapevoli o inconsapevoli; da ciò ne consegue che tali strumenti sono chiamati ad operano una serie di scelte, le quali dipendono in gran parte dai criteri utilizzati e dai dati di riferimento utilizzati, in merito ai quali è apparso spesso difficile ottenere la necessaria trasparenza.

8.1 Sempre in linea generale va richiamato quanto già evidenziato dalla sezione in ordine all’elemento positivo derivante dal nuovo contesto di digitalizzazione; in proposito, non può essere messo in discussione che un più elevato livello di digitalizzazione dell’amministrazione pubblica sia fondamentale per migliorare la qualità dei servizi resi ai cittadini e agli utenti.
In tale ottica lo stesso Codice dell’amministrazione digitale rappresenta un approdo decisivo in tale direzione. I diversi interventi di riforma dell’amministrazione susseguitisi nel corso degli ultimi decenni, fino alla legge n. 124 del 2015, sono indirizzati a tal fine; nella medesima direzione sono diretti gli impulsi che provengono dall’ordinamento comunitario.

8.2 Tuttavia, nel caso di specie lo scenario necessita di un approfondimento ulteriore. Non si tratta, infatti, di sperimentare forme diverse di esternazione della volontà dell’amministrazione, come nel caso dell’atto amministrativo informatico, ovvero di individuare nuovi metodi di comunicazione tra amministrazione e privati, come nel caso della partecipazione dei cittadini alle decisioni amministrative attraverso social network o piattaforme digitali, ovvero di ragionare sulle modalità di scambio dei dati tra le pubbliche amministrazioni.
Nel caso dell’utilizzo di tali strumenti digitali, come avvenuto nella fattispecie oggetto della presente controversia, ci si trova dinanzi ad una situazione che, in sede dottrinaria, è stata efficacemente qualificata con l’espressione di rivoluzione 4.0 la
quale, riferita all’amministrazione pubblica e alla sua attività, descrive la possibilità che il procedimento di formazione della decisione amministrativa sia affidato a un software, nel quale vengono immessi una serie di dati così da giungere, attraverso
l’automazione della procedura, alla decisione finale.

9.1 Come già evidenziato nel precedente della sezione richiamato, l’utilità di tale modalità operativa di gestione dell’interesse pubblico è particolarmente evidente con riferimento a procedure, come quella oggetto del presente contenzioso, seriali o
standardizzate, implicanti l’elaborazione di ingenti quantità di istanze e caratterizzate dall’acquisizione di dati certi ed oggettivamente comprovabili e dall’assenza di ogni apprezzamento discrezionale.
La piena ammissibilità di tali strumenti risponde ai canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (art. 1 l. 241/90), i quali, secondo il principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), impongono all’amministrazione il conseguimento dei propri fini con il minor dispendio di mezzi e risorse e attraverso lo snellimento e l’accelerazione dell’iter procedimentale.

9.2 Anche il caso in esame, relativo ad una procedura di assegnazione di sedi in base a criteri oggettivi, l’utilizzo di una procedura informatica che conduca direttamente alla decisione finale non deve essere stigmatizzata, ma anzi, in linea di massima, incoraggiata: essa comporta infatti numerosi vantaggi quali, ad esempio, la notevole riduzione della tempistica procedimentale per operazioni meramente ripetitive e prive di discrezionalità, l’esclusione di interferenze dovute a negligenza (o peggio dolo) del funzionario (essere umano) e la conseguente maggior garanzia di imparzialità della decisione automatizzata.

10. Peraltro, l’utilizzo di procedure informatizzate non può essere motivo di elusione dei princìpi che conformano il nostro ordinamento e che regolano lo svolgersi dell’attività amministrativa.
In tale contesto, infatti, il ricorso all’algoritmo va correttamente inquadrato in termini di modulo organizzativo, di strumento procedimentale ed istruttorio, soggetto alle verifiche tipiche di ogni procedimento amministrativo, il quale resta il modus operandi
della scelta autoritativa, da svolgersi sulla scorta delle legislazione attributiva del potere e delle finalità dalla stessa attribuite all’organo pubblico, titolare del potere.

