La medicina narrativa prende corpo e si esercita in primo luogo nella relazione terapeutica fra medico e paziente, attraverso una raccolta anamnestica e formulazione del progetto terapeutico finalizzati alla costruzione di una buona storia di malattia e una condivisa storia di guarigione, e in secondo luogo in pratiche narrative di scrittura autobiografica -sia a opera dei pazienti che dei medici stessi- le quali affiancano, integrandola, la relazione terapeutica, con il racconto rispettivamente della propria esperienza di malattia e dei propri vissuti nella pratica terapeutica e nell"incontro con i pazienti.
Come sostenuto dalla Consensus Conference del 2014 promossa dall"istituto Superiore di Sanità e dall"Istituto Nazionale Malattie Rare, le linee di indirizzo per l"utilizzo della medicina narrativa fanno riferimento alla narrazione come strumento fondamentale per avvicinarsi all"evento-malattia, per accogliere la storia della malattia e attraverso la costruzione di una trama alternativa di racconto dell"esperienza del paziente realizzare un percorso di cura efficace, appropriato al singolo caso in questione e soprattutto condiviso fra medico e paziente.
In una panoramica sia pur sintetica sullo stato dell"arte della medicina narrativa oggi è importante accennare però a due aspetti fondamentali per comprenderne limiti estrinseci e potenzialità intrinseche.
Il primo aspetto si riferisce agli ostacoli attuali che si frappongono a un approccio narrativo alla medicina. Un problema preliminare riguarda le ideologie radicate che assolutizzano paradigmi terapeutici rigidamente biomedici, compresa la credenza empirista che la guarigione del paziente sia una pura modificazione meccanica e passiva della sua patologia, a cui si connette indirettamente la sensazione di un dispendio eccessivo e improprio di tempo da parte del medico nell"assumere un atteggiamento di maggiore ascolto e attenzione alle storie di malattia. Seguono a ruota i timori di incorrere in sindromi di burn out da parte dell"operatore sanitario, cioè di essere risucchiati nelle emozioni del compito di cura della sofferenza altrui, con perdita della propria identità professionale, stress e disgregazione psicofisica. Ma non vanno trascurati anche l"assetto istituzionale e l"organizzazione attuale del sistema sanitario, se pensiamo alla potenza costrittiva delle istituzioni con le loro implicazioni ideologiche e di potere, che nel caso specifico tendono ad appiattire il ruolo medico su un piano esclusivamente funzionale e distaccato, con minimo dispendio di tempo, depersonalizzando il paziente, come avviene in generale nel caso delle istituzioni totali descritte acutamente da studiosi come Goffman e Foucault.
Viceversa i benefici che una più ampia diffusione dell"approccio narrativo in medicina potrebbero arrecare sono sintetizzabili nella formula secondo cui una maggiore umanità e attenzione alla dimensione narrativa e relazionale significa anche un incremento di efficienza terapeutica, con tutti i vantaggi per i singoli soggetti coinvolti, sia pazienti sia medici stessi, e anche sul piano sistemico.
Ecco quali sono nel dettaglio. Una comprensione del vissuto di malattia della persona malata attraverso la sollecitazione e messa in forma del suo racconto garantisce innanzitutto una diagnosi più completa ed efficace, capace di rispecchiare la complessità e peculiarità secondo cui la patologia si configura per quella singola persona. In secondo luogo viene favorita una migliore alleanza terapeutica, quindi prescrizioni più adatte al paziente e alla sua forma mentis e una sua maggiore aderenza al trattamento. Contemporaneamente avviene un miglioramento soggettivo sul piano emozionale, sia del paziente, sia dei suoi familiari, sia anche degli stessi operatori sanitari. Inoltre nelle patologie croniche e degenerative associate a disabilità si mostra con particolare evidenza il beneficio derivante dal coinvolgimento del malato e della sua famiglia attraverso i racconti dell"esperienza di malattia, importante preliminare per attuare un efficace percorso di cura che garantisca fiducia e continuità delle relazione con il medico nel corso del tempo. Infine, su un piano più specificamente psicosomatico, esistono chiare evidenze empiriche di una significativa attivazione di neurotrasmettitori portatori di benefici per l"umore, di un incremento dell"effetto degli antidolorifici e, last but not least, di un rafforzamento del sistema immunitario grazie alle pratiche di scrittura autobiografica dell"esperienza di malattia.
