Cultura, società  -  Nicola Enrichens  -  22/07/2024

Sulla proposta di revisione costituzionale e in merito all’introduzione del “premierato”

Accade sovente, di questi tempi, che alcune forze politiche ritengano essenziale virare a destra per modificare quella parte della Costituzione che consente alla popolazione di eleggere i propri rappresentanti al Parlamento, i quali, all’esito del voto, sceglieranno il Presidente del Consiglio.

Questo procedimento, che ha contraddistinto buona parte della seconda metà del novecento politico italiano, è oggi messo in discussione, in una prospettiva di riforma che porterebbe, sostanzialmente, all’elezione “diretta” del Presidente del Consiglio.

Ora, è significativo il fatto che anche una parte della politica moderata e cattolica sembri “appoggiare” la riforma: inspiegabilmente, il medesimo sentimento scorre anche tra le forze politiche di centro, perché la Costituzione Italiana fu, sostanzialmente, un compromesso tra le forze cattoliche e le forze di sinistra.

Inoltre, la generazione che, ai tempi della precedente proposta di modifica costituzionale, “scese in campo contro Renzi”, ha varcato i 75 – 80 anni, ed è evidente che le persone maggiormente rappresentative di tale generazione hanno, oggi, meno “capacità di contraddittorio” verso quei “ceti” che, oggi, proteggono il potere esecutivo. Per contro, non è ancora chiaro se le “nuove generazioni” abbiano scelto di seguire, efficacemente, gli insegnamenti dei “più anziani”, sia perché la “rivoluzione telematica” ha creato un grande divario generazionale, aumentando, e di molto, le asimmetrie informative, sia perché la voce mediatica che influenza quella che un tempo si chiamava “cultura di massa” è di nuovo “controllata” dal potere politico.

Personalmente, ritengo che la prima ragione per cui la forma costituzionale Italiana non debba essere modificata risiede nel fatto che l’Italia è un Repubblica Giovane.

Un esempio può ravvisarsi nell’attuazione e nell’efficacia del diritto regionale, che ha avuto piena attuazione soltanto dal 1971 e, tra l’altro, in riferimento all’operatività del titolo V, vi è ancora ampio dibattito. 

In secondo luogo, si pensi a quanto non è ancora stato effettivamente attuato in tema di tutela dei diritti inviolabili della persona, di protezione delle minoranze linguistiche, di preservazione del Servizio Sanitario Nazionale, di sorveglianza sul diritto allo studio e alla ricerca.

E’ facile, tuttavia, ricadere in ovvietà, soprattutto da parte di chi scrive, perché la Costituzione Italiana è la “Carta dei diritti (e dei doveri)”, che tutela ciascun cittadino: sul lavoro, a scuola, negli ospedali, nell’ambiente. 

Tali principi generali che, apparentemente, non possono essere modificati, avranno tuttavia diversa valutazione nel caso in cui la riforma di revisione costituzionale vada “in porto”.

Perchè?

Punto primo. Un solo capo di Stato ha svelato, in passato, derive autoritarie.

Punto secondo. I “ribaltoni” hanno comunque garantito un lungo periodo di pace, oltre ad un costruttivo interesse della popolazione nell’attività politica (ad esempio, le difficoltà incontrate dal più volte criticato “pentapartito” lasciavano in ogni caso spazio anche alla voce delle rappresentanze politiche minoritarie e, anzi, più “piccole”).

Punto terzo (legato al punto secondo). Le minoranze avrebbero sempre meno rappresentanza: più nel dettaglio, la riforma potrebbe portare ad un forte bipolarismo tra destre e sinistre, ma l’Italia, già per il solo fatto di avere una Costituzione e un Codice Civile, non è un Paese di common - law.

Punto quarto. Il Parlamento si indebolirebbe molto (si pensi ad esempio, ad un’eventuale possibile deliberazione autoritativa dello Stato di Guerra, che è oggi preclusiva azione del Parlamento).

La questione non è dunque soltanto ideologica, ma anche operativa.

Per queste succinte motivazioni ritengo che la proposta di riforma di revisione costituzionale potrebbe costituire un danno difficilmente riparabile.




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