Letteratura  -  Pant√® Maria Rosa  -  26/06/2011

CHI È IL MOSTRO? – Maria Rosa PANTÉ

La donna, che osserva intenta il ritrattino, è avvenente: ha un naso importante, ma una bocca piccola e carnosa, gote morbide e occhi scuri, vividi, scrutatori. Particolarmente scrutatori ora, mentre cerca di carpire più informazioni possibili dal volto che si trova di fronte.
L’imponente Duca Vincenzo Gonzaga l’avvicina con piglio al tempo stesso galante e autoritario. È il potente principe di Mantova, ma, al tempo stesso, la sua vocazione fondamentale è essere un amante delle cose belle, delle donne belle, anzi di quasi tutte le donne. Anticipando il mito di don Giovanni, il Duca le trova tutte affascinanti forse per quel tanto di mistero, di diverso che ciascuna cela, per il fatto stesso d’essere d’un sesso diverso. Questa attrazione per il mistero porta il Duca ad alcune forme un po’ morbose, che però condivide con molti signori della sua epoca, è questo istinto che lo ha spinto a chiamare quella donna per dipingere il ritratto della fanciulla immortalata nella miniatura.
“Signor Duca, non mi piace fare ritratti da ritratti, non è proprio possibile incontrare la bambina, la fanciulla, per dipingerla dal vivo?”
Il Duca sorride, nemmeno a lui è stato possibile avvicinare la bimba, la pittrice non può certo pretendere più d’un duca! Sorride e non risponde direttamente alla domanda; anzi chiede alla donna con sfida se vuol rinunciare, se non si sente abbastanza brava.
La bella donna alza su di lui uno sguardo placido e sicuro, lo sguardo di chi non raccoglie alcuna sfida, se non quella dell’arte. “Duca, in questo caso verrà come verrà. Ma io dipingerò come meglio so, ve lo prometto”.
Fu così che la pittrice bolognese Lavinia Fontana accettò di dipingere il quadro tratto dalla miniatura.
Lavinia poteva affrontare qualunque difficoltà tranquillamente perché era una donna fortunata; fatto raro alla fine del 1500, l’epoca in cui vive e lavora. È una famosa ritrattista, ha circa 40 anni e ormai tutti la conoscono. Il padre, pittore, ha creduto in lei e le ha insegnato il “mestiere”, si è poi sposata ad un valente pittore che la ama e soprattutto la ammira e la incoraggia senza alcuna gelosia… ha dei bei figli che crescono sani e soprattutto ha la sua pittura. Se Lavinia non teme il Duca è per il fatto che ovunque cercano le sue opere persino il Papa vuol farsi ritrarre da lei. Lavinia è tentata di dire di no a quell’arrogante che crede di sfidarla e di sedurla, ma il volto nella miniatura la chiama insistente, come se la implorasse d’essere lei e solo lei a violarne l’intimità, il segreto. Lei, una donna.

Lavinia, Lavinia quanti occhi
puntati su di me a scrutarmi.
Assediata dai cortigiani,
ora anche il ritratto percorre
l’Europa. Non cercarmi,
Lavinia, troppi m’incalzano.
Bambina già fui troppo esposta
alla curiosità morbosa,
e all’umiliazione di sguardi
pietosi, di occhi che si volgono
forse sgustati forse sollevati
d’una quieta normalità.
Ma più m’offende chi mi compatisce,
Lavinia non cercarmi
dipingi tu il mio volto
curioso, fallo con rispetto:
come una madre con la sua bambina.

Gli artisti sono strani, anche quelli come Lavinia che paiono fortunati e felici, lontani da fastidiose angosce o problemi; a Lavinia pare che quel ritratto abbia voluto parlarle, dettarle delle condizioni, quella bambina ha voluto proprio lei e le ha affidato una missione, molto più importante di quella del Duca che continua a parlare insinuante.
Interrompendolo bruscamente, Lavinia ribadisce che accetta, andrà contro le sue regole e le sue abitudini, ma lo farà, come ha già detto, meglio che potrà.
Con un piccolo inchino Lavinia esce, lascia Mantova andrà a Bologna, alla sua casa dove lavora più tranquilla. Il Duca è contento. Alle bizze degli artisti è abituato e ora, impaziente aspetta il suo ennesimo quadro.
Durante il viaggio che la riporta a casa, la pittrice spesso osserva il piccolo ritratto avvolto con cura in un panno scuro. Lavinia si ripromette di scegliere in seguito un stoffa più vivace, il tocco funebre di quel nero la disturba: il volto della bimba nel ritratto le appare via via così dolce e indifeso, così intimamente triste che sente di doverla proteggere. Ma da chi? E perché?
Assorta in questi confusi sentimenti, Lavinia giunge a casa e riabbraccia i figli; si sofferma soprattutto a carezzare la dolce gota della figlioletta, così vicina per età alla bimba del ritratto, così lontana nello sguardo più infantile, spensierato. Lavinia è soddisfatta, la figlia ha lo sguardo d’una bambina, Antonietta, invece…

