Mistificavi le geometrie
sovrastrutturali
del tuo vivere in società.
Mi cibavi
fino a saziarti
della mia carne
tra le gementi
caverne
della tua carne,
fino a saziarmi
il grezzo pezzo della mia nudità.
Scalàti alacri i giorni
di distanze
tra i rimbombi nelle notti
insonni insieme,
sulla vetta delle voci
al telefono, anonimi e risaputi,
e dolci si facevano
le attese
e ruspanti le righe
tra le pieghe della carne,
sugli occhi.
Poi l’abbraccio,
l’eremitica fuga insieme,
scalando monti,
carezzando la conoscenza
di due vite
già in punto e croce,
sulla carne che è risorta
allo spirito.
In piedi. Lo spirito risponde
il suo “presente”
tra le ruvide pareti,
oltre le soffici lenzuola
sgretolate, ovattandoci
sopra la voglia e le bestialità
dolci.
“Presente”. Riecheggia
lo spirito.
Eppure il tuo peccato volontario
non s’espia sul freddo legno
d’una chiesa
o della tua casa solitaria
tra i libri.
Non ti bastava una vita,
a ungerti di grazia,
magari.
Eppur t’è risorta la notte
attraversando i chiaroscuri
del mio corpo eretto
sull’arrembaggio di un battito
di cuore,
che non ha tirato l’àncora
al di qua delle tue colonne d’Ercole,
andandovi
al di là;
in questo dove ove siamo
qui e adesso.
Mentre tu dormi e io
con la lieve luce, testimone,
che filtra dai monti
alla finestra fuggiasca,
vedo la morbidezza
dei tuoi piedi
tra le rosee dita delicate,
a due passi dal tuo respiro,
a tre attimi dal nostro
crogiuolo di odori assopiti
dopo l’espressione del sospiro. Cavalco.
Ad un attimo d’un palmo
fra i tuoi sospiri. Cingo d’indelebili
passi nudi la tua carne,
presidio sorridendo
il tuo dolore, trapassato. Cavalco
ovattando
questa nostra biunivoca
rivoluzione;
che travaglia partorendo
reciprocità possenti. E beate.
Ad unghie dolci
sul nostro dirci. A carezze
nel nostro farci. Mai più a metà.
Carezze infrante
sgorgate,
carnefici sul cranio del tedio.
E il cuore sospinge la carne,
dopo che la carne
ha sussultato sussurri sul cuore.
E già ti graffio con amore. Cavalco.
Il mio tatto addosso
ai tuoi gemiti, e cavalco,
il mio polpastrello
si è connesso
sui rami carsici del tuo
piacere, bagnandolo di nuovo,
ma di un nuovo cambiamento.
Chiamandomi a redimerci
in un non so che,
la vita.
Respira. Oltre il gemito
in questo attimo. Cavalcherò.
Ché fra poco ti sveglierai.
Ma io sarò qui. Non me ne vado.
E sarò lì, tra i tuoi libri
oltre i tuoi ludìbri.
Ibridamente inediti,
edificando un nuovo tatto
sulle cose dell’esistere.
Tra le ramificazioni tacite
della luna,
ritroveremo tutte le pieghe
agli occhi,
nelle nott’insonni
che verranno. E poi il sole.
Promettimi raggi inediti
a scaldarci.
Innamoranda dolcezza
dalle dita cucciolose,
che dorme. Carne risorta.
Lo spirito, oltre il peccato,
risorgerà.
Scritta a Tivoli sabato 1° febbraio 2025
Limata alle ore 3.30 di martedì 4 febbraio 2025 a Roma
La settima strofa è scritta il 7 febbraio 2025 a Roma, insieme ad ultimissime limature
Luigi Trisolino