11. Né vi sono ragioni di principio, ovvero concrete, per limitare l’utilizzo all’attività amministrativa vincolata piuttosto che discrezionale, entrambe espressione di attività autoritativa svolta nel perseguimento del pubblico interesse.
In disparte la stessa sostenibilità a monte dell’attualità di una tale distinzione, atteso che ogni attività autoritativa comporta una fase quantomeno di accertamento e di verifica della scelta ai fini attribuiti dalla legge, se il ricorso agli strumenti informatici
può apparire di più semplice utilizzo in relazione alla c.d. attività vincolata, nulla vieta che i medesimi fini predetti, perseguiti con il ricorso all’algoritmo informatico, possano perseguirsi anche in relazione ad attività connotata da ambiti di discrezionalità.
Piuttosto, se nel caso dell’attività vincolata ben più rilevante, sia in termini quantitativi che qualitativi, potrà essere il ricorso a strumenti di automazione della raccolta e valutazione dei dati, anche l’esercizio di attività discrezionale, in specie tecnica, può
in astratto beneficiare delle efficienze e, più in generale, dei vantaggi offerti dagli strumenti stessi.

12. In tale contesto, premessa la generale ammissibilità di tali strumenti, qualificati nei termini di cui sopra al punto 10, assumono rilievo fondamentale, anche alla luce della disciplina di origine sovranazionale, due aspetti preminenti, quali elementi di
minima garanzia per ogni ipotesi di utilizzo di algoritmi in sede decisoria pubblica: a) la piena conoscibilità a monte del modulo utilizzato e dei criteri applicati; b) l’imputabilità della decisione all’organo titolare del potere, il quale deve poter svolgere la necessaria verifica di logicità e legittimità della scelta e degli esiti affidati all’algoritmo.

13.1 Sul versante della piena conoscibilità, rilievo preminente ha il principio della trasparenza, da intendersi sia per la stessa p.a. titolare del potere per il cui esercizio viene previsto il ricorso allo strumento dell’algoritmo, sia per i soggetti incisi e coinvolti dal potere stesso.
In relazione alla stessa p.a., nel precedente richiamato la sezione ha già chiarito come il meccanismo attraverso il quale si concretizza la decisione robotizzata (ovvero l’algoritmo) debba essere “conoscibile”, secondo una declinazione rafforzata
del principio di trasparenza, che implica anche quello della piena conoscibilità di una regola espressa in un linguaggio differente da quello giuridico.
Tale conoscibilità dell’algoritmo deve essere garantita in tutti gli aspetti: dai suoi autori al procedimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei
dati selezionati come rilevanti. Ciò al fine di poter verificare che i criteri, i presupposti e gli esiti del procedimento robotizzato siano conformi alle prescrizioni e alle finalità stabilite dalla legge o dalla stessa amministrazione a monte di tale procedimento e
affinché siano chiare – e conseguentemente sindacabili – le modalità e le regole in base alle quali esso è stato impostato.
In proposito, va ribadito che, la “caratterizzazione multidisciplinare” dell’algoritmo (costruzione che certo non richiede solo competenze giuridiche, ma tecniche, informatiche, statistiche, amministrative) non esime dalla necessità che la “formula
tecnica”, che di fatto rappresenta l’algoritmo, sia corredata da spiegazioni che la traducano nella “regola giuridica” ad essa sottesa e che la rendano leggibile e comprensibile. Con le già individuate conseguenze in termini di conoscenza e di sindacabilità (cfr. punto 8.3 della motivazione della sentenza 2270 cit.).
In senso contrario non può assumere rilievo l’invocata riservatezza delle imprese produttrici dei meccanismi informatici utilizzati i quali, ponendo al servizio del potere autoritativo tali strumenti, all’evidenza ne accettano le relative conseguenze in termini di necessaria trasparenza.
13.2 In relazione ai soggetti coinvolti si pone anche un problema di gestione dei relativi dati. Ad oggi nelle attività di trattamento dei dati personali possono essere individuate due differenti tipologie di processi decisionali automatizzati: quelli che contemplano un coinvolgimento umano e quelli che, al contrario, affidano al solo algoritmo l'intero procedimento.
Il più recente Regolamento europeo in materia (2016/679), concentrandosi su tali modalità di elaborazione dei dati, integra la disciplina già contenuta nella Direttiva 95/46/CE con l'intento di arginare il rischio di trattamenti discriminatori per l'individuo
che trovino la propria origine in una cieca fiducia nell'utilizzo degli algoritmi.
In particolare, in maniera innovativa rispetto al passato, gli articoli 13 e 14 del Regolamento stabiliscono che nell'informativa rivolta all'interessato venga data notizia dell'eventuale esecuzione di un processo decisionale automatizzato, sia che
la raccolta dei dati venga effettuata direttamente presso l’interessato sia che venga
compiuta in via indiretta.
Una garanzia di particolare rilievo viene riconosciuta allorché il processo sia interamente automatizzato essendo richiesto, almeno in simili ipotesi, che il titolare debba fornire “informazioni significative sulla logica utilizzata, nonché l'importanza e le conseguenze previste di tale trattamento per l’interessato” . In questo senso, in dottrina è stato fatto notare come il legislatore europeo abbia inteso rafforzare il principio di trasparenza che trova centrale importanza all'interno del Regolamento.

