1.La pronuncia che si commenta ha suscitato reazioni immediate nella popolazione locale, non proprio di segno positivo, in quanto ha ritenuto sussistere il concorso di colpa delle vittime del crollo di un palazzo verificatosi a L’Aquila la notte del 6 aprile 2009 a seguito del noto terremoto che ha colpito la città abruzzese e, quindi, ha proporzionalmente diminuito il risarcimento dei danni spettante agli attori ( i familiari delle persone decedute nel crollo ). Infatti, nel capoluogo abruzzese sono comparsi subito cartelli e striscioni con la scritta “ Le vittime non hanno colpa “ e anche il Consiglio Comunale di L’Aquila ha espresso solidarietà con la protesta : d’altra parte, era prevedibile che una decisione giudiziaria del tenore indicato suscitasse reazioni nella popolazione, così gravemente colpita dal terremoto del 2009 ( cfr. S. Monti, Terremoto e crollo di un palazzo : le vittime hanno colpa ?, in www.IlQuotidianoGiuridico.it, 10 novembre 2022 ).
In questa sede, ovviamente, ci si soffermerà sulla sentenza in esame dal punto di vista tecnico-giuridico, analizzando le motivazioni che hanno indotto il Giudice aquilano a ritenere configurabile, nel caso di specie, il concorso di colpa delle vittime, ai sensi dell’art.1227, 1° comma, c.c..
Va premesso che il Giudice monocratico del Tribunale di L’Aquila ha ravvisato la responsabilità dei due Ministeri convenuti ( Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Ministero dell’Interno ) nonché degli eredi del costruttore per l’evento de quo, rilevando che l’edificio crollato era stato costruito nel 1963, nella vigenza della L.1684/1962
( “Provvedimenti per l’edilizia, con particolari prescrizioni per le zone sismiche “) e del R.D.L. 2229/1939 ( “ Norme per la esecuzione delle opere in conglomerato cementizio semplice od armato “) : i due citati testi normativi devolvevano agli organi dei due Ministeri
( rispettivamente l’Ufficio del Genio Civile e la Prefettura ) “ compiti di controllo funzionali a garantire la sicurezza dell’edificio da costruire “ , compiti che nel caso specifico erano stati palesemente non osservati. Infatti, era evidente la “ negligenza del Genio Civile “, che aveva certificato erroneamente la conformità dei progetti e della connessa costruzione alla normativa antisismica, così come era evidente la negligenza della Prefettura per non avere rilevato gli errori commessi dal costruttore nella realizzazione delle strutture in cemento armato, “ errori di miscelazione, getto/ripresa e compattazione “, come si desumeva dal fatto che la licenza d’uso era poi stata emessa dalla stessa Prefettura.
Ritenuta, quindi, la responsabilità concorrente dei due Ministeri menzionati e degli eredi del costruttore, il Giudice ha invece escluso la corresponsabilità del Comune di L’Aquila, osservando che “ il controllo a detto ente demandato dalla disciplina prevede un controllo meramente formale circa l’esistenza delle autorizzazioni di competenza del Genio Civile e Prefettura “.
Tuttavia - questo è il punto della pronuncia che ha destato sconcerto e che è oggetto delle presenti considerazioni - la responsabilità dei due Ministeri e degli eredi del costruttore non è esclusiva, in quanto il Giudice reputa sussistente il concorso di colpa delle vittime, ai sensi dell’art.1227 comma 1 c.c., accogliendo l’eccezione avanzata dai Ministeri delle Infrastrutture e dell’Interno, nei termini che seguono : “ E’ infatti fondata l’eccezione di concorso di colpa delle vittime ai sensi dell’art.1227 I comma c.c., costituendo obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire - così privandosi della possibilità di allontanarsi immediatamente dall’edificio al verificarsi della scossa - nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile, concorso che, tenuto conto dell’affidamento che i soggetti poi defunti potevano riporre nella capacità dell’edificio di resistere al sisma per essere lo stesso in cemento armato e rimasto in piedi nel corso dello sciame sismico da mesi in atto, può stimarsi in misura del 30% ( art.1127 I co. c.c. ), con conseguente proporzionale riduzione del credito risarcitorio degli odierni attori “.
