Si potrebbe pensare che a partire dalla pronuncia n. 156 del 10/05/1999 e dal susseguirsi di decisioni dalla Corte di Cassazione sul punto, e tra esse la n. 3651/2006, la 15384/2006, sia ormai chiaro che l’orientamento giurisprudenziale, giustamente definito obsoleto, che riteneva applicabile il solo art. 2043 c.c., e non l’art. 2051 c.c., per sottolineare la responsabilità della pubblica amministrazione per omessa e insufficiente manutenzione delle strade pubbliche, non sia più revocabile e indubbio che le vecchi scuse, che evocavano i concetti di insidia e trabocchetto, elevati all’ennesima potenza, gravando il danneggiato di un onere probatorio insostenibile, non fossero più praticate.
Invece il cittadino romano che, nel giugno del 1997, conducendo il proprio ciclomotore impegnato in una curva sinistrorsa, scivolava a terra a causa della presenza sul manto stradale di una traccia di gasolio, riportando lesioni guaribili in quaranta giorni, ha dovuto prendere atto dapprima del rigetto della domanda operato dal giudice di primo grado e quindi, nel 2004, l’opposizione anche della Corte d’Appello di Roma.
La domanda veniva proposta, sin dal primigenio atto introduttivo del giudizio, nei confronti del Comune di Roma che, costituitosi in giudizio, chiedeva preliminarmente di essere autorizzato a chiamare in giudizio l’impresa appaltatrice dei lavori di manutenzione stradale all’epoca dei fatti, per essere da quest’ultima manlevato. Ma anche l’impresa, costituitasi ritualmente, chiedeva il rigetto della domanda di manleva e garanzia nonché di quella principale proposta dal danneggiato.
Nel discutere il ricorso del danneggiato la Corte di Cassazione rileva, senza pietà, sia l’errore commesso dal Tribunale che quello, ancor più grave, perché realizzatosi in epoca nella quale la giurisprudenza della stessa Corte Suprema era chiaramente mutata, commesso dai giudici di seconde cure i quali, non facendo propri gli stimoli provenienti già dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 156 del 10/05/1999 che aveva escluso l’applicazione dell’art. 2051 solo nell’ipotesi in cui il bene di proprietà della pubblica amministrazione non fosse assoggettabile ad efficace e continuo controllo per la sua notevole estensione o per le particolari modalità d’uso. In altri termini, secondo l’autorevole interpretazione della Corte Costituzionale, è possibile applicare l’art. 2051 in tutte quelle ipotesi nelle quali vi è la possibilità di esercitare il potere di controllo e vigilanza sui beni demaniali con l’effetto che la notevole estensione del bene e l’uso generalizzato da parte degli utenti non è, di per sé solo, argomento decisivo per escludere l’applicabilità dell’art. 2051 necessitando, all’uopo, un’attenta e complessa indagine, che deve condurre il giudice di merito, con riferimento a tutte le circostanze del caso che gli è sottoposto.
Proprio in virtù di tale autorevole stimolo, la stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione si è orientata, già con le pronunce più sopra indicate, nel senso di raccomandare adeguata indagine non solo riferita all’estensione della strada ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza ed agli strumenti che il progresso tecnologico via via consente di utilizzare, ed ai quali si ricollega la legittima aspettativa degli utenti; ed inoltre è stata indicata, quale figura sintomatica della possibilità di effettivo e diretto controllo, la circostanza che la strada sia trovi all’interno della perimetrazione del centro abitato. Ne deriva, ed il punto vale la pena di essere rimarcato, che la possibilità di controllo va valutata in considerazione di tutte le circostanze elencate e, laddove gli strumenti tecnici di controllo consentano opzioni, seppur onerose, di maggior e più approfondito controllo, queste debbono essere realizzate poiché gli utenti della strada possono legittimamente farvi affidamento.
Per altro verso è altrettanto interessante ricordare che l’affidamento della manutenzione stradale, eventualmente concesso dalla pubblica amministrazione in appalto a singole imprese, non sottrae per nulla, la stessa pubblica amministrazione, dal dovere di sorveglianza e controllo poiché la Corte di Cassazione ricorda che tale contratto d’appalto per la manutenzione delle strade costituisce, semmai, soltanto uno strumento tecnico giuridico per la realizzazione, in concreto, di un compito istituzionale, che rimane però proprio dell’ente territoriale, che non ha assolutamente l’effetto di escludere la responsabilità del comune committente ai sensi dell’art. 2051 c.c.