13.3 L’interesse conoscitivo della persona è ulteriormente tutelato dal diritto di accesso riconosciuto dall'articolo 15 del Regolamento che contempla, a sua volta, la possibilità di ricevere informazioni relative all'esistenza di eventuali processi
decisionali automatizzati.
Incidentalmente, è stato evidenziato come l’articolo 15, diversamente dagli articoli 13 e 14, abbia il pregio di prevedere un diritto azionabile dall'interessato e non un obbligo rivolto al titolare del trattamento, e permette inoltre di superare i limiti temporali posti dagli articoli 13 e 14, consentendo al soggetto di acquisire informazioni anche qualora il trattamento abbia avuto inizio, stia trovando esecuzione o abbia addirittura già prodotto una decisione. Ciò, ai fini in esame, conferma ulteriormente la rilevanza della trasparenza per i soggetti coinvolti dall’attività amministrativa informatizzata in termini istruttori e decisori.

14.1 Sul versante della verifica degli esiti e della relativa imputabilità, deve essere garantita la verifica a valle, in termini di logicità e di correttezza degli esiti. Ciò a garanzia dell’imputabilità della scelta al titolare del potere autoritativo, individuato in
base al principio di legalità, nonché della verifica circa la conseguente individuazione del soggetto responsabile, sia nell’interesse della stessa p.a. che dei soggetti coinvolti ed incisi dall’azione amministrativa affidata all’algoritmo.

14.2 In tale contesto, lo stesso Regolamento predetto affianca alle garanzie conoscitive assicurate attraverso l'informativa e il diritto di accesso, un espresso limite allo svolgimento di processi decisionali interamente automatizzati. L'articolo 22, paragrafo 1, riconosce alla persona il diritto di non essere sottoposta a decisioni automatizzate prive di un coinvolgimento umano e che, allo stesso tempo, producano effetti giuridici o incidano in modo analogo sull'individuo. Quindi occorre sempre l’individuazione di un centro di imputazione e di responsabilità, che sia in grado di verificare la legittimità e logicità della decisione dettata dall’algoritmo.

14.3 In tema di imputabilità occorre richiamare, quale elemento rilevante di inquadramento del tema, la Carta della Robotica, approvata nel febbraio del 2017 dal Parlamento Europeo. Tale atto esprime in maniera efficace questi passaggi, laddove afferma che “l’autonomia di un robot può essere definita come la capacità di prendere decisioni e metterle in atto nel mondo esterno, indipendentemente da un controllo o un'influenza esterna; (…) tale autonomia è di natura puramente tecnologica e il suo livello dipende dal grado di complessità con cui è stata progettata l'interazione di un robot con l'ambiente; (…) nell'ipotesi in cui un robot
possa prendere decisioni autonome, le norme tradizionali non sono sufficienti per attivare la responsabilità per i danni causati da un robot, in quanto non consentirebbero di determinare qual è il soggetto cui incombe la responsabilità del risarcimento né di esigere da tale soggetto la riparazione dei danni causati».

