Separazione o divorzio in Comune: il divieto di patti di trasferimento patrimoniale tra autonomia delle parti e tutela del soggetto debole
Nota a Consiglio di Stato, 26 ottobre 2016, n. 4478
Andrea Falcone, Avvocato
SOMMARIO: 1. La massima. – 2. Il caso. – 3. La decisione: accolta la nozione ristretta del divieto di patti di trasferimento patrimoniale. – 4. Le perplessità dell"avvocatura più sensibile in ordine alla tutela del coniuge debole.
1. Il divieto dei "patti di trasferimento patrimoniale", previsto dalla disciplina della procedura "autogestita" e semplificata di separazione o divorzio avanti all"ufficiale dello stato civile, mira esclusivamente ad evitare che con gli accordi stipulati in seno a tale procedura, anche per i limitati poteri di verifica che l"ufficiale di stato civile può esercitare nell"ambito delle proprie competenze, possano realizzarsi una volta per tutte trasferimenti di beni (o di altri diritti) che, per la loro particolare rilevanza socio-economica, incidono irreversibilmente sul patrimonio dei coniugi e, in quanto tali, richiedono un controllo non solo formale – si pensi alle verifiche notarili o agli obblighi fiscali connessi alle compravendite di beni immobili – ma anche sostanziale sulla "equità" di tali condizioni, inteso a scongiurare una definitiva compromissione economica del coniuge più debole. Nell"area del divieto non rientrano e, pertanto, debbono ritenersi consentiti tra i coniugi nella predetta procedura semplificata accordi volti alla determinazione ovvero alla modifica dell"assegno di mantenimento o dell"assegno divorzile, con cui si preveda la corresponsione periodica di un contributo economico a carico di un coniuge in favore del coniuge più svantaggiato.
2. La decisione in commento interviene su uno degli aspetti sin da subito rivelatisi più controversi della nuova procedura di separazione personale tra i coniugi e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio avanti al sindaco, prevista nell"ambito delle "Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell"arretrato in materia di processo civile". Si tratta della disciplina che, come noto, ha introdotto, accanto allo strumento della convenzione di "negoziazione assistita" in materia familiare, una procedura semplificata che consente ai coniugi di percorrere, in alternativa alla tradizionale tutela giurisdizionale, una procedura semplificata, interamente "autogestita" dai coniugi che non abbiano figli minori, maggiorenni, incapaci, portatori di handicap grave oppure non economicamente autosufficienti. La procedura prevede che l"ufficiale dello stato civile riceva da ciascuna delle parti personalmente, con la presenza solo facoltativa di un avvocato, la dichiarazione che esse vogliono separarsi o vogliono far cessare gli effetti civili del matrimonio o ottenerne lo scioglimento secondo le condizioni tra di esse concordate. Il procedimento si esaurisce nella comparizione dei coniugi per due volte dinanzi all"ufficiale dello stato civile, una prima volta per fare le richieste dichiarazioni e una seconda volta per confermarle.
Oggetto del giudizio è, in particolare, la circolare con cui il Ministero dell"Interno ha dato indicazioni applicative della previsione di legge secondo cui "l"accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale", precludendo ai coniugi di avvalersi della procedura semplificata avanti all"ufficiale di stato civile quando il loro accordo contempli simili patti. In merito all"estensione della predetta ambigua previsione di divieto erano emerse due tesi: 1) una prima tesi restrittiva per la quale esso vieterebbe solo i trasferimenti di beni una tantum (liquidazione una tantum), in analogia a quanto previsto dall"articolo 5, comma 8, della legge 898/1970, ove si stabilisce che, su accordo delle parti, la corresponsione dell"assegno divorzile può avvenire in un"unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale; 2) per la tesi estensiva, rientrebbero nel divieto tutti gli accordi economici, anche quelli che prevedono la corresponsione periodica di denaro mediante un assegno per il mantenimento del coniuge più debole (l"assegno di mantenimento nella separazione ovvero l"assegno divorzile).
