Letteratura  -  Pant√® Maria Rosa  -  01/08/2010

IL TORMENTO DELLA LIBERTÀ NEL FRATELLI KARAMAZOV – Maria Rosa PANTÉ

Mi limiterò a una considerazione che parte da un punto cardine del romanzo (ma ci sarebbe da scrivere su mille altri punti e mille altre considerazioni...).
Nel primo libro è contenuto il racconto che Ivàn fa al fratello Aljosa sul Grande Inquisitore. Il grande inquisitore incontra Cristo, tornato sulla terra, e lo fa arrestare, gli parla e lo condanna. In nome di un Cristo deviato a uso e consumo del potere egli condannerebbe il vero Cristo davanti a lui, silenzioso e benevolo.
Ma qual è la cosa che più gli rimprovera? Aver donato all'uomo la libertà.

“Nulla è per l'uomo più seducente che la libertà della sua coscienza, ma nulla è anche più tormentoso”.
E perché mai per l'uomo la libertà è così tormentosa? Perché, così dice il grande inquisitore: “Tu giudicavi troppo altamente degli uomini, giacché per quanto creati ribelli, essi sono certo degli schiavi”.

Quando ho scritto con Lucilla Giagnoni lo spettacolo Big Bang abbiamo riflettuto sulla creazione e quindi sul divieto di mangiare dell'albero del bene e del male.
Ebbene sia pure in modo meno efficace io ho pensato, come Dostoevskij, al grande tormento che è la libertà di decidere tra il bene e il male. Ho pensato, come alcuni teologi e la mia amata Simone Weil, che in realtà il divieto, il muro sia stato messo a bella posta da Dio perché l'uomo disobbedisse e lo superasse e si conquistasse la maggiore età e con essa il tormento necessario e indispensabile della libertà, la libertà di scegliere e la responsabilità di fare il bene o il male.
Un tormento perché spesso i limiti sono oscuri, ben celati, perché il male spesso seduce, è più comodo (o ce lo fanno apparire tale), perché è dolce adagiarsi come fanciulli sapendo che altri sceglieranno per noi...

Eppure questo è l'atto d'amore più grande, lasciare chi si ama libero di scegliere, anche libero di contraccambiare o meno un amore così assoluto come quello divino.
Ma non è solo un discorso religioso, la capacità e la volontà di scegliere si applica ogni giorno, in molti atti laici, diciamo, della nostra vita e anche politici.
La condizione per poter scegliere è però anche la consapevolezza, direi la caduta, la sofferenza, la mancanza; senza questo non si può crescere, il rischio è che un dolore invece di far crescere inasprisca, ma penso che anche ciò può dipendere in gran parte da noi, sia pure non totalmente.
Certo è che la risposta di Cristo al Grande Inquisitore è quella che in fondo ci aspettiamo: un bacio, però non il bacio di Giuda. Un bacio di autentico perdono e comprensione che lascia comunque libero l'inquisitore il quale, infatti, non cambia idea, sceglie il male, che per lui però alla fin fine è un bene.

Perché anche questo è un problema, qualsiasi male, per qualcuno non è tale: per qualcuno ammazzare in guerra non è male, per qualcuno non è male la pena di morte, non è male ammazzare e basta. Non si finisce più allora.
La libertà anche per questo è tormentosa perché si deve essere a tal punto liberi da saper porre a se stessi dei limiti non tanto per “timor” di Dio, o perché si vive in gruppo, quanto in primo luogo per rispetto di se stessi.
Ahimè son caduta nel romanzo anch'io, nell'utopia, nel fondo anarchico irrimediabile che ho dentro e che reclama proprio questo tipo di libertà, forse irrealizzabile, ma non credo inconciliabile con la natura umana: qualcuno è servo, molti sono servi, ma non tutti, mai tutti.




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