… e trasmettiamo noi stessi al mondo che ci circonda, si deve iniziare ad esaltare la diversità, in ogni sua manifestazione. Siamo tutti umanamente un po’ incapaci in alcuni ambiti e capaci in altri, tutti diversamente in grado di … o non in grado di …Un po’ deboli, malaticci, e un po’ forti.
Io so scrivere, tu sai parlare; tu cammini con le gambe, io con le ruote; tu sai parlare in pubblico, io so nuotare; tu sai cucinare la fonduta, io so ricamare…Tu balbetti e io russo…Tu ti commuovi, io mi annoio…Ma certamente quella carenza o quella stampella in più non può rappresentare o identificare il tutto: noi stessi, la nostra identità, il passato, presente ma è semmai volta a valorizzarla e a permettere una qualità di vita migliore. Indipendentemente da un certificato di invalidità o di demenza. Chi sa camminare a due gambe e chi a quattro. Chi indossa un occhiale e chi un apparecchio acustico; chi girovaga con il bastone e chi ha necessità di avere un by pass al cuore.
Conta esserci, vivere, contarsi e contare. Senza pietà, pietismi o mostre di pittura per ricamare sull’operatore e non sull’artista. La persona è tale, sia se matta, sia se….è unica in quanto: è e la sua esperienza di vita è preziosa, è un esempio, una opportunità e non una partita persa ma una gara da giocare. No alle leggi speciali, no ai lager senza barriere architettoniche; sì al convivere, al confrontarsi, a guardarsi negli occhi e non sull’arto che non c’è più... o su quella protesi chiamata carrozzina o deambulatore o …
Ecco il nuovo umanesimo che ci appartiene. Un umanesimo ovvio, antico, ma non ancora sottinteso. Ed ognuno di noi - giuristi e non, assistenti sociali o professori, postini o educatori, cuochi o vagabondi - può essere portatore sano (Certosa).