Che i diritti del malato, nonostante il progresso che il loro studio specialistico ha indubbiamente portato, abbisognino ancora di costante applicazione da parte degli operatori risulta anche da una controversia recentemente decisa dal garante per la privacy con un provvedimento di settembre dello scorso anno. La pretesa del malato atteneva all’esibizione, da parte della struttura sanitaria, in particolare dell’Ospedale S. Camillo di Roma, di una videocassetta che aveva registrato le fasi di un intervento in laparoscopia; a tale richiesta la struttura opponeva un netto rifiuto sostenendo che la riproduzione audiovisiva di un intervento chirurgico, essendo meramente facoltativa, non entrava a far parte della cartella clinica e pertanto la pretesa del paziente di averne copia avrebbe meritato di essere definita “arbitraria, oltre che illegittima”. Il malato, viceversa, sosteneva che una volta registrati su apposito video i suoi dati personali, aveva il diritto di accedervi e quindi chi conservava tali dati aveva l’obbligo e non la facoltà di far sì che detto accesso fosse agevole. Ribatteva, ulteriormente, la struttura sanitaria che vi era addirittura un’impossibilità materiale di estrapolare i dati contenuti nella videocassetta anche perché nella stessa erano conservati filmati relativi ad altri interventi chirurgici riguardanti altri pazienti. L’autorità garante ha invece rilevato che l’art. 10 del codice prevede che l’esercizio del diritto di accesso ai dati personali conservati dal titolare del trattamento possa ben consentire di ottenere la comunicazione in forma chiara dei dati effettivamente detenuti, pur estrapolati dai documenti o dagli altri supporti che eventualmente li contengano ovvero che, nella misura in cui detta estrazione possa risultare particolarmente difficoltosa, debba essere consegnata copia di detti documenti previa eliminazione di quanto non costituisca dato personale dell’interessato. Pertanto l’autorità garante ha accolto il ricorso depositato dal paziente ordinando alla struttura sanitaria di comunicare al malato i dati personali che lo riguardavano entro un congruo termine. Il caso consente, peraltro, di ricordare che, sotto altro profilo, quello che attiene al diritto del paziente di avere copia dell’integrale documentazione sanitaria detenuta dalla struttura ospedaliera, è da affermare il principio secondo il quale al malato, che ne faccia opportuna richiesta, non possa essere negato mai l’accesso nemmeno a parte di detta documentazione poiché è evidente che ogni sua parte possa essere utile a comprendere la cura alla quale è stato sottoposto e soprattutto utile, nel proseguo della terapia, per consentire ai medici curanti di avere cognizione delle indagini diagnostiche ovvero di interventi ai quali il paziente si sia sottoposto. Vale la pena ricordare che nei rapporti tra malato e medico, ovvero tra malato e struttura sanitaria, si assiste da sempre ad una particolarissima condizione secondo la quale la documentazione che al paziente è utile anche per verificare la diligenza della prestazione sanitaria è conservata proprio da chi ha posto in essere la prestazione di cura e quindi da chi può aver eventualmente commesso l’errore; quindi la struttura ha il dovere di non frapporre mai alcuna forma di ostacolo a che il malato venga in possesso di tutta la documentazione che lo riguarda qualsiasi sia stata la forma della prestazione di cura.