La Corte di Cassazione, con la sentenza 11 novembre 2022 n. 33390, ha escluso la responsabilità, ex art. 2051, del Comune di San Donato di Lecce, a seguito della caduta di un bambino, avvenuta in un luogo noto a quest’ultimo, in quanto vicino alla casa del nonno, persona obbligata, secondo la sentenza in commento, ad un’adeguata sorveglianza, con interruzione del nesso di causalità tra cosa e danno.
La sentenza trae origine dalla domanda giudiziale con la quale i genitori del minore chiedevano la condanna del Comune al risarcimento dei danni da quest’ultimo subiti, a seguito di una caduta imputabile alle non adeguate condizioni di manutenzione del marciapiede di una via cittadina.
L’Ente si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda, ed espletata l’istruttoria il Tribunale di Lecce respingeva la domanda di parte attrice.
La Corte d’Appello salentina, adita dai ricorrenti, confermava la sentenza di primo grado; la sentenza veniva, successivamente, impugnata dal danneggiato, minore all’epoca dei fatti e divenuto, nel frattempo, maggiorenne.
La Suprema Corte respingeva il ricorso, affermando il principio di diritto sopra riportato e richiamando i precedenti in data 1 febbraio 2018, numeri 2480, 2481, 2482 e 2483, secondo i quali, con riferimento alla responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si pone diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in forza del principio espresso dall’articolo 1227, comma 1, c.c., sulla base di una valutazione correlata al dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà, espresso dall’art. 2 della Costituzione.
Di conseguenza, secondo la Suprema Corte, maggiore è la probabilità di previsione della situazione di danno, mediante l’adozione, da parte del danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente dovrà essere considerata l’efficienza causale della condotta imprudente e negligente del danneggiato nell’ambito del dinamismo eziologico del danno, fino a rendere possibile l’interruzione del nesso causale tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza prevedibile, sulla scorta di un criterio probabilistico di regolarità causale che escluda un fattore unico nella causazione del danno.
Dall’applicazione dei suddetti principi deriva, secondo la Corte di Cassazione, l’attribuzione della responsabilità del sinistro, in via esclusiva, al nonno del minore il quale, nel momento in cui è avvenuto l’incidente, avrebbe dovuto sorvegliarlo adeguatamente, in quanto:
1) la caduta era avvenuta in un luogo noto al minore, in quanto posto nelle vicinanze della casa del nonno;
2) le condizioni del marciapiede erano note sia ai genitori che al minore;
3) gli effetti della caduta deponevano nel senso che il bambino stesse correndo, e non camminando in modo distratto.
Ad avviso dei giudici, irrilevanti, al fine di escludere la responsabilità del comune, era l’ora buia in cui la caduta era avvenuta e l’assenza, in loco, di pubblica illuminazione, considerato che si trattava del 12 di luglio, quando la luce, anche nelle ore serali, è maggiore rispetto che ai mesi invernali.
Ad avviso dello scrivente, la sentenza pare , complessivamente, condivisibile, in quanto applica correttamente i principi sottesi alla responsabilità civile da cose in custodia, di cui all’articolo 2051 c.c.,, ricondotta dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalente ad un’ ipotesi di responsabilità oggettiva, fondata, quindi, sul nesso di causa tra cosa e danno, e non su valutazioni soggettive relative alla diligenza nella tenuta della condotta medesima.
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