Antonietta gioia del padre,
della madre: Antonietta volto
inconcepibile. Antonietta volto
bizzarro, nessuno sguardo
si ritrae dalla mia gota
di bambina; ma la mano
esita a toccarmi: estranee
mi sono le carezze,
i sollazzi dei fanciulli.
Sono Antonietta, Lavinia dipingimi
senza spensieratezza. Gli occhi,
Lavinia, guarda al fondo
le iridi intricate e dipingi.

Lavinia sa che la bambina vive a Parma, presso la Duchessa; Antonietta ha un padre, una madre e dei fratelli; la pittrice sa che i figli assomigliano al padre, Pedro, homo irsutus.
Ha visto il ritratto anche del padre, ne ha provato una certa ripugnanza. Aveva pensato che anche Antonietta l’allontanasse, invece quel viso, ancor più innaturale, aveva suscitato in lei un moto di simpatia: forse per la mano paffuta e l’abitino sontuoso. Lavinia è abituata a ritrarre chiunque, è avvezza a ritrarre e studiare ogni bizzarria della natura: animali simili a uomini, uomini con fattezze d’animali, piante esotiche, nani, esseri deformi; animali e uomini venuti da lontano come quel Pedro giunto dalle isole dei Caraibi.
Ma chi, perché l’ha sposato e con quale coraggio ha messo al mondo dei figli? Si chiede Lavinia. Antonietta sarà mai felice? Lavinia scruta il ritratto, vorrebbe udire la voce della bambina che le parla, come avviene da quando ha deciso di farle il ritratto; però tutto è silenzio.
Lavinia ripone la miniatura, domani inizierà il suo lavoro.

Uno scherzo di natura,
Lavinia, è pur vivo; uno scherzo
di natura è pur pensante
e sente, ahi, quanto,
quanto acutamente
che la natura, la vita con lui,
proprio con lui, hanno giocato
secondo regole nuove, diverse.
Hanno barato, ingannato, aggirato
regole, straripato oltre ogni legge,
stracciato ogni norma.
Io, felice? Lavinia
non indagare l’animo del mostro
potresti scoprire, stupita,
che quell’animo è come il tuo!