14.4 Quindi, anche al fine di applicare le norme generali e tradizionali in tema di imputabilità e responsabilità, occorre garantire la riferibilità della decisione finale all’autorità ed all’organo competente in base alla legge attributiva del potere.

15. A conferma di quanto sin qui rilevato, in termini generali dal diritto sovranazionale emergono tre principi, da tenere in debita considerazione nell’esame e nell’utilizzo degli strumenti informatici.

15.1 In primo luogo, il principio di conoscibilità, per cui ognuno ha diritto a conoscere l’esistenza di processi decisionali automatizzati che lo riguardino ed in questo caso a ricevere informazioni significative sulla logica utilizzata.
Il principio, in esame è formulato in maniera generale e, perciò, applicabile sia a decisioni prese da soggetti privati che da soggetti pubblici, anche se, nel caso in cui la decisione sia presa da una p.a., la norma del Regolamento costituisce diretta
applicazione specifica dell’art. 42 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali (“Right to a good administration”), laddove afferma che quando la Pubblica Amministrazione intende adottare una decisione che può avere effetti avversi su di una persona, essa
ha l’obbligo di sentirla prima di agire, di consentirle l’accesso ai suoi archivi e documenti, ed, infine, ha l’obbligo di “dare le ragioni della propria decisione”.
Tale diritto alla conoscenza dell’esistenza di decisioni che ci riguardino prese da algoritmi e, correlativamente, come dovere da parte di chi tratta i dati in maniera automatizzata, di porre l’interessato a conoscenza, va accompagnato da meccanismi in grado di decifrarne la logica. In tale ottica, il principio di conoscibilità si completa con il principio di comprensibilità, ovverosia la possibilità, per riprendere l’espressione del Regolamento, di ricevere “informazioni significative sulla logica utilizzata”.

15.2 In secondo luogo, l’altro principio del diritto europeo rilevante in materia (ma di rilievo anche globale in quanto ad esempio utilizzato nella nota decisione Loomis vs. Wisconsin), è definibile come il principio di non esclusività della decisione algoritmica.
Nel caso in cui una decisione automatizzata “produca effetti giuridici che riguardano o che incidano significativamente su una persona”, questa ha diritto a che tale decisione non sia basata unicamente su tale processo automatizzato (art. 22 Reg.). In proposito, deve comunque esistere nel processo decisionale un contributo umano capace di controllare, validare ovvero
smentire la decisione automatica. In ambito matematico ed informativo il modello viene definito come HITL (human in the loop), in cui, per produrre il suo risultato è necessario che la macchina interagisca con l’essere umano.

15.3 In terzo luogo, dal considerando n. 71 del Regolamento 679/2016 il diritto europeo trae un ulteriore principio fondamentale, di non discriminazione algoritmica, secondo cui è opportuno che il titolare del trattamento utilizzi procedure matematiche
o statistiche appropriate per la profilazione, mettendo in atto misure tecniche e organizzative adeguate al fine di garantire, in particolare, che siano rettificati i fattori che comportano inesattezze dei dati e sia minimizzato il rischio di errori e al fine di
garantire la sicurezza dei dati personali, secondo una modalità che tenga conto dei potenziali rischi esistenti per gli interessi e i diritti dell'interessato e che impedisca tra l'altro effetti discriminatori nei confronti di persone fisiche sulla base della razza o
dell'origine etnica, delle opinioni politiche, della religione o delle convinzioni personali, dell'appartenenza sindacale, dello status genetico, dello stato di salute o dell'orientamento sessuale, ovvero che comportano misure aventi tali effetti.
In tale contesto, pur dinanzi ad un algoritmo conoscibile e comprensibile, non costituente l’unica motivazione della decisione, occorre che lo stesso non assuma carattere discriminatorio.
In questi casi, come afferma il considerando, occorrerebbe rettificare i dati in “ingresso” per evitare effetti discriminatori nell’output decisionale; operazione questa che richiede evidentemente la necessaria cooperazione di chi istruisce le macchine
che producono tali decisioni.

