Pubblica amministrazione  -  Redazione P&D  -  19/02/2023

Danno all’immagine della P.A. e conseguenze erariali come riflesso di concorsi e gare pilotate - Corte dei Conti, Sez. giur. Regione Piemonte, 17 ottobre 2022 n. 217 - Renzo Cavadi

Premessa

L’accordo con altri finalizzato alla preparazione di procedure concorsuali atte a favorire uno o più candidati anticipando il contenuto delle prove, è sanzionato con l'obbligo del risarcimento del danno all'immagine a favore dell'amministrazione pubblica

La lesione del danno all’immagine opera in questi casi su un duplice piano: interno ed esterno. All’esterno per la diminuita considerazione dell’opinione pubblica o in quei settori in cui l’Amministrazione danneggiata principalmente opera. All’interno, per l’incidenza negativa sull’agire delle persone fisiche che compongono i propri organi. 

Sulla base di tali presupposti la Corte dei Conti sez. giur. regionale del Piemonte con la sentenza del 17 ottobre 2022 n. 217, ha condannato (in concorso) per responsabilità amministrativa collegata al danno d’immagine della P.A. il responsabile di un’azienda ospedaliera in rapporto a operazioni concorsuali (le prove) e di gara (l’ammissione) “pilotate”.

L’importanza della pronunzia in oggetto dagli interessanti sviluppi teorico-pratici per il diritto amministrativo, tende a cogliersi nel momento offre in cui offre il destro per ribadire con grande chiarezza interpretativa, la perimetrazione degli esatti confini nonchè degli elementi fondanti concernenti il danno all’immagine nelle amministrazioni pubbliche. Inoltre, è stata l’occasione per chiarire l’intreccio che lega il giudizio contabile al giudizio penale, con particolare riferimento alle condizioni di esercizio dell’azione processuale contabile nei confronti del reo erariale, in relazione a una precedente sentenza di condanna oggetto di “patteggiamento”. 

La vicenda sottoposta all’attenzione della magistratura contabile. Il richiamo alla sentenza del giudice penale. 

Al direttore dipartimentale di un’azienda ospedaliera, viene contestata (in concorso con altri) la responsabilità amministrativa a titolo di risarcimento per danno all’immagine arrecato all’amministrazione sanitaria, in relazione a pregresse condotte delittuose successivamente sfociate in una sentenza di patteggiamento (ex art. 444 c.p.p.) divenuta poi irrevocabile con la quale lo stesso, veniva condannato alla pena di un anno di reclusione per alcuni reati contro la P.A.

Nello specifico, la Procura contabile piemontese, richiama le considerazioni espresse nella sentenza dal giudice penale, dalla quale nella prospettazione dei fatti si evinceva la sussistenza: 

-di accordi relativi alla preparazione di alcune procedure concorsuali finalizzate «a favorire tre candidati anticipando loro i contenuti delle prove che si sarebbero svolte e così violando i doveri di imparzialità… “;

-di attività con cui veniva attestata falsamente la presenza dei requisiti in capo ad un operatore economico “per la partecipazione e l’aggiudicazione dell’appalto, inducendo poi di conseguenza in errore l’amministrazione che approvava con deliberazione e così aggiudicava la gara alla … offerente che avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per mancanza di un allegato».

Il primo dei reati contestati concerne l’abuso d’ufficio (ex art. 323 c.p) con particolare riferimento naturalmente ai concorsi “pilotati”, essendo stati violati i doveri scolpiti nei principi imparzialità e buon andamento ai sensi dell’art. 97 Cost., (i quali ex lege debbono governare l’agere dell’amministrazione pubblica) ed essendosi procurato un profitto in capo al personale assunto nonchè un ingiusto vantaggio di natura patrimoniale. Il secondo reato verte sulla turbata libertà degli incanti (ex art, 353 c.p.) in relazione al fatto che la condotta portata a termine, è risultata indirizzata ad alterare il regolare svolgimento di una gara per l’affidamento di un appalto pubblico, nel presupposto a questo collegato, che il reato di falso (ex art. 479 c.p.) si è configurato quale reato-mezzo per la commissione dei reati contro la P.A.

La quantificazione del danno all’immagine nella ricostruzione della Procura contabile.

Le premesse evidenziate, sono fondamentali per cogliere l’importanza del rimando effettuato dalla Corte dei Conti alla sentenza di condanna del giudice penale: esse infatti fungono come base di partenza, per la comprensione delle ragioni argomentative che hanno spinto i giudici contabili piemontesi a condannare il soggetto anche sul versante della responsabilità amministrativa per danno all’immagine della P.A.