Il Ministero dell"Interno, dopo aver inizialmente condiviso l"orientamento estensivo del divieto, con due successive circolari del 2014, ha poi mutato avviso, alla luce dei rilievi espressi dal Ministero della Giustizia, con la successiva circolare n. 6 dell"aprile 2015. La nozione di "trasferimento patrimoniale", secondo la nozione inizialmente accolta dal Ministero dell"Interno, ricomprendeva tutti gli accordi aventi un "contenuto economico" stipulati dai coniugi, non solo quelli ad effetti reali, che implicano un immediato effetto traslativo dei beni, ma anche quelli ad effetto obbligatorio, comportanti l"obbligo di corrispondere periodicamente una somma di danaro da un coniuge all"altro. Nel 2015, come anticipato, invece, il Ministero dell"Interno, accogliendo i rilievi del Ministero della Giustizia, avallava con una propria circolare la nozione ristretta del divieto di trasferimenti patrimoniali. Proprio quest"ultima circolare veniva impugnata dinanzi al T.A.R. Lazio da due associazioni senza scopo di lucro operanti nell"ambito della tutela della famiglia e dei diritti civili della persona (l"AIAF e DONNA CHIAMA DONNA), deducendo, in particolare, la violazione della norma di legge recante il divieto (art. 12, comma 3, D.L. n. 132/2014), nonché del diritto di difesa (art. 24 Cost.). Il T.A.R. Lazio accoglieva il ricorso ed annullava la circolare impugnata, contro la sentenza di riforma proponevano appello il Ministero dell"Interno ed il Ministero della Giustizia.
Il T.A.R., in particolare, nella decisione all"esito del primo grado, aveva valorizzato la ratio del divieto, individuata nella finalità di rendere estremamente agevolato l"iter per pervenire alla separazione o al divorzio, ma solo in presenza di condizioni che non danneggino i soggetti deboli, nel delicato rapporto tra l"autonomia privata delle parti ed il controllo dell"ordinamento su eventuali condizioni sperequate in danno del coniuge economicamente più debole. In quest"ottica, a giudizio del T.A.R., soltanto un"interpretazione letterale del divieto assicurerebbe la tutela del soggetto debole, che potrebbe essere "costretto" ad accettare condizioni per sé sfavorevoli, imposte dalla "controparte più forte".
3. Il Consiglio di Stato, tuttavia, argomentando anzitutto sul piano letterale, ritiene nella nozione di "patti di trasferimento patrimoniale" debbano rientrare i soli accordi traslativi della proprietà (o di altri diritti) con i quali i coniugi decidono, mediante l"assegno una tantum, di regolare l"assetto dei propri rapporti economici una volta per tutte e di trasferire la proprietà o la titolarità di altri diritti sui beni da uno all"altro (contratti ad effetti reali), anziché prevedere la corresponsione di un assegno periodico. La ratio della nuova normativa è individuata dal Consiglio di Stato nell"ottica della degiurisdizionalizzazione (questo il brutto neologismo impiegato dal legislatore) fortemente perseguita dal legislatore di addivenire alla separazione personale o allo scioglimento (o alla cessazione degli effetti civili) del matrimonio anche regolando rapporti economici tra di loro o di modificare le condizioni di tali rapporti già raggiunte davanti al Tribunale con una procedura semplificata avanti all"ufficiale dello stato civile, senza l"assistenza necessaria degli avvocati. Il Consiglio di Stato, nell"escludere alcuna lesione del diritto di difesa del coniuge più debole, osserva come al coniuge "più forte" non sia riconosciuto alcun diritto potestativo alla conclusione della procedura semplificata, né questi può costringere il coniuge più debole ad un accordo, limitandosi l"innovativa procedura ad introdurre una ulteriore possibilità di scelta, non obbligatoria né obbligata, che costituisce una facoltà per entrambi i coniugi, i quali – in difetto di accordo – potrebbero comunque ricorrere alla procedura alternativa di negoziazione assistita, con l"assistenza della difesa tecnica, o al più tradizionale procedimento giurisdizionale dinanzi al Tribunale.
4. L"Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia e per i Minori, autorevole voce dell"avvocatura impegnata sui temi del diritto di famiglia, nonché parte soccombente nel giudizio svoltosi dinanzi al Consiglio di Stato, in seguito alla decisione dei giudici di Palazzo Spada, ha sollecitato pubblicamente il legislatore a tenere conto del diffuso dato sociologico di persone "deboli", possibile bersaglio di atteggiamenti prevaricatori e condizionamenti da parte del coniuge in posizione di forza. Avuto riguardo alle persone in stato di debolezza, la tutela di giudici e avvocati potrebbe svolgere, a giudizio dell"AIAF, una essenziale funzione di supporto, affinché gli obiettivi declamati di "efficientismo e velocità" non comprimono le ineludibili esigenze di tutela delle parti più deboli.