16. Sulla scorta delle argomentazioni sin qui svolte, nel caso di specie l’algoritmo non risulta essere stato utilizzato in termini conformi ai principi predetti, anche in considerazione del fatto che non è dato comprendere per quale ragione le legittime
aspettative di soggetti collocati in una determinata posizione in graduatoria siano andate deluse.
Non può quindi ritenersi applicabile in modo indiscriminato, come si ritiene nella motivazione della sentenza di primo grado, all’attività amministrativa algoritmica, tutta la legge sul procedimento amministrativo, concepita in un’epoca nella quale
l’amministrazione non era investita dalla rivoluzione tecnologica, né sono condivisibili richiami letterari, pur noti ed apprezzabili, a scenari orwelliani ( da considerarsi con cautela perché la materia merita un approccio non emotivo ma capace di delineare
un nuovo equilibrio, nel lavoro, fra uomo e macchina differenziato per ogni campo di attività ).
Il tema dei pericoli connessi allo strumento non è ovviato dalla rigida e meccanica applicazione di tutte le minute regole procedimentali della legge n. 241 del 1990 ( quali ad es. la comunicazione di avvio del procedimento sulla quale si appunta
buona parte dell’atto di appello o il responsabile del procedimento che , con tutta evidenza, non può essere una macchina in assenza di disposizioni espresse ), dovendosi invece ritenere che la fondamentale esigenza di tutela posta dall’utilizzazione dello strumento informatico c.d. algoritmico sia la trasparenza nei termini prima evidenziati riconducibili al principio di motivazione e/o giustificazione della decisione.
L’amministrazione, nel presente contenzioso, si è limitata a postulare una coincidenza fra la legalità e le operazioni algoritmiche che deve invece essere sempre provata ed illustrata sul piano tecnico, quantomeno chiarendo le circostanze prima citate, ossia le istruzioni impartite e le modalità di funzionamento delle operazioni informatiche se ed in quanto ricostruibili sul piano effettuale perché dipendenti dalla preventiva, eventualmente contemporanea o successiva azione umana di impostazione e/o controllo dello strumento.
In tal senso la sentenza può essere confermata ma con diversa motivazione. 
Infatti, l’impossibilità di comprendere le modalità con le quali, attraverso il citato algoritmo, siano stati assegnati i posti disponibili, costituisce di per sé un vizio tale da inficiare la procedura, in termini analoghi e coerenti rispetto al precedente della
sezione più volte citato che, tuttavia, in parte se ne differenziava essendo state provate singole violazioni di legge mentre qui la censura finisce per involgere il metodo in quanto tale per il difetto di trasparenza dello stesso. Ciò ha trovato indiretta conferma dall’avvenuta esecuzione della sentenza appellata, in termini satisfattivi delle posizioni azionate.
17. Infine, destituito di fondamento è il vizio dedotto avverso la riconosciuta disparità di trattamento tra docenti appartenenti alla fascia C.
Al riguardo, infatti, l’opzione ermeneutica fatta propria dal Tar Lazio nella sentenza impugnata appare coerente ai principi invocati ed applicati. 
In proposito, va pertanto ribadito che la mancata previsione della deroga al vincolo di permanenza quinquennale dei docenti di sostegno sulla medesima tipologia di posto, con conseguente loro esclusione dalle procedure di mobilità, si pone in contrasto con la facoltà riconosciuta alla generalità degli altri docenti. Ciò sia in termini di principio, in termini qualificabili di irragionevolezza e disparità di trattamento, sia normativi, a fronte della parallela previsione della prevista deroga al vincolo triennale di permanenza nella sede, di cui all’art. 399 co. 3, d.lgs. n. 297/2004, contemplata per i docenti assunti a tempo indeterminato entro l’anno
scolastico 2014/2014 del primo periodo dell’art. 1, co. 108, L. n. 107/2015 proprio ai fini della loro partecipazione al contestato piano straordinario di mobilità.
18.Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello va respinto, confermandosi l’esito del giudizio di prime cure.

[... Omissis ...]




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