Si può evincere come tutto ciò consenta non solo di attuare percorsi terapeutici più mirati e personalizzati, ma in prospettiva, a fronte di un tempo relativamente maggiore dedicato ai primi incontri con il paziente, anche una riduzione delle successive richieste e visite, con il risultato di un corrispettivo contenimento dei costi complessivi per il sistema sanitario.
Per concludere, sottolineiamo alcune delle principali strategie che concorrono alla pratica di una medicina narrativa in accordo con i presupposti descritti in precedenza, e che chiamano in causa il versante formativo dei medici.
Risulta centrale un adeguato addestramento e aggiornamento professionale per i medici, con l"acquisizione di procedure di gestione della relazioni interpersonali e delle proprie reazioni nella relazione di cura, di prevenzione dei rischi di un coinvolgimento improprio e dannoso sul piano emozionale -che non significa certo freddezza nei confronti del paziente- e di ascolto, di capacità di favorire il dialogo, tutti fattori da far confluire in un apprendimento esperienziale.
Ma, allargando la visione al contesto, appare altrettanto importante come precondizione la promozione di una cultura diversa, olistica, in cui il corpo assuma lo statuto di corpo vivente, quel Leib riconosciuto dalla filosofia fenomenologica, piuttosto che un assemblaggio meccanico di organi, oggetto passivo e inerte di cure. Accanto a questa visione appare indispensabile incorporare nella pratica medica un approccio più orientato all"ascolto delle possibilità espressive e di racconto del paziente, e di conseguenza un"apertura al valore delle cosiddette medical humanities, gli insegnamenti umanistici in ambito medico, con l"utilizzo di strumenti come film e opere d"arte visiva, pratiche di scrittura autobiografica, da condividere come parte integrante e indispensabile della formazione universitaria e dell"aggiornamento dei medici. Soprattutto diventa cruciale che questi insegnamenti ricevano un adeguato valore da parte delle istituzioni e del corpo docente, come momenti formativi imprescindibili piuttosto che come semplici optional aggiuntivi. Si tratta, è evidente, di processi coinvolgenti molti fattori contestuali e sistemici, sociali e culturali necessariamente lunghi e non privi di difficoltà, ma fanno ben sperare i segnali diffusi di una crescente sensibilità accademica, nel mondo medico anglosassone e in parte anche in quello italiano, sia pure in misura molto più limitata e sporadica.
Si può dire, riassumendo, che la promozione di un approccio narrativo in medicina si traduce, nel suo nucleo di fondo, nella coltivazione di una cura della cura, che implica una costante riflessione sui processi terapeutici, su ciò che li determina, che li caratterizza, che li rende migliori in qualità e li dota di un senso condiviso, che alimenti e orienti la pratica del racconto di sé da parte del paziente ma anche del medico e il suo contraltare, un adeguato ascolto interpersonale e intrapersonale.
Il che implica a sua volta il recupero e il rilancio in un contesto attuale dell"antica figura del medico come filosofo, in qualche modo assimilato a un sapere divino, secondo la definizione ippocratica che recita "Iatros philosophos isotheos". Una figura capace di rendere l"incontro col paziente un circolo virtuoso di conoscenza e arricchimento fra saperi ed emozioni messi in gioco nei racconti che intercorrono nella relazione, per attraversare i ruoli funzionali assumendosi una piena responsabilità anche umana dell"agire medico, secondo scienza e coscienza.