Al mattino, Lavinia, com’è consuetudine quando inizia una nuova opera, si leva molto presto, attenta a non svegliare il marito: preferisce che all’origine d’un ritratto ci sia silenzio dentro e fuori di lei.
Naturalmente non sempre ciò è possibile. Pensa con stizza a quando deve fare il ritratto a personaggi importanti: non hanno mai tempo, nessuna pazienza, bisogna ritrarli quasi inseguendoli! Col papa è stata una impresa epica, ma anche con nobildonne di minor rilevanza, però di non minor arroganza.
Invece, quando i soggetti sono più umili, o quando decide di ritrarre se stessa comincia prestissimo, appena si fa un poco di luce nel suo studio che s’affaccia su una piazza luminosa attraverso una grande finestra.
Suo marito ha uno studio nel centro di Bologna, lei no, in casa: è pur sempre una madre. Spesso deve interrompere il lavoro per badare alle esigenze dei bambini, alle richieste della fantesca o della cuoca. Per questo, ci deve essere silenzio all’origine d’una nuova impresa, giacché questo è per lei dipingere: esplorare ogni volta un paesaggio nuovo e affascinante,.
Questa mattina Lavinia è particolarmente impaziente, non sa se Antonietta sarà mai felice, come non lo sa di nessuna delle persone che ha ritratto, perfino di se stessa. Non le importa, ora è avvinta dalla gioia di dipingere, le gioie intense non sopportano che il dolore le sfiori e le macchi. Farà qualche schizzo, poi attaccherà la tela, sente il richiamo dirompente dei colori.
Sì, il Duca Vincenzo sarà accontentato, Lavinia sente che questo ritratto sarà tra quelli che la faranno famosa; sorride tra sé e sé perché sa che, quando lo dirà al marito e questi vorrà sapere perché proprio la bambina e non un altro, lei non saprà che rispondere e lui la prenderà amabilmente in giro. Per il marito Lavinia dipinge come il Mantenga o come i più grandi: lui infatti la ama.
Dopo qualche ora di lavoro, Lavinia ha già salutato i bambini, curiosi, come ogni volta che mamma sparisce per lunghe ore nella sala con le tele, il buon odore dei colori e le grandi finestre. Ora osserva il disegno, lo schizzo è potente, Lavinia è abbastanza soddisfatta, ma ancora sente che la bambina le sfugge: quella bambina non vuole essere guardata, quella bambina vorrebbe passare inosservata, quella bambina non vuol essere dipinta…
Il potente richiamo della pittura però vince sulle esitazioni di Lavinia, così giorno dopo giorno nel silenzio della voce interiore e della casa, anche la voce della bimba tace, la pittrice lavora, lavora. Non permette a nessuno, nemmeno al marito, di vedere la tela, nemmeno la miniatura: è una faccenda fra lei e la bambina, sempre sfuggente. Talvolta Lavinia si chiede perché non ha mai dipinto i suoi figli: per rispetto della loro innocenza, della loro intimità, perché è gelosa delle loro risate, dei volti accaldati dopo il gioco o degli occhi pieni di sonno poco prima del riposo notturno.
Ecco cosa chiede la bambina: questo riposo notturno innocente, senza la sensazione che mille occhi la squadrino, la scarnifichino fino nei recessi del pensiero, fino nelle ossa.
Ecco cosa deve fare Lavinia, finalmente l’ha capito: nel suo quadro la deformità della bambina, che attrae solo sguardi morbosi e crudeli, dovrà passare quasi inosservata; chiunque guardi quel ritratto alla fine sarà attratto inevitabilmente come una calamita dagli occhi. Finalmente Lavinia capisce che è giunta all’essenza della sua opera, ora potrà concluderla. Forse il Duca Vincenzo protesterà, poiché avrebbe voluto mostrare lo scherzo di natura: della bambina poco gli importa. Ma Lavinia ha deciso: osserva ancora una volta la miniatura, sente fisicamente lo sguardo della bambina, non ha bisogno di copiarlo dal ritrattino, quegli occhi, li ha dentro di sé.
Lavinia lavora ormai furiosamente, il marito capisce che sta per concludere il lavoro, conosce bene la moglie e sa che sarà un bel quadro, forse davvero bellissimo.
Finalmente, una mattina, Lavinia non s’alza prestissimo, indulge nel letto accanto al marito, attende che sia lui ad alzarsi e gli chiede di non uscire subito, di andare con lei nello studio: il quadro è pronto.
Lavinia e il marito sono davanti al ritratto, Lavinia trema un poco, attende con trepidazione il giudizi. In questo caso vuol sottoporre lui, e quindi se stessa, a una piccola prova. Gli lascia osservare il quadro con calma, lei intanto osserva il volto del marito. Ecco, appena visto il ritratto è trasalito, nessuno potrebbe rimanere indifferente davanti a quel volto.
Una bambina ricoperta di peli, finissimi peli da pettinare con gentilezza, le ricoprono le guance, la fronte incorniciano gli occhi, la bocca e non si distinguono dai capelli. Antonietta ha il volto irsuto del padre, d’un gatto, d’uno scoiattolo. Le labbra graziose, il mento, il naso ben proporzionati tutto sparisce in quel bosco di peli che la ricopre, che l’ha resa, suo malgrado, famosa, che la getta in pasto agli occhi di tutti compassionevoli e un poco disgustati: questa è la mostruosità di Antonietta.
Dunque Lavinia lascia che il marito trasalisca, che osservi tuttavia ancora e, dopo un tempo lunghissimo, gli chiede: “Cosa ti colpisce?”
Lavinia attende la risposta con una certa ansietà, da questo dipende se ha raggiunto il suo scopo, se il quadro è riuscito così come lei voleva.
Il marito, dopo un silenzio spesso, risponde: “Gli occhi”.
Lavinia felice lo abbraccia e lui continua ”Che occhi, Lavinia, sono occhi che raccolgono tutti gli sguardi del mondo, hanno guizzi d’allegrie e una infinita tristezza. Sembrano imperiosi, ma sono dolcissimi. Sono occhi indimenticabili, occhi che ti bucano, ti scrutano, non puoi sfuggire a questo sguardo. Cara Lavinia, sono occhi stupendi”.
Lavinia con orgoglio e gioia porta il quadro al Duca Vincenzo, il ritratto non d’un mostro da esposizione, ma d’una persona, una bambina da ammirare.

Dopo qualche tempo, Lavinia attende un segno, una risposta, a Bologna arriva una missiva del Duca in cui la si invita a Parma, Antonietta ha visto il quadro, ha riso contenta e ha chiesto di vedere Lavinia, vuole, se la sua signora, la Duchessa, e il suo signor padre sono d’accordo, un ritratto dal vivo.




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