Una considerazione, forse troppo amara, in conclusione: alla chiarezza con la quale la Corte di Cassazione ormai da molti anni prende posizione in tema di danno da difetto di manutenzione non fa purtroppo eco la coerenza, per non dire attenzione, delle corti di merito che non sembra vogliano affrontare criticamente la giurisprudenza della Suprema Corte confutandola, come è loro ben consentito fare, ma pare dedichino scarsa attenzione ad aggiornarsi con costanza; l’effetto, quantomeno in questi settori, che sono dominati dallo strapotere anche gestionale delle compagnie di assicurazione, consentono a queste ultime di suggerire prese di posizione invero pretestuose nella speranza, che pare francamente difficile sia esclusa in tali contegni, che i danneggiati arrestino il processo di affermazione del proprio diritto a fronte di insistenti prese di posizione negative e spesso aimè pretestuose.
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“RESPONSABILITA’ DEL COMUNE PER IL MANTO STRADALE SCIVOLOSO”– di Nicola TODESCHINI
Google: Description
Va affermata ai sensi dell’art. 2051 c.c. la responsabilità del Comune, custode della strada, percorrendo la quale l’utente, a causa della presenza di un macchia d’olio, perda il controllo della vettura patendo un danno.
Google: Keywords
Danno da cose in custodia, responsabilità della pubblica amministrazione, art. 2051 c.c.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 2 dicembre 2008 - 23 gennaio 2009, n. 1691
(Presidente Filadoro - Relatore Federico)
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 17.3.98 A. V., premesso che il giorno 16.6.97 circolava in Roma alla guida del proprio ciclomotore e che, giunto all'altezza di via Damiano Chiesa (direzione Balduina), in una curva sinistrorsa il motociclo scivolava sul gasolio presente sul manto stradale, travolgendo esso esponente, che riportava gravi lesioni giudicate guaribili in 40 gg. s.c., conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Comune di Roma per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza di detto sinistro.
Si costituiva il Comune di Roma, che in via preliminare chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa l'impresa A. V., appaltatrice dei lavori di manutenzione stradale all'epoca del sinistro ed unica responsabile dell'evento per cui era causa, ed instava che fosse manlevato e/o rimborsato di quanto si dovesse versare a chicchessia per sorte, interessi e spese.
Si costituiva anche l'Impresa V., chiedendo il rigetto della domanda di manleva e di garanzia proposta dal Comune e di quella principale proposta dall'attore.
Espletata l'istruzione, l'adito Tribunale rigettava la domanda dell'A.: interposto appello da parte di quest'ultimo, si costituivano sia il Comune, che chiedeva il rigetto del gravame e proponeva appello incidentale condizionato per la condanna dell'Impresa V. a manlevarlo e garantire, che quest'ultima impresa, che concludeva per il rigetto di entrambe le domande.
Con sentenza depositata il 5.7.04 la Corte di appello di Roma rigettava entrambi gli appelli, e contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'A., con due motivi, mentre sia il Comune di Roma che l'Impresa V. hanno resistito con controricorso, con cui hanno sollevato ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi ex art. 335 cpc.
A) Ricorso n. 27669/04
1. Il primo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2051 cc, 14 cds, 1655 e segg. cc, nonché illogica, apodittica ed omessa motivazione su più punti decisivi della controversia, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto - pur avendo riconosciuto come provata la preesistenza di gasolio sparso sulla strada, nonché la circostanza che analoghi spargimenti in passato avevano dato luogo a vari sinistri - che al caso di specie non potesse applicarsi il disposto dell'art. 2051 cc, deve ritenersi fondato.
Giustamente, infatti, la ricorrente si duole che in ordine ai danni subiti dall'utente in conseguenza dell'omessa o insufficiente manutenzione delle strade pubbliche la Corte territoriale abbia in modo aprioristico ritenuto che il referente normativo per l'inquadramento della responsabilità della P.A. è costituito, non dall'art. 2051 c.c. (che sancirebbe una presunzione inapplicabile nei confronti della P.A. con riferimento ai beni demaniali quando siano oggetto di un uso generale ed ordinario da parte dei terzi) ma dall'art. 2043 c.c., che impone invece, nell'osservanza della norma primaria del neminem laedere, di far sì che la strada aperta al pubblico transito non integri per l'utente una situazione di pericolo occulto.