2. Sul concorso di colpa del danneggiato ex art.1227 comma 1 c.c. la giurisprudenza di legittimità ha enunciato il principio secondo cui “ stante la genericità dell’art.1227, c.1, c.c. sul punto, la colpa sussiste non solo in ipotesi di violazione da parte del creditore-danneggiato di un obbligo giuridico, ma anche nella violazione della norma comportamentale di diligenza, sotto il profilo della colpa generica “ : cosicchè “ ai fini dell’art.1227, c.1, c.c., sussiste il comportamento omissivo colposo del danneggiato ogni qual volta tale inerzia contraria a diligenza, a prescindere dalla violazione di un obbligo giuridico di attivarsi, abbia concorso a produrre l’evento lesivo in suo danno “
( Cass. sez. un. sentenza 24406/2011 ). Tuttavia, nel caso che ci occupa ben difficilmente può configurarsi una ‘colpa generica’ nella condotta delle vittime dell’evento dannoso, poiché
“ pare impossibile qualificare la condotta come negligente e colposa : essendo inconsapevoli dei difetti di costruzione, le vittime potevano ben confidare nella stabilità di un fabbricato che non solo era resistito alle precedenti scosse, ma, per quanto ne sapevano, era stato altresì realizzato in conformità alla normativa antisismica “ ( così S. Monti, op. cit. ).
In effetti, considerare una “condotta incauta” quella serbata dalle vittime dell’evento in questione, per essersi trattenute a dormire nel fabbricato nonostante si fossero già verificate due scosse nella serata precedente e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile 2009, appare una forzatura giuridica contraddetta dai dati di fatto, visto che lo stesso Giudice aquilano tiene conto “dell’affidamento che i soggetti poi defunti potevano riporre nella capacità dell’edificio di resistere al sisma per essere lo stesso in cemento armato e rimasto in piedi nel corso dello sciame sismico da mesi in atto”. Se l’affidamento delle vittime nella stabilità dell’edificio era incolpevole e dunque ragionevole, non si comprende perché e in base a quali parametri la loro condotta debba qualificarsi colposa ( cfr. anche, in questi termini, C. Maranzano, Il concorso di colpa delle vittime del terremoto, in www.StudioClaudioScognamiglio.it, 15 novembre 2022 : “ Sul punto, la decisione appare assai discutibile, sia perché - in difetto di una specifica indicazione, dell’Autorità di protezione civile competente, ad abbandonare le case a seguito delle prime scosse ed in particolare per la notte - non si può ritenere colposo il comportamento delle vittime, sia perché risulta contraddittorio sostenere che le vittime potevano ragionevolmente confidare sulla tenuta dell’edificio e che, al tempo stesso, sarebbero state tenute, secondo un canone di diligenza, a dormire fuori casa “ ).
In conclusione, il riconoscimento di un concorso di colpa delle vittime, in base al disposto dell’art.1227, 1° comma, c.c., nella fattispecie in esame non appare giustificato sul piano giuridico né su quello fattuale, non essendo dato capire, dalla motivazione della pronuncia, sulla scorta di quali criteri obiettivi la condotta delle vittime potesse qualificarsi come imprudente o negligente : piuttosto, ciò sembra conseguire ad un giudizio svolto impropriamente ex post anziché, come avrebbe dovuto essere, ex ante ( così, in maniera condivisibile, S. Monti, op. cit. : “ Ben lungi dall’essere condivisibile sotto il profilo tecnico-giuridico, la configurazione del concorso di colpa delle vittime ex art.1227, comma 1, c.c.
( peraltro, per una percentuale arbitraria ) sembra allora conseguire soltanto a un giudizio di diligenza effettuato impropriamente secondo un’ottica ex post, anziché ex ante “ ).
Allora la composta protesta dei familiari e della popolazione locale nei confronti di questo aspetto della sentenza in esame ( non privo di effetti pratici, vista la riduzione del risarcimento ) non era priva di giustificazione : si spera che questa incongruenza giuridica
( inedita, dato che non risultano altre pronunce per il medesimo evento di questo tenore ) possa essere corretta ed eliminata in sede di impugnazione.
Massimo Niro
( giurista, ex magistrato )
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