In particolare, nella prospettazione del collegio, le ricadute della precedente condotta delittuosa sotto il profilo contabile, vedono quantificare il danno all’immagine in base ai seguenti parametri: a) la gravità degli illeciti commessi; b) il ruolo chiave e determinante dal dipendente pubblico nella struttura amministrativa; c) l’eco del clamor fori originato dalla carta stampata pubblicata in relazione ai fatti oggetto di condanna.

Le contestazioni difensive da parte dei legali del reo erariale 

I legali del reo erariale in relazione alla contestazione sollevata giudici contabili, impostano in maniera articolata le loro ragioni difensive sui seguenti presupposti: 1) l’insussistenza di un pregiudizio qualificabile come danno all’immagine della P.A., poiché l’interessato non avrebbe percepito somme di denaro né altre utilità per i fatti oggetto della sentenza di condanna(escludendo l’ipotesi di danno da tangente); 2)l’azienda ospedaliera di fatto, non avrebbe mai lamentato alcun danno e non si sarebbe costituita parte civile nel procedimento penale; 3) l’inefficacia della sentenza penale pronunciata, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., di giudicato nel giudizio di responsabilità amministrativa, in relazione al disposto dell’art. 445 comma 1 bis c.p.p., potendo solo assumere nei giudizi risarcitori valore probatorio strettamente in ordine ai soli fatti contestati all’imputato, dovendo la gravità dei fatti essere valutata autonomamente; 4) la quantificazione del danno, mancando i presupposti ed evidenziando caso mai la compensatio lucri cum damno ed in particolare i significativi vantaggi conseguiti dall’azienda sanitaria a seguito dell’attività svolta dal reo.

Il percorso argomentativo seguito dalla Corte dei Conti. 

-Il principio della risarcibilità del danno da lesione dell’immagine dell’amministrazione pubblica

Il collegio giudicante premette come sia consolidato il principio della risarcibilità del danno da lesione del diritto d’immagine della P.A. Richiamando le osservazioni poste dalla Consulta, ricorda che esso tende a manifestarsi ogni qualvolta “vi sia un’alterazione del prestigio e della personalità della P.A., a seguito di un comportamento tenuto in violazione dell’art. 97 Cost. ossia in dispregio delle funzioni e delle responsabilità dei funzionari pubblici”[1]. Il danno all’immagine, sintomatico di una condotta illecita del dipendente pubblico, produce una lesione del bene giuridico avente ad oggetto il buon andamento dell’amministrazione pubblica con evidenti ricadute dall’esterno sulla credibilità delle istituzioni amministrative e di chi vi lavora «ingenerandosi la convinzione che tale comportamento patologico sia una caratteristica usuale dell’attività dell’Ente pubblico”.

-Lineamenti e coordinate del danno all’immagine nella pubblica amministrazione.

Ciò posto, la Corte dei Conti passa in rassegna a tratteggiare con attenzione i profili strutturali del danno all’immagine il quale, nelle argomentazioni dei giudici contabili, deve imprescindibilmente possedere determinate caratteristiche. Più esattamente esso:

a) si configura come danno avente natura prevalentemente risarcitoria–recuperatoria (come è tipico della responsabilità amministrativa), “trattandosi della lesione di un interesse appartenente alla P.A. e meritevole di tutela anche sotto l’aspetto patrimoniale»[2]. Inoltre, per quanto concerne la sua collocazione dogmatica sulla scia dell’evoluzione giurisprudenziale contabile e costituzionale “va ricondotto alla categoria del danno non patrimoniale[3];  

b) va sempre provato nella sua effettiva sussistenza, quantunque  non sia necessaria la dimostrazione della spesa sostenuta per il ripristino dell’immagine violata né la verificazione di una deminutio patrimonii della P.A. danneggiata, dal momento che “la risarcibilità di un simile pregiudizio non può rapportarsi, per la sua intrinseca lesione… al ristoro della spesa che abbia inciso sul bilancio dell’Ente, ma deve essere vista come lesione ideale, con valore da determinarsi secondo l’apprezzamento del Giudice, ai sensi dell’articolo 1226 c.c.”[4]; 

c) a livello effettuale opera su un duplice piano esterno e interno: all’esterno (per la diminuita considerazione nell’opinione pubblica o in quei settori in cui l’Amministrazione danneggiata principalmente opera) e all’interno (per l’incidenza negativa sull’agire delle persone fisiche che compongono i propri organi); 

d) non è necessariamente indispensabile la presenza dell’eco mediatico da c.d. clamor fori (e cioè la divulgazione della notizia del fatto tramite mezzo della stampa o a seguito di pubblico dibattimento), “potendo questo essere rappresentato anche dalla divulgazione all’interno dell’Amministrazione e dal coinvolgimento di soggetti ad essa estranei, senza alcuna diffusione nei mass media”[5].