In realtà, la Corte di merito ha fatto proprio un orientamento giurisprudenziale ormai obsoleto e che non tiene conto dell'evoluzione della giurisprudenza in subiecta materia a partire dalla nota pronuncia n. 156 del 10.5.1999 della Corte costituzionale.
La quale ebbe, infatti, ad affermare il principio che alla P.A. non era applicabile la disciplina normativa dettata dall'art. 2051 c.c. solo allorquando “sul bene di sua proprietà non sia possibile - per la notevole estensione di esso e le modalità di uso, diretto e generale, da parte di terzi - un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza dì cause di pericolo per gli utenti”.
Ne deriva che, secondo tale autorevole interprete, il fattore decisivo per l'applicabilità della disciplina ex art. 2051 c.c. debba individuarsi nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l'impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all'uso generale e diretto da parte dei terzi, considerati meri indici di tale impossibilità, ma all'esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, che tenga in debito conto innanzitutto gli indici suddetti.
In questa direzione si è orientata anche negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato (v. Cass. n. 3651/2006; n. 15384/2006).
Questo procedimento di verifica in merito all'esistenza del potere di controllo e vigilanza, di cui si discute, è stato invece totalmente omesso dalla Corte di merito, che si è trincerata dietro l'inapplicabilità in via di principio dell'art. 2051 c.c. alla manutenzione delle strade da parte della P.A.
Alla luce delle considerazioni che precedono va, dunque, affermato il principio che la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall'art. 2051 cc, è applicabile nei confronti dei comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi.
Sintomatico, in questo senso, deve considerarsi la circostanza, anch'essa tenuta presente dalla Corte di merito (ma da questa non valorizzata ai fini della riconducibilità della responsabilità del Comune di Roma nell'ambito di cui all'art. 2051 cc), che ha riguardo alla suddivisione in “zone” della manutenzione delle strade del territorio comunale, affidata in appalto a varie imprese, tra cui quella A. V..
È indubbio, infatti, che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza gravata, tale “zonizzazione” comporta per il Comune, sul piano meramente fattuale, un maggiore grado di possibilità di sorveglianza e di controllo sui beni del demanio stradale, con conseguente responsabilità del Comune stesso per i danni da essi cagionato, salvo ricorso del caso fortuito.
Né può sostenersi che l'affidamento della manutenzione stradale in appalto alle singole imprese sottrarrebbe la sorveglianza ed il controllo, di cui si discute, al Comune, per assegnarli all'impresa appaltatrice, che così risponderebbe direttamente in caso d'inadempimento: infatti, il contratto d'appalto per la manutenzione delle strade di parte del territorio comunale costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell'ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà ai sensi dell'art. 14 del vigente Codice della strada, per cui deve ritenersi che l'esistenza di tale contratto di appalto non vale affatto ad escludere la responsabilità del Comune committente nei confronti degli utenti delle singole strade ai sensi dell'art. 2051 cc.
2. Il secondo motivo, con cui viene dedotta la violazione degli artt. 2043 cc e 115 cpc, nonché illogica, apodittica ed omessa motivazione circa un punto decisivo, per non avere la Corte di merito spiegato adeguatamente le ragioni per cui era stata esclusa la sussistenza dì un'insidia o trabocchetto, resta assorbito in conseguenza dell'accoglimento del primo motivo.
B) Ricorso n. 1573/05 e ricorso n. 1701/05
Sia il ricorso incidentale condizionato, con cui il Comune di Roma, nell'ipotesi di accoglimento del ricorso principale, ripropone la questione dell'obbligo dell'Impresa V. A. a manlevarlo, stante la sua responsabilità nella produzione dell'evento dannoso, che quello incidentale, sempre condizionato all'accoglimento del ricorso principale, con cui l'Impresa predetta deduce l'insussistenza del diritto del Comune di Roma ad essere garantito e manlevato, con la condanna di chi di dovere alla rifusione in suo favore delle spese di tutti i gradi di giudizio, restano assorbiti a seguito dell'accoglimento del primo motivo del ricorso principale.
C) In conclusione, viene accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali condizionati, e conseguentemente la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio della causa dinanzi alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che, oltre che uniformarsi al principio di diritto enunciato al punto 1. della presente sentenza, provvederà anche in ordine alle spese del giudizio dì cassazione.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali proposti dal Comune di Roma e dall'Impresa A. V., cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa dinanzi alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione