Un legislatore credibile, per essere tale, dovrebbe legiferare in materia ove ritenuto che le regole esistenti abbisognino di innovazione ovvero abrogazione. Se è vero, tuttavia, che non siamo più abituati, quotidianamente, all'immagine di un legislatore capace e coerente, la lettura dell'art. 3 del d.l. Balduzzi sulle professioni sanitarie, la cui rubrica recita "responsabilità professionale dell'esercente le professioni sanitarie" contribuisce a rendere il legislatore poco credibile.
Al comma 1 prevede che "fermo restando il disposto dell'art. 2236 del c.c. (bontà sua n.d.r.) nell'accertamento della colpa lieve nell'attività dell'esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell'art. 1176 c.c., tiene conto in particolare dell'osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale".
Ebbene il disposto non innova nè abroga l'attuale normativa poichè richiama i due articoli fulcro della colpa medica, confermando all'art. 1176 c.c. il ruolo di criterio di responsabilità, oltre che di determinazione di contenuto dell'obbligazione, ed all'art. 2236, letto ormai dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in modo univoco, quello di spiegarne il significato allorchè il sanitario si trovi al cospetto di casi di speciale difficoltà. Non si comprende quindi perchè mai la formulazione abbia trovato luogo; immagino che si tratti della necessità di offrire una risposta, per quanto sconsolante, ai molteplici richiami, altrettanto improvvidi, delle maggiori firme dei sindacati che tutelano i sanitari in Italia, volte a richiedere una definizione di colpa lieve e colpa grave nel nostro ordinamento (http://www.personaedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=38697&catid=104 ) come se il c.c. non la recasse già chiaramente.
Se tale è il fine -sia consentito di dire- un poco bieco, del legislatore, che finge di dare un contentino a tali richieste, non dicendo nulla di nuovo rispetto all'attualità così da dimostrare lo scarso credito che la richiesta godeva pure presso il ministro, siamo di fronte ad una novità, che non lo è, legislativa fatta passare per tale solo per ragioni di propaganda politica.
A ben vedere infatti, l'art. 1176 c.c., II comma, focalizza già l'attenzione dell'interprete sul caso concreto, disponendo che nell'adempimento delle obbligazioni che riguardano l'esercizio di un'attività professionale, e tra esse non v'è dubbio che vi sia quella dei sanitari, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata. E' evidente quindi che l'interprete doveva già, prima dell'illuminante disposto legislativo, affrontare l'analisi del caso concreto confrontandolo con le linee guida ovvero con quella che viene definita la miglior letteratura scientifica sul punto.
Un tanto, si badi bene, avviene sia ove si discuta di colpa lieve, contrariamente a quanto sembrerebbe aver compreso il redattore della norma, sia quando si discuta di colpa grave, poichè l'art. 2236 c.c. spiega, di fatto, che la severità del giudizio di responsabilità che si trae dall'art. 1176, II comma, dev'essere applicato modulandone l'intensità allorchè il sanitario si trovi al cospetto di casi di speciale difficoltà. Non c'è nessuna necessità, quindi, di ricorrere in modo ansioso al concetto di colpa lieve e colpa grave, ma ricordare all'interprete che la severità del giudizio dev'essere misurata rispetto al caso concreto e, che quando il caso travalichi le possibilità medie che devono essere attese da ciascun sanitario, in base pure alla sua specializzazione, la severità del giudizio dev'essere modulata ed adattata, appunto, al caso concreto di particolare difficoltà.
Vale la pena ricordare che questi ultimi casi sono stati ritenuti non frequentemente praticati dalla Corte di Cassazione (cfr. N. Todeschini, Le operazioni di speciale difficoltà, in Il risarcimento del danno non patrimoniale, pag. 1275-1285, Utet, 2009) poichè la giurisprudenza ha ritenuto che i casi di speciale difficoltà debbano individuarsi in quelli che la letteratura scientifica non contempla, ovvero in ordine ai quali i percorsi scientifici atti ad affrontarle sono molteplici e tutti ugualmente corretti, così da porre il sanitario di fronte ad una scelta che travalichi le sue capacità, nel primo caso, ovvero che lo possa indurre a scelte che, secondo letteratura scientifica possono apparire ex ante corrette, ma che solo ex post, senza che vi sia errore professionale, possano rivelarsi non quelle preferibili.
Non si vede quindi nè come i sanitari possano trarre giovamento dalla succitata novella, nè gli interpreti professionali possano trarne giovamento se non, giusto per trovare una possibilità di lettura apprezzabile, perchè si può decretare, con tale norma in buona sostanza inutile, il definitivo superamento dell'inutile ed ormai superata distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato secondo la quale, come è noto ed al fine che qui interessa, solo alle prime si sarebbe dovuto applicare il principio di diligenza quale criterio di responsabilità, mentre alle seconde la regola stabilità dall'art. 1218, a fronte del quale al mancato conseguimento del risultato sarebbe risultata collegata in modo automatico la responsabilità.
Art. 3
(Responsabilità professionale dell'esercente le professioni sanitarie)
1. Fermo restando il disposto dell’articolo 2236 del codice civile, nell'accertamento della colpa lieve nell'attività dell'esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell'articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell'osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale.
2. Con decreto del Presidente della Repubblica, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1. della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro della salute, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell’econon1ia e delle finanze, sentite l'Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA), le Federazioni Nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle categorie professionali interessate, anche in attuazione dell’artieolo 3, comma S, lettera e) del decreto-legge 13 agosto 2011, n.138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, al fine di agevolare l'accesso alla copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie, sono disciplinati le procedure e i requisiti e uniformi per l'idoneità dei relativi contratti, in conformità ai seguenti criteri: a) determinare i casi nei quali, sulla base di definite categorie di rischio professionale. prevedere l'obbligo, in capo ad un fondo appositamente costituito, di garantire idonea copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie. ll fondo viene finanziato dal contributo dei professionisti che ne facciano espressa richiesta e da un ulteriore contributo a carico delle imprese autorizzate all'esercizio dell'assicurazione per danni derivanti dall’attività medico professionale, determinato in misura percentuale ai premi incassati nel precedente esercizio, e comunque non superiore al 4 per cento del premio stesso, con provvedimento adottato dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute e il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le Federazioni nazionali degli Ordini e dei collegi delle professioni sanitarie; b) determinare il soggetto gestore del Fondo di cui alla lettera a) e le sue competenze senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica; c) prevedere che i contratti di assicurazione debbano essere stipulati anche in base a condizioni che dispongano alla scadenza la variazione in aumento o in diminuzione del premio in relazione al verificarsi o meno di sinistri e subordinare comunque la disdetta della polizza alla reiterazione di una condotta colposo da parte del sanitario.
3. Il danno biologico conseguente all'attività dell’esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 c 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209. eventualmente integrate con la procedura di cui al comma l del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti all'attività di cui al presente articolo.
4. Per i contenuti e le procedure inerenti ai contratti assicurativi per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale resa nell'ambito del Servizio sanitario nazionale o in rapporto di convenzione, il decreto di cui al comma 2 viene adottato sentita altresì la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Resta comunque esclusa a carico degli enti del Servizio sanitario nazionale ogni copertura assicurativa della responsabilità civile ulteriore rispetto a quella prevista, per il relativo personale, dalla normativa contrattuale vigente.
5. Gli albi dei consulenti tecnici d’ufiicio di cui all'articolo i3 del regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, recante disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, devono essere aggiomati con cadenza almeno quinquennale, al fine di garantire, oltre a quella medico legale, una idonea e qualificata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche dell'area sanitaria, anche con il coinvolgimento delle società scientifiche.
6. Dall'applicazione del presente articolo non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.