-L’esercizio dell’azione processuale: la richiesta di patteggiamento contiene già un accertamento implicito della responsabilità del reo.

La corte evidenzia che le Procure contabili esercitano l’azione per il risarcimento del danno da lesione all’immagine, tassativamente nei casi previsti dall’articolo 7 della legge n. 97/2001, e cioè in relazione all’avvenuto accertamento in via definitiva con sentenza irrevocabile di condanna, della responsabilità per delitti contro la P.A. previsti nel capo I – titolo II del secondo libro del Codice Penale. 

Il collegio giudicante, richiamandosi a un precedente orientamento (Corte dei Conti, sez. I App., sentenza n. 353/2018), precisa che la pronunzia che accoglie la richiesta di patteggiamento (in relazione a reati in precedenza commessi e cioè abuso d’ufficio e turbata libertà degli incanti, posti in essere anche tramite il reato di falso, ex art. 479 c.p. (in concorso con altri soggetti e anche con reato continuato), “contiene in sé un accertamento implicito della responsabilità dell’imputato, posto che il Giudice, che può accogliere o rifiutare tale richiesta, ha comunque l’obbligo preventivo di escludere di essere in presenza di un’ipotesi di proscioglimento[6]. 

Aggiungono i giudici che secondo la giurisprudenza contabile (Corte dei Conti, sez giur. Piemonte, sentenza n. 216/2021), “la sentenza di patteggiamento, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato dal Giudice per sostenere la colpevolezza, in altro giudizio, laddove la parte convenuta non sia stata in grado di dedurre elementi univoci ed inoppugnabili a propria discolpa[7]. 

Dalla ricostruzione probatoria emersa nel giudizio penale ed acquisita agli atti del giudizio contabile, il collegio sottolinea innanzitutto come la difesa non sia riuscita a fornire elementi utili e necessari per una chiave di lettura alternativa e utilmente necessaria a smentire i presupposti del quadro accusatorio formatosi in sede penale.  

Tutto questo, ha avuto inevitabilmente ripercussioni sul danno all’immagine dovuto alla condotta illecita di colui che ha agito all’interno di un rapporto di servizio con l’amministrazione pubblica, specie a maggior ragione nelle ipotesi in cui come in questo caso ricopriva posizioni di vertice nell’azienda ospedaliera.  Elementi peraltro, significativamente determinanti, per l’esatta sussistenza del grave danno all’immagine correlato sotto il profilo soggettivo al dolo già evidenziato in sede penale.  Per i giudici contabili dunque, palesandosi nel caso di specie la sussistenza del danno all’immagine “si ritiene che sussistano tutti elementi costitutivi della responsabilità per il danno in questione arrecato alle amministrazioni pubbliche coinvolte dalle condotte delittuose poste in essere dal convenuto”.

Al collegjo rimane infine da calcolare il danno in termini monetari. Più precisamente secondo la Corte dei Conti, la vicenda in questione (in relazione alla gravità dei fatti commessi, alla rilevanza della posizione di vertice del convenuto, alla diffusione dell’immagine negativa pubblica, alla continuazione dei reati e tenendo conto altresì del concorso di altri soggetti nelle condotte delittuose), va quantificata secondo una valutazione congrua ed equitativa ex art. 1226 c.c. per un importo pari a 100.000 euro.


[1] Corte Cost., sentenza 15 dicembre 2010 n. 355.

[2]Cfr. Corte dei conti, sez. II App., sentenza n. 178/2020 e sez. giur. Veneto, sentenza n. 65/2020. Sulla stessa direzione si veda anche Corte Cost., 9 gennaio 2020, sentenza n. 61

[3]Cfr. Corte dei conti, SS.RR., sentenza n. 10/2003 e Cass. civ., SS.UU., sentenza n. 12920/2007.

[4] Così Corte dei conti, SS.RR., n. 10/QM/2003.

[5] Corte dei conti, sez. II App., sentenze nn. 183/2020. Meno recenti sentenze n. 271/2017 e n. 662/2011.

[6] Dello stesso tenore anche nn. 228/2021 e